Painting of The Week: Trasfigurazione e Guarigione dell'Ossesso (Raffaello Sanzio, 1518-1520)
L'opera d'arte è un
tutto, ma sono il particolare e il dettaglio a costruire la forma, la
tensione finale, il significato globale.
La Trasfigurazione di
Raffaello è forse una delle opere che più rende l'idea. Già dal
titolo: perché si dice Trasfigurazione forse per velocità, ma
andrebbe specificato: Trasfigurazione e Guarigione dell'Ossesso. In
una sola opera, il Maestro pone due episodi dei vangeli non
contestuali ma successivi.
Pare che questo sia
avvenuto per competere con La Resurrezione di Lazzaro, l'opera di
Sebastiano del Piombo (e la segreta collaborazione di Michelangelo)
con la quale il lavoro di Raffaello sarebbe dovuto comparire.
Raffaello doveva
dipingere solo la Trasfigurazione, un episodio statico e
contemplativo. Per rendere più tesa la sua opera, sotto il monte
Tabor, il pittore aggiunge la guarigione dell'ossesso. E la magia si
compie.
Cristo si illumina, sul
monte Tabor, di fronte ai suoi Apostoli (solo una volta sceso dal
monte, Cristo avrebbe guarito l'ossesso: ma questo avviene dopo, non
durante).
Sotto il monte, l'ossesso si
dimena, ma anche gli altri personaggi si dimenano e non sanno se
guardare il ragazzino indemoniato o il Cristo illuminato.
C'è del genio in
quest'opera, del genio cinematografico.
Perché Raffaello opera
un montaggio filmico ante litteram. Le due sequenze sono separate dal
monte, eppure sono nello stesso spazio. L'ossesso attira l'attenzione
di tutti, eppure gli astanti indicano Cristo. Il monte opera come transizione.
Poi c'è un altro
montaggio, più che geniale, ed è il montaggio dei dettagli - dei gesti e degli
sguardi. Braccia protese, dita indicanti, occhi che fissano: tutto
sembra meno che un'immagine statica. Solo che, anziché far muovere i
suoi personaggi, Raffaello costringe lo spettatore a muovere
vorticosamente i suoi occhi, da destra a sinistra, poi su e giù, poi
in basso, poi di nuovo a destra e poi a sinistra, in un'agitazione
continua, in un'agitazione ossessiva, che raggiunge pace solo quando
gli occhi trovano la direzione giusta: quella verso il monte Tabor.
Quella verso Cristo. Solo lì, di fronte alla figura diafana e
fluttuante del messia, gli occhi trovano pace. Dall'ossessione alla
pace, in una vera e propria via crucis visiva dello spettatore.
Raffaello è riuscito a
replicare con linee, punti, colori, segni, forme geometriche, forme
ondulate lo stesso processo visivo-mentale che ci fa partire dalla
smania, ci fa passare per la ricerca, ci conduce fino all'obiettivo.
Qui, l'obiettivo sono Cristo e la pace dello spirito.
Vederlo dal vivo è
un'esperienza al limite dell'umano – non solo contemplazione
passiva. Non si finisce mai di osservarlo tutto, di trangugiarlo: una
grande, immensa indigestione che toglie il fiato.
Ma quanto deve essersi
divertito il pittore nel realizzare quelle facce istrioniche e
paradossali – che tanto ricordano Leonardo – e quei corpi
contorti e scorciati – che tanto richiamano Michelangelo? Quei
piedi in pose assurde, le bocche aperte, gli occhi sbarrati, i
capelli sconvolti, i gesti di eccesso e quelli di ritrosia. Quanto
deve essersi divertito Raffaello nell'assaporare tutta la vita,
quella più bassa e becera, quella a un passo dal demonio, prima di
arrivare a Cristo? E, ironia della sorte, Raffaello non completerà
questo dipinto, ultima sua opera. Morirà a trentasette anni di
febbre d'amore – come ebbe a dire Vasari. Sifilide? Di sicuro il
pittore non aveva mai rinunciato ai piaceri della vita. Ma, altro fatto strano,
Raffaello, il più amato e ammirato dei pittori di Roma, muore di
venerdì santo. Tutti prendono questo segno come divino. Raffaello
viene considerato la reincarnazione – almeno artistica – di dio.
Ma, prima di arrivare a dio, in quel venerdì santo, dopo
pochi giorni di febbre, Raffaello è passato attraverso i piaceri
della carne. Era stato a un passo dal demonio, proprio come il suo
ossesso. Aveva infilato nel suo splendido dipinto di quattro metri
per quasi tre tutta la storia del Rinascimento. Dopo di lui, il
diluvio. Dopo di lui, un'imitazione forsennata del divino artistico
che gli animò le tele.
Commenti