No - I giorni dell'arcobaleno
Titolo originale: No - Anno: 2012 - Nazionalità: Cile - Genere: Storico/Politico - Regia: Pablo Larraín
Con No, Pablo Larraín
cambia registro. Probabilmente, con questo discorso,
Fuga, il suo primo film, calza poco, dato che si discosta dalle altre
opere per il tema trattato. Tuttavia, Fuga, con la romantica storia
del musicista maledetto dalla sua Sonata Macabra, introduce ad un
concetto fondamentale nel cinema politico di Larraín: l'uomo. Fuga,
infatti, narra la storia di una mente, di un essere umano unico e
particolare, di un essere perfettamente visibile nella massa. Questo
interesse per l'uomo con i suoi problemi, le sue manie, la sua vita
quotidiana, è la chiave di lettura con cui il giovane regista legge
la Storia, la Politica e la Società.
E qui arriviamo al
secondo e al terzo film di Larraín, due veri pugni nello stomaco:
Tony Manero e Post Mortem. Tony Manero ci mostra uno spaccato
inquietante della dittatura di Pinochet. Ma tutto è filtrato dal
punto di vista di Raúl che si diverte a interpretare, appunto, Tony
Manero. Un uomo che passa sopra ogni altra cosa, anche sopra i
cadaveri politici dei propri amici e vicini, pur di comparire in tv e
ballare come il suo mito.
In Post Mortem lo
scenario si fa ancora più agghiacciante. Il punto di vista,
stavolta, è quello di un impiegato nell'obitorio dove finirà il
cadavere di Allende. Mario, il protagonista, impassibile, assente,
maniaco, interessato morbosamente solo alla donna che lo attrae, si
sveglia un giorno in uno scenario apocalittico e post-bellico. Si fa
strada tra le macerie e va a lavoro, come se nulla fosse: ignorando
che il colpo di stato è avvenuto proprio mentre si stava facendo la
doccia.
Due film, quindi, in cui
la politica è osservata dal punto di vista dell'uomo comune: perché
Larraín è consapevole che la Storia, prima ancora che dai
personaggi storici, è fatta dagli uomini, che hanno interessi
politici, sì, ma anche una vita intima e personale.
È in questo lo sguardo
geniale di Larraín: nell'aver rovesciato il classico film politico
fatto di concetti filosofici e di discorsi roboanti e nell'aver,
invece, riportato tutto alla dimensione umana e quotidiana. Larraín,
più che alle parole, si affida all'immagine e alla costruzione
dettagliata del personaggio che ci introduce nel film.
Tony Manero e Post Mortem
sono due film dalla fotografia grigia, con una macchina da presa
quasi immobile e pieni di un'angoscia personale e sociale che non
lascia indifferenti.
No cambia le carte in
tavola. Larraín sta seguendo un percorso molto preciso - e si vede.
No, già dal titolo, dice no ai film precedenti. E, infatti, ecco un
film allegro e sorprendentemente ironico, un film giocato tutto su
colori caldi, su luci naturali abbaglianti e su una macchina a mano
che tanto ricorda il cinema-verità. No è la storia del
referendum che ha spodestato Pinochet. E, anche stavolta, Larraín
sceglie il punto di vista più anomalo per un film politico:
protagonista, stavolta, è René, un pubblicitario dapprima restio
poi convinto creatore della campagna televisiva per il No.
René è interpretato da
Gael Garcia Bernal. Non più dal mentore-feticcio Alfredo Castro,
protagonista assoluto di Tony Manero e Post Mortem. E anche questo
aspetto ha il suo perché: Alfredo Castro, nei precedenti due film,
rappresentava il vecchio, la dittatura, la passività, la distanza da
ogni partecipazione. Alfredo Castro trova una parte – peraltro
fondamentale – in No: è Lucho, il pubblicitario che segue la
campagna a favore di Pinochet.
Tutto torna, quindi, come
se Larraín, dal 2008 a oggi, avesse girato un unico grande film.
No narra della battaglia
tra pubblicitari, tra René e Lucho, uno per il No, l'altro per il
Sì. La battaglia ha accenti ironici, a tratti grotteschi: perché
René, appunto, è prima un uomo e poi uno che farà la Storia. E sa che la democrazia va trattata come un prodotto
commerciale, altrimenti non venderà. La sua campagna per il No sarà
tutta concentrata sull'allegria, sull'arcobaleno, su jingle,
balletti, gente in festa: proprio come la pubblicità di una bevanda
gassata. La cosa non lascerà indifferenti i compagni, molti dei
quali vorranno a tutti i costi una campagna basata sui contenuti e
non sulla forma.
Eppure, No non è solo un
film sulla fine della dittatura di Pinochet. È un film molto più
profondo, che può essere esportato in ogni paese, guardato in
ogni situazione politica e rimanere aderente ad ogni realtà. È un
film universale, perché ha lo sguardo disincantato di chi sa
riconoscere il cambiamento dei tempi da una prospettiva privilegiata.
Con la comunicazione visiva, la politica è cambiata: si misura con
gli spot pubblicitari, non più con i discorsi sull'economia o la
società. Vince chi fa la rima giusta o chi usa i colori giusti –
indipendentemente dal colore del simbolo politico. René e Larraín
sanno che la politica è un prodotto alla stregua della bevanda
gassata, del microonde o della nuova telenovela. René e Larraín
sanno che la dittatura di Pinochet è stata violenta ed efferata, ma
sanno anche che quello che verrà non potrà più essere una politica
fatta di discorsi metapolitici pronunciati negli scantinati tra fumo
di sigarette. Lo dimostra bene la scena finale, quando ormai la
dittatura è finita e René e Lucho, il No e il Sì, tornano a
lavorare fianco a fianco per la pubblicità. René fa a i suoi
clienti lo stesso identico discorso fatto ai clienti nella prima
sequenza del film. “Questa pubblicità è aderente al nuovo
contesto sociale” - dice. Una pubblicità ideata e girata quando
ancora c'era la dittatura, mandata in onda a dittatura finita.
Larraín, con No e con la
scelta di Bernal come protagonista, apre al futuro. Apre al Cile che
sta cambiando e che si sta scrollando di dosso il passato. Ma sa
anche che ogni tanto gli echi tornano. Occorre arginarli, Larraín lo
sa bene: purché il linguaggio, come quello del suo cinema, sia
nuovo.
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