Viaggio verso Agartha
Titolo originale: Hoshi o ou kodomo (Bambini che inseguono le stelle) - Titolo internazionale: Children who chase lost voices - Anno: 2011 - Nazionalità: Giappone - Genere: Fantasy - Regia: Makoto Shinkai
Prima di recensire questo
film occorre segnalare un aspetto non secondario: il doppiaggio. Non guardate Viaggio verso Agartha nella versione doppiata. Guardatelo categoricamente in giapponese con
i sottotitoli in italiano (anche se pure i sottotitoli lasciano molto a desiderare). L'edizione italiana "curata"
dalla Kazé ha optato per la distruzione del film in fase di
doppiaggio: nessun famoso e valido doppiatore italiano. I doppiatori
sono non professionisti italo-francesi che tentano di recitare in italiano, con il
risultato che le intonazioni e le pronunce sono completamente fuori controllo - roba da
far rivoltare nella tomba i rappresentanti di migliaia di anni
di recitazione. Se volete ridere e guardare un'opera
vergognosamente trash, potete guardare il film doppiato in italiano.
La cosa crea un po' di straniamento, dato che storia e ambientazioni
hanno nulla di comico. È lecita un'introduzione del genere, dato che
l'edizione in blu-ray non è proprio economica e che, da questa, ci
si aspetta solo l'eccellenza.
Viaggio verso Agartha è
un'opera particolarissima. Anzi, di fronte a questo film cade
completamente ogni possibilità di critica. Il lavoro di Shinkai è
forse uno degli esempi più lampanti di opera d'arte che resiste alla
critica di qualunque scribacchino; di quelle opere che ti
insegnano che l'arte prima si sente, poi, semmai, si analizza.
Viaggio verso Agartha ci dice che l'opera d'arte è un processo di
impressione/espressione; non sempre la si può spiegare usando linguaggi razionali.
E, infatti, bisogna
“ragionare” per impressione. Tutto si muove attorno al concetto
di vita e morte. La protagonista, Asuna, ha perso il papà e vive
sola con la mamma, che però non è mai in casa per via del suo
lavoro di infermiera; la bimba incontra Shun, un ragazzo che salta da
altezze incommensurabili senza farsi del male e che porta al collo
una strana pietra azzurra. Asuna ha sentito il canto di Shun tramite
una radio a galena, un canto straziante e familiare: l'ultimo canto
di chi sa che deve accomiatarsi dalla vita. L'insegnante di Asuna va
in congedo per maternità. La sostituisce Ryuji, un giovane
professore vedovo, che ha il pallino per il mondo dei morti. Vuole a
tutti i costi trovare Agartha (il corrispettivo del greco Ade) per
riprendere sua moglie e riportarla in superficie - un po' come Orfeo
e Euridice (con il cui mito viene fatto un interessante parallelo tra sguardo e cecità).
Quando Shun viene trovato
morto, anche Asuna decide di andare ad Agartha col suo insegnante. E
Agartha è un mondo immenso, costellato da rovine di un'antica e
gloriosa civiltà, abitato da strani guardiani che hanno le sembianze
di animali mitologici e da creature che non vivono fuori dell'ombra e
che divorano i non agarthiani. Gli agarthiani sono pochissimi e per
un motivo ben preciso: sono troppo abituati alla morte.
Il contrasto tra vita e
morte si gioca ad un livello quasi inesprimibile. Gli abitanti della
terra non accettano la morte e tentano di forzare il suo corso e
quello della vita. Gli agarthiani, invece, cadono in rovina proprio
perché accettano la morte troppo facilmente e, pertanto, non danno
il giusto valore alla vita. Ogni personaggio ha il suo personalissimo
e quasi criptico rapporto con la morte. Il professore, ad esempio,
non si capacita di aver perso la moglie. Asuna, invece, non sembra
mai pensare al distacco. Semmai, per lei, andare ad Agartha significa
poter vedere un'altra porzione di mondo, poter esplorare se stessa,
uscire fuori dalla sua solitudine.
Il difetto che può
essere imputato a questo film sta nell'aver lasciato troppi nodi
irrisolti. In realtà, questo è anche il grande fascino dell'opera,
che si fa misteriosa e sibillina in molti punti ma che, proprio per
questo, sa trasmettere un senso generale comprensibile non
razionalmente ma solo emotivamente.
L'autore gioca con il
tempo storico e l'immaginazione. Ad esempio, incollocabile sembra la
sequenza del passato dell'insegnante, posta in un luogo e in un tempo
fuori da ogni razionale universo storico, situata in una guerra che
sembra essere quella del '14-'18, in un'atmosfera tra le più
drammatiche, tragiche e romantiche del film: una piccola storia nella
storia, una sequenza tra le più inspiegabili, ma anche tra le più
compiute e coinvolgenti. Oppure quella sorta di ricordo/immaginazione
– non è ben chiaro se del professore o di Asuna - in cui lui è il
padre di lei. Un film per lo più innervato dall'intreccio
inspiegabile di vita e morte, dove i giochi onirici della fantasia e
del doppio la fanno da padrone. Un viaggio fantastico, un percorso
tra scenari naturali mozzafiato e sentimenti altalenanti, fino
all'accecante incontro finale con le anime...
... fino a capire il
senso della vita. Che è un senso che sfugge e il fuggevole è
proprio l'incanto dell'esistenza. Fino a capire che vita - piena e rigogliosa - non
è solo nella pancia di una mamma o nell'amore di due amanti - uniti o divisi che siano - ma è
anche in un semplice "ci vediamo" detto col sorriso sulle
labbra.
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