1Q84, Libro 3, ottobre-dicembre


Autore: Murakami Haruki - Traduzione: Giorgio Amitrano - Casa Editrice: Einaudi

Con il libro terzo, Murakami pone fine al suo romanzo, divenuto un vero e proprio caso letterario. Amato quanto aspramente criticato, 1Q84 pone non pochi dilemmi sia sullo stile, che sulla traduzione che sulla cultura di provenienza.
Tuttavia, purtroppo, non tutti – compresa la sottoscritta – coloro che hanno letto il libro (amandolo o odiandolo) conoscono il giapponese né hanno competenze riguardanti la traduzione letteraria in generale e della difficile lingua nipponica in particolare. Per questo, per parlare di 1Q84, occorrerà affidarsi solo alla coesione della trama, dei dialoghi e delle descrizioni e all'emozione che il libro ha saputo generare.

Dopo le oltre settecento pagine che hanno raccolto i primi due libri, il terzo si riduce notevolmente, arrivando poco sotto le quattrocento (nell'edizione Einaudi). Più di mille pagine complesse e stratificate che hanno saputo narrare qualcosa anche quando non accadeva assolutamente nulla.
Nel terzo libro i personaggi e i punti di vista, da due, diventano tre: non più solo quello di Tengo e Aomame, i due protagonisti che si rincorrono inseguendo un dolce ricordo d'amore d'infanzia, ma anche Ushikawa, il detective privato che li spia. Il terzo occhio – quello di Ushikawa – diventa necessario a Murakami per allargare gli orizzonti della narrazione e donare un minimo di oggettività in più ai due protagonisti. O, meglio, Ushikawa fa da spettatore, divenendo, col suo sguardo esterno, colui che può donare al lettore elementi in più sulla vita di Aomame e Tengo.

In definitiva, il terzo libro subisce un certo calo di tono rispetto ai primi due, che appaiono piuttosto incalzanti. Ma sembra che Murakami abbia scelto questa via consapevolmente: nei primi due libri i fatti sono moltissimi, alcuni sfiorano il thriller. Nel terzo, almeno fino a pagina duecentosettanta, non succede nulla. Murakami si limita a narrare la quotidianità dei protagonisti, tentando di creare la necessaria attesa in vista del climax finale. In alcuni casi ci riesce, in altri no. Tuttavia, riesce molto bene nel rendere un'atmosfera sospesa – a volte al limite dell'horror – che nei primi due libri si avvertiva molto meno.

Già nel primo libro, Murakami aveva dichiarato i suoi intenti. In bocca ad un editor, mette una frase cristallina: i libri migliori sono quelli in cui non tutto viene spiegato. Nel secondo libro compare una pistola, con la promessa čechoviana che avrebbe sparato. Nel terzo libro, invece, dichiaratamente disattende l'intento di Čechov: la pistola non spara.
E, infatti, il gioco di Murakami è disattendere le attese, cosa che ad alcuni piace, ad altri lettori no: la pistola non spara per un motivo preciso, alla fine. È un elemento lì presente per non-uccidere; lo scrittore rovescia la situazione e la pone in maniera negativa.
Sulle spiegazioni, l'autore lavora molto bene. In effetti, non spiega tutto, anzi, spiega molto poco. Ma, in realtà, il lettore comprende, perché Murakami dissemina qua e là vari indizi. Ad esempio, è chiarissimo chi sia l'esattore della NHK che bussa insistentemente alla porta dei tre protagonisti senza mai farsi vedere e senza mai uscire dal portone degli stabili. Così come è chiaro chi sia l'infermiera che dice di essere già morta una volta. Tutto questo serve a creare un'atmosfera onirica, in cui la non-spiegazione diventa un modo per creare squilibrio nel lettore.

Il lettore, così, arriva a dubitare di tutto ciò che avviene nel libro, ma anche della realtà fuori del libro. Probabilmente, questo era l'intento iniziale di Murakami, che chiude il lungo romanzo facendo riferimento ad una luna che sembra di carta. Può sembrare una canonica frase conclusiva, l'ultima: in realtà l'autore ci sta implicitamente dicendo che tutto è finzione, che anche il mondo che crediamo di abitare realmente è finzione e che è impossibile affermare cosa sia reale e cosa sia illusorio. La luna di carta, in fondo, è l'emblema degli scenari teatrali. L'unica cosa che dà realmente senso alla vita umana sono i sentimenti e, in particolare, l'amore. L'amore è la sola certezza di tutto il libro, l'unica che realmente lega Tengo e Aomame, l'unica che realmente genera senso e altra vita.

