Stoker
Anno: 2013 - Nazionalità: USA - Genere: Thriller - Soggetto e Sceneggiatura: Wentworth Miller - Regia: Park Chan-wook
Il giorno del suo
diciottesimo compleanno, India Stoker perde il padre in un misterioