Painting of The Week: Sole d'autunno e alberi (Egon Schiele, 1912)
E ora gridate pure allo
scandalo. Inveite, bruciate tele, incarcerate.
Dove finiscono i
pregiudizi, le cattive parole, le interpretazioni pruriginose e
immorali?
Dove sono le ragazze nude
che vi hanno fatto chiudere gli occhi, additare, parlare di
stranezze?
La difesa migliore dai
malpensanti per Egon Schiele sono i suoi paesaggi, i suoi alberi, i
suoi fiori - se mai l'Arte abbia bisogno di essere difesa. L'altra
faccia della medaglia dei corpi da lui ritratti.
Corpi contorti, pezzi di
carne, oggetti, cadaveri ambulanti, sesso in esposizione, desideri
abbrutiti dalla morale.
E, dentro, la fragilità
di un albero che non regge il vento.
Dentro, un sole spento
che non dà vita alla natura sottostante.
Dentro, piccoli monti che
dividono, che annullano ogni comunicazione.
Dentro, il vento si alza,
ti riempie i polmoni, poi la laringe, il naso. Impossibile parlare e
urlare.
L'urlo ti muore dentro,
dentro.
Se dovessimo rivoltare
come un guanto quei corpi procaci e rossi di uomini e donne in
mostra, abbracciati, vogliosi, impauriti, alle prese con l'intimità
dei loro desideri, ecco, se dovessimo rivoltarli come guanti, non
troveremmo che tronchi ridotti a steli, chiome calve che si sfogliano
giorno dopo giorno. Non è difficile trovare il paragone: i tronchi e
le chiome hanno le stesse posizioni dei corpi di Schiele, piegati
come i gomiti e le ginocchia ad angolo acuto e ottuso.
Quegli alberi, che sono
corpi, su quei piccoli monti, sembrano croci, parlano già di morte.
Ma non di morte fisica: di quella interiore, di quel disagio che
molti non fanno uscir fuori e che lasciano annaspare dentro,
uccidendosi e rendendo la propria vita un trascinarsi continuo.
Lo sfondo chiaro parla
chiaro: il sole è un'ombra. Il cuore non riscalda più. Quei monti ridotti a onde da una mano
quasi infantile si agitano dietro gli alberi/corpi – come se la
spinta della vita si andasse pian piano attenuando. Questo è un
paesaggio, sì, ma un paesaggio interiore. Questo è un saggio
sull'anima. E non è la descrizione delle anime degli anni Dieci del
Novecento. Schiele lo sapeva che l'arte è arte e che è eterna e che
non è riducibile ad un tempo e a un luogo.
Questo paesaggio è il
paesaggio di ogni anima che vive trascinandosi, che lascia affogare
se stessa, che non reagisce al mondo intorno sempre più affollato,
soffocante, pieno. Se Munch ci ha mostrato l'urlo del mondo e l'uomo
che si tappa le orecchie (o l'uomo che tenta di urlare a un mondo indifferente), Schiele ci mostra ciò che si agita
nell'uomo che vorrebbe urlare, ma che lascia morire l'urlo dentro.
Schiele artista è così.
Schiele uomo era un uomo che viveva. Anzi: che Viveva. Problemi ne
aveva, eccome. In famiglia. In società. Eppure Viveva. Viveva perché
non lasciava morire quell'urlo dentro. Non si trascinava. Metteva in mostra il proprio se stesso. Guardava la
vita e la analizzava, la raccontava. Il suo urlo urlava fuori. Non
aveva la forma di voce, ma di colori e pennello.
L'artista vedrà di
più, anche quello che non vuole. Sentirà di più, soffrirà di più.
Ma gioirà anche di più. E vivrà di più, tante vite in una sola.
Commenti
Complimenti. Grazie.
Sono stata stregata: il mio stato d'animo in questi primi 11 mesi di Covid è esattamente espresso dall'autore.
Ed ho preso tela, pennelli ed acrilici per farlo mio...nella mia casa... GRAZIE