La crisalide d'aria non è che questo: la capacità di creare mondi inesistenti dal nulla. Storie fatte d'aria, trame eteree che, però, sanno diventare reali.

Neppure i romanzi e i film hanno statuto di realtà, in fondo. Sono oggetti, è vero, ma guardandoli o leggendoli ci si accorge solo di una cosa: che ci raccontano di quanto sia precaria la nostra realtà. Se un uomo – uno scrittore o un regista – è più o meno abile nel creare un nuovo universo nel momento in cui inventa una storia, chi ci dice che il mondo in cui viviamo non sia in verità frutto di una forza misteriosa e inspiegabile che ci fa vivere questo e non altro? Un gioco alla Matrix o un gioco alla Lynch, che già avevamo citato recensendo i primi due libri di 1Q84.
Ma, in fondo, non serve appellarsi a forze esterne e misteriose per destabilizzare l'oggettività del mondo. Basta far caso ai milioni, ai miliardi di punti di vista che popolano la terra: ogni paio d'occhi è un modo di vedere il mondo, ogni sguardo crea un mondo e vede qualcosa di diverso. In maniera molto spicciola, è ciò che gli esistenzialisti, e in particolare Merleau-Ponty, affermavano con forza, divenendo pietre miliari per una certa branca dell'analisi cinematografica.

Tale atmosfera sospesa e incerta va a cozzare con il profondo senso della quotidianità che Murakami descrive in ogni modo. Tutti e tre i personaggi se ne restano chiusi in casa nel raggio di due o tre isolati. La casa diventa il guscio, l'utero in cui tutti si proteggono per sfuggire alle insidie esterne. La casa di Murakami, il portone di Murakami sono un baluardo contro un mondo popolato di pericoli, quasi le strade fossero invase dagli zombie e l'unico scopo dell'uomo fosse quello di ripararsi. Questa è la sensazione più positiva e più riuscita che Murakami comunica: ogni stanza è descritta in maniera esemplare, ogni oggetto prende vita, fragilmente protetto tra le mura domestiche. Ci si sente in pericolo se Aomame va fuori sul balcone, se Ushikawa scosta le tende, se Tengo esce a prendere la posta. Ci si sente in pericolo quando il fantasmatico esattore della NHK bussa alla porta, minando la tranquilla bellezza della casa. La casa diventa il tempio per eccellenza: proteggerla significa proteggere se stessi. Eppure, neanche la casa è reale: reale è solo chi la abita. E nel momento della risoluzione, Tengo e Aomame diventano la casa di se stessi. È questo, forse, il vero significato del libro, al di là di certi giochi pirotecnici della trama.

Molti hanno rintracciato in 1Q84 una trama fuori dal mondo, con elementi privi di coerenza: come fa ad apparire universale una storia in cui compaiono esserini chiamati Little People che creano crisalidi d'aria e che possono essere ascoltati da una setta di fomentati? Come fanno ad essere coerenti situazioni in cui si parla di mother e daughter, di receiver e perceiver?
Inizialmente perplessi,  abbiamo poi avuto una sorta di illuminazione: e l'illuminazione è arrivata grazie ad una certa conoscenza degli anime e dei manga. In un primo tempo, avevamo accostato 1Q84 ai film di Miyazaki, almeno per una certa componente soprannaturale. Leggendo il terzo libro, ci siamo accorti che la trama è quella ideale per creare una breve serie animata d'autore; gli elementi tipici ci sono tutti. Non solo un film, non semplicemente un romanzo. Se 1Q84 fosse trasposto in serie animata, i dubbi sulla sostanza della trama verrebbero via di colpo; anzi, diverrebbe un anime di successo, in grado di farsi realmente universale e necessario. Diciamo questo perché siamo convinti che l'unico modo per analizzare un libro e fare critica letteraria sia farlo attraverso l'immagine. André Bazin è stato un grande teorizzatore di questo approccio, Stanley Kubrick è stato tra i più grandi maestri di critica letteraria.
Perché, in fondo, un romanzo può piacere o non piacere, ma per analizzarlo correttamente serve farlo scontrare con un altro linguaggio – o non se ne vedrebbero forse mai pregi e limiti.  

