Painting of The Week: Il disperato (Autoritratto) (Gustave Courbet, 1844-1845)
Gustave ha venticinque
anni e si guarda allo specchio. Vede un disperato. Dipinge un
disperato. Con ferocia autentica e con una punta – neanche troppo
celata – di autoironia.
Gustave si è sempre
dichiarato libero. Gustave è uno spirito libero – lo ha detto in
una delle frasi più famose della Storia dell'Arte: appartengo solo
alla libertà.
Sì, ha detto proprio
così: non faccio parte di chiese, istituzioni, accademie, sistemi.
Appartengo solo alla libertà.
Sembra una frase facile
da comporre e invece non è facile per niente. È un ossimoro dire di
appartenere alla libertà. Se la libertà è libertà, come fa a
possedere qualcosa? Gustave, da buon realista quale era, ha avuto il
pregio di guardare dentro la libertà. E ha capito: essere liberi non
significa fare quello che ci pare. Essere liberi significa lottare,
pensare, capire, guardare, avere un'etica, una morale, una visione
del mondo. In altre parole, libertà è appartenenza a qualcosa, a
quello in cui si crede; libertà è credere con coerenza.
Gustave fa di più: la
sua libertà appartiene alla libertà. Il che vuol dire maneggiare
una metalibertà. Il che vuol dire: essere un artista. Perché
l'artista è libero solo quando crea e solo se crea con una
disciplina ferrea.
Per questo, il realismo
di Gustave non è realtà. Il realismo di Gustave è sbattere in
faccia alla gente un'arte che fa male agli occhi – perché riguarda
tutti. Fosse anche una vagina in primo piano, in bella mostra:
L'origine del mondo, il titolo di quell'organo femminile. Nessun
classicismo di stato, nessun romanticismo da artista adagiato su se
stesso. Gustave ha aperto le porte per l'Arte futura, in Francia e
non solo.
Così, Gustave, libero e
coerente, a venticinque anni si guarda allo specchio. Si mette le
mani tra i capelli, sbarra gli occhi. Ha le guance rosse – forse
quelle di una delle infinite bevute della sua vita. Socchiude la
bocca. Mostra il collo, le vene e i tendini dei bellissimi polsi da
pittore. Scompigliato. Con una luce che ha un'eco caravaggesca ma che
è già con due piedi nell'Impressionismo (il bianco della manica
della camicia ritornerà vent'anni più tardi nel letto dell'Olympia
di Manet).
Gustave si fa un
autoritratto. Difficile cogliersi in una posizione del genere. Eppure
lo fa: si fa bello, non c'è che dire – Gustave è un bell'uomo. Si
dipinge con due guance eccessivamente rosse. Ci dice: sono ubriaco.
Oppure: mi sono appena alzato dal letto. Chissà cosa deve aver visto
in quel viso per fare una smorfia tanto teatrale. Forse non ha visto
nulla: ha semplicemente reso paradossale la sua immagine. Si è
sciolto da ogni posa magniloquente, ha lasciato andare l'educazione e il
comportamento accettabile e ha mostrato al mondo un se stesso alle
prese con una smorfia da disperato.
Appunto: non un vero
disperato, ma l'atteggiamento di un disperato. Sembra che Gustave si
stia prendendo in giro. L'artista disperato: chi mai ci crede
guardando questo dipinto? Troppo teatrale per essere davvero
disperato. Semmai, la sua disperazione è qualcos'altro. È la
libertà che esce fuori dal suo corpo – dalla sua mente – e che
un venticinquenne Courbet ancora non sa arginare a dovere. La libertà
esce fuori dappertutto, dalle ciocche scompigliate, dalla bocca
rossa, dai baffi e dalla barba che cresce disordinata sulle guance
giovani. La libertà viene fuori da quelle mani possenti dentro una
camicia sgualcita. La libertà esce fuori da quegli occhi grandi e
neri che non vedono Gustave: vedono un uomo che scalpita. Un uomo che
crea. Perché ogni artista è disperato, ogni artista perde la
speranza di fronte alla realtà e alla tela, nessun artista sa se la
sua creazione sarà davvero l'espressione onesta e coerente di mente,
occhi, mani e pennello. Tradurre in un linguaggio la propria visione
del mondo significa tradire – nessun linguaggio è perfettamente
traducibile in un altro. Figuriamoci il linguaggio della realtà e
dell'arte che la insegue.
La disperazione non è
che questo: la smania di saper guardare bene e di saper creare bene,
unendo tutto il magma caotico che l'uomo ha tra le mani – l'arte,
la realtà e la propria libertà.
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