Diary of the Dead
Anno: 2007 - Nazionalità: USA - Genere: Horror - Regia: George A. Romero
Piuttosto, Romero sembra
voler prendere i morti viventi come spunto per parlare di
qualcos'altro e questo qualcos'altro è la natura umana, la politica
e la società.
Ricordiamo solo il suo
primo film: La notte dei morti viventi. Un horror con la H e la O
maiuscole: eppure quel finale non aveva il sapore dell'horror
soprannaturale, ma dell'horror antropologico e politico. L'uomo di
colore – siamo nel 1968 – sopravvive agli zombie, viene
scambiato per uno zombie e ucciso a sangue freddo da dei bianchissimi
ranger; il film, uscito pochi mesi dopo l'assassinio di Martin
Luther King, indica in maniera abbastanza esauriente le intenzioni più o meno espresse del regista.
Questa profonda
riflessione, per Romero, è un indubbio vantaggio: ha la possibilità
di parlare ininterrottamente di zombie senza mai scadere nel banale e
nel ripetitivo, ma adattando il tema al momento storico.
È anche il caso di Diary
of The Dead, girato nel 2007: qui il regista adotta uno stile di
ripresa completamente nuovo per riflettere su quanto, in quell'anno,
si profilava già come una rivoluzione. Il web, YouTube, i social network, i
videofonini, le videocamere digitali che surclassano le macchine da
presa con pellicola e le tradizionali fonti di informazione.
Un gruppo di studenti –
presumibilmente di cinema e regia – stanno girando, di notte e in
un bosco, il classico horror con la sposa che corre e la mummia che
la insegue. È in questo momento che inizia tutto. I morti si risvegliano e cominciano a mordere i vivi e a diffondere il morbo. In realtà,
chiunque muoia diventa uno zombie, senza che abbia bisogno di essere
morso.
Compresa la situazione
(con una grande dose di scetticismo e incredulità), gli studenti si
barricano in un camper – il classico camper – e cercano di
raggiungere le loro famiglie. Tuttavia, uno di loro, Jason, decide di
svolgere un compito per nulla facile: filmare di continuo tutto ciò
che sta avvenendo, girare un documentario senza script e in tempo
reale, per poi diffonderlo sul web e proporsi come canale informativo
alternativo alla tv. È questo, in realtà, il vero nodo del film: la
videocamera che riprende tutto, ininterrottamente, e la diffusione
che corre per la rete al ritmo di milioni di spettatori al minuto.
Il film è girato tutto
in soggettiva, la soggettiva di Jason (o tramite le soggettive incrociate delle varie videocamere), che praticamente mai si vede
in faccia, dato che porta sempre “montata” sul suo occhio la
piccola macchina da presa digitale: un po' L'uomo con la Macchina da
Presa di Vertov, un po' la caméra-stylo di Astruc, un po' Peeping Tom
- L'occhio che uccide di Michael Powell. Jason diventa una sorta di
camera ottica che immagazzina tutto, la vita e soprattutto la morte:
e lo fa, fino alla fine, fino al sacrificio estremo.
Romero, così, trova il
modo per riflettere su quello che oggi ci appare naturale. I
videofonini collegati a Internet si stavano affacciando alla nostra
vita proprio in quel periodo. Le macchine digitali iniziavano a mettere
in crisi il cinema fatto dell'emulsione fasulla e patinata della
pellicola. Schiere di ragazzini nerd e di aspiranti registi senza
mezzi, nel piccolo della loro cameretta e nel piccolo di un programma
di montaggio open source, iniziavano a dare filo da torcere anche ai
registi più navigati. La sala cinematografica temeva di sparire,
YouTube era la nuova frontiera.
Tuttavia Romero non
riflette solo sul mezzo filmico e sulla rivoluzione del linguaggio.