Commenti

Kris Kelvin ha detto…
Devo ammettere che dopo la bellezza straziante e profondamente intima di 'Norwegian Wood' all'inizio questo '1Q84' mi aveva lasciato molto perplesso... poi però mi sono accorto di aver letto quasi 1500 pagine in poco meno di due settimane (per me pochissimo, dato che sono molto lento nella lettura) e allora non ho potuto far altro che constatare l'enorme forza della prosa di Murakami. '1Q84' sarà forse (anzi, sicuramente) un libro ben più commerciale, ma avercene di storie così, che ti coinvolgono fin quasi a farti dimenticare il tempo che scorre...
Violet ha detto…
I primi due libri li ho comunque amati (io adoro Murakami) anche se non hanno raggiunto le perle di Norwegian o di Dance Dance Dance. Il terzo libro l'ho iniziato a leggere in un periodo un po' troppo carico e .... E' ancora lì che mi attende a metà. Spero di finirlo comunque presto. Lo stile di Murakami secondo me è fantastico però questo terzo libro è fin troppo didascalico...
Vele Ivy ha detto…
Ah, che bello!! Anch'io l'ho divorato(tra poco pubblicherò la recensione, già pronta) e volevo proprio leggere il parere di qualcuno che l'avesse letto come me! E quel qualcuno sei tu, che fortuna!!
Io l'ho interpretato come un libro unico (leggendo su supporto e-book è più facile non avvertire lo stacco tra un libro e l'altro) e forse per questo la terza parte non mi è sembrata tanto diversa dalle altre.
Io l'ho amato tantissimo, proprio per l'originalità rispetto al resto della narrativa commerciale in vendita negli ultimi anni e per il non detto. Tantissime cose non le ho capite (visto che l'hai capito: tu come l'hai interpretata l'infermiera?) però è anche questo il bello. Ti spinge a riflettere; in ogni caso, non mi sono mai trovata davanti a una sensazione straniante, quanto più davanti al fascino dell'enigma. E' pur vero che, essendo cresciuta a pane e manga, ho un background giappo-pop-culturale che mi ha permesso di comprendere situazioni che possono apparire bizzarre e inspiegabili a chi è nippo-neofita.
Sarò esagerata... ma per me è un capolavoro!!!
Veronica ha detto…
@Kelvin. Anche io sono lenta nella lettura. Ma 1Q84 era diventato un appuntamento quotidiano imperdibile. Mi sono ritrovata a leggere centinaia di pagine al giorno. E, credo, il valore di un libro si misura anche da questo!

@Violet: il terzo libro è estremamente descrittivo, ma credo sia una cosa voluta. Se prosegui, ad un certo punto, ti troverai di fronte al colpo si scena che non t'aspetti ;)!

@Vele: l'infermiera (credo) è l'incarnazione della mamma di Tengo. Dice, infatti, di essere già morta strangolata (come la mamma di Tengo). È una delle donne che accudiscono il padre di Tengo sul letto di morte e l'unica con cui Tengo ha un rapporto realmente intimo: la scena in cui lui si sente sfiorare dai peli pubici di lei senza aver avuto un rapporto sessuale credo rappresenti la maternità della donna. Così Tengo riconquista la madre nel mondo degli interrogativi senza saperlo (o forse sentendolo nel profondo). Il suo Pese dei Gatti è la prigione del passato. Scrollatosi di dosso madre e padre, Tengo torna, pronto a vivere la sua vita.

Credo di avere anche io il tuo stesso background... E ho percepito 1Q84 non come un romanzo ma come un anime (o come un manga!)
Alessandro z ha detto…
Faccio i complimenti all'autrice di questo blog per la profondissima ed illuminante analisi del libro. Io stesso che ho appena terminato di leggere il 3 volume non avevo compreso che dietro l'infermiere si celasse l' incarnazione della madre. Ripensandoci hai ragione sia per la morte per strangolamento e per tutte le parole che rivolge a tengo e sia per il fatto che lo accompagna alla cremazione del padre offrendosi di custodire le cenrei del defunto. Ti pongo un ulteriore quesito: è stato forse il padre di tengo ad uccidere la moglie e a far sparire l'amante?
In conclusione devo ammettere che il finale del libro non è all'altezza della bravura dell'autore: ma Aomane non doveva morire in cambio della vita di tengo?
Veronica ha detto…
Salve Alessandro.
Innanzitutto chiedo scusa per il ritardo della mia risposta, ma sono stata lontana dal blog per un po' e, inoltre, Blogger non mi manda più per email le notifiche dei commenti... Per motivi a me sconosciuti!
In secondo luogo, ti ringrazio per le belle parole che hai speso per il blog e il post.
Passando ai tuoi quesiti...
A proposito dell'omicidio della madre di Tengo, l'impressione che ho avuto io è che sia stato proprio il padre del protagonista ad ucciderla. Sulla sparizione dell'amante, invece, ho avuto solo la sensazione che Murakami volesse destabilizzarci con una serie di misteri irrisolti e irrisolvibili: questo per dare anche a noi lettori l'impressione di essere in un mondo rovesciato rispetto a quello reale.
Infine, sulla non-morte di Aomame. È vero che Aomame doveva dare la vita per salvare Tengo, ma questo doveva avvenire nel mondo dell'1Q84. Ritornando a ritroso sulla tangenziale e rovesciando tutti i termini, Aomame ha dato la vita per Tengo in un altro senso: portando in grembo un bambino. Quello è il vero miracolo che, secondo me, ha riordinato i mondi, la possibilità, cioè, di tornare ad una nuova vita scrollandosi di dosso tutto il male del passato e tutte le sensazioni negative. Si tratta pur sempre di una mia visione delle cose. Devo dire che anche io sono rimasta un po' male per il finale: l'ho trovato piuttosto brusco. Ma forse è stato meglio così, perché lascia molto più spazio alla fantasia del lettore.

A presto!
Alessandro Z ha detto…
Ciao veronica,
Avevo immaginato ci fosse qualche problema con le notifiche.
Riguardo l'enigma della non morte di aomane, ancora una volta penso che tu abbia ragione e, ripensandoci bene, chi ha modificato la predizione del maestro è stata la figlia fukada eriko anch'ella con poteri analoghi al padre.
Riguardo al finale, devo dire che poteva fare di più.
In conclusione, devo dire che iq84 non regge il paragone con quelli che secondo me sono i migliori romanzi di murakami, ossia norwegian wood, nel segno della pecora, dance dance, kafkansulla spiaggia)
Ti ringrazio ancora.
A risentirci alla prossima uscita di Murakami.
Buona giornata
Anonimo ha detto…
Ciao, sono arrivato sul blog, cercando informazioni sul famigerato esattore del NHK.
Nella tua recensione dici che è scontato chi è, ma in realtà io non lo trovo così scontato.
Potresti motivare meglio quella tua affermazione?
Grazie

Valerio
Veronica ha detto…
Buongiorno Valerio. Ti ringrazio infinitamente per essere passato di qua.
Allora. Almeno dal mio punto di vista e per come ho interpretato io il libro, ho trovato facile capire chi fosse l'esattore. Il padre di Tengo, praticamente in coma, bussa in continuazione contro la sbarra del suo letto d'ospedale. Pertanto, l'esattore (che bussa) non può che essere una proiezione del padre di Tengo o il suo fantasma. In fondo, Murakami gioca molto con l'idea della reincarnazione (come ad esempio l'infermiera che dovrebbe essere la reincarnazione della madre di Tengo). Murakami non lo dice apertamente perché ha bisogno di destabilizzare la sicurezza dei personaggi e di minare la tranquillità della loro casa. E non spiega molto anche perché vuole che noi lettori ci sentiamo instabili e braccati come Aomame e Tengo. Questa almeno per come la vedo io. Altre interpretazioni sono ben accette ;)!
Anonimo ha detto…
Grazie per la tua interpretazione! La trovo estremamente affascinante :) Ho letto in giro che alcuni vedono l'esattore come la metafora del sentimento di oppressione che grava sulla società giapponese.
Una società che bracca i suoi cittadini, e che attraverso la paura cerca di tenere tutto sotto controllo.
Non a casa la sua apparizione è subita da persone "in fuga" o comunque in situazioni poche limpide.

Valerio
Anonimo ha detto…
Sapete dare una spiegazione alla somiglianza tra la madre di Tengo e la sua amante nella foto di famiglia? È un altro elemento solo di confusione per il lettore?
Grazie
Riccardo
Anonimo ha detto…
Credo che in questo gioco di parallelismi (es.la mamma-infermiera) Tengo riviva la condizione dell'amante della madre, uccisa dal marito. La somiglianza serve per farci mettere in collegamento i due fatti.