Trova il modo di riflettere anche sul problema ontologico che ciò
impone: tanti punti di vista, tante microcamere, i fiumi di parole e
di sguardi dei blogger possono aiutarci a capire meglio o sono solo
rumore? Nel marasma generale delle voci, è possibile distinguere il
vero dal falso, la verità dalla costruzione cinematografica fatta
passare per realtà? E, sia chiaro, Romero non se la prende affatto
con la comunicazione via web: i suoi protagonisti iniziano a proporre
la loro versione dei fatti dopo aver scoperto che uno dei tg
nazionali, per salvare la faccia alla polizia e ai soccorsi colpevoli
di aver controllato poco e male, avevano operato un montaggio
falsante della loro videocronaca. In altre parole, i tg nazionali
avevano creato la notizia, avevano inventato una storia: e, in breve,
i canali informativi ufficiali, operando con poche immagini e
soprattutto col montaggio, si erano subito dimostrati inadeguati al
nuovo compito, quello di diffondere la notizia in maniera capillare e più o
meno neutra per aiutare la gente a sopravvivere.
Eppure, non finisce qui.
Il film di Romero procede per tesi, antitesi e sintesi (o nuova
tesi). Posta la tesi secondo cui la tv non dice la verità e
costruisce la notizia quasi dal nulla, si pone l'antitesi secondo cui
lo spettatore, con i nuovi mezzi a disposizione, raccoglie
informazioni in tempo reale, gira e, altrettanto in tempo reale,
diffonde sul web. La sintesi, però, ha del macabro: la diffusione
sul web della violenza zombesca diventa fonte per nuova violenza
umana. Jason, in fondo, voleva aiutare chi non sapeva a difendersi
dagli zombie: il suo compito era quello di mostrare la trasformazione
e di mostrare come sterminare i morti viventi, cioè con il classico
colpo in testa.
Debra, la fidanzata di
Jason, inizialmente scettica, lavorerà al girato del ragazzo: e lo farà
aggiungendo un po' di musica e un po' di montaggio ad effetto,
perché, come dice lei, per far capire la gravità della verità alla
gente, occorre rendere eccessiva la realtà – insomma, costruirla
un po'.
Il risultato – evidente
nell'ultimissima scena del film – è l'emulazione dei video. Alcuni
uomini ben armati – i soliti ranger bianchi – si divertono a
uccidere gli zombie in maniera crudele e gratuita, appendendoli agli
alberi per vederli penzolare o infliggendo loro orribili torture.
La voice over narrante di
Debra, a quel punto, visti i nuovi video su YouTube, si chiede: “è
giusto che gli uomini sopravvivano?”. Se è così, se coglie ogni
“rivoluzione” per fare del male, è giusto che il genere umano si
salvi? O è meglio che vaghi in maniera animale e istintiva alla
ricerca di puro e semplice cibo?
Indubbiamente, Romero
pone sin troppa carne al fuoco e non trova visibilmente il tempo per
dare una risposta a tutti i suoi interrogativi. I temi proposti sono
vastissimi, ancora irrisolti: il suo merito è stato quello di aver
lanciato almeno il sasso e di aver acceso la riflessione. La
riflessione, a volte, però, scema: in fondo, Romero sta anche
girando un horror e non un semplice saggio sui moderni mezzi di
comunicazione. Ha bisogno di rendere compatto il film e, in effetti,
ci riesce.
Probabilmente, il suo
maggior interesse è usare tutti i tipi di “occhi” che la
tecnologia mette a disposizione: non solo quello umano, ma anche
quello delle camere digitali dalla diversa risoluzione, quello del
cellulare, quello delle videocamere di sorveglianza, quello delle
telecamere giornalistiche. Il risultato è un rumore visivo
assordante, in cui la realtà si sottrae e si fa indistinta. Eppure,
Diary of The Dead è il primo horror sugli zombie che ha un netto e
profondo senso di realtà.
Commenti
Invece, effettivamente, di questo Diary of the Dead me ne parlate tutti benissimo, quindi toccherà proprio recuperarlo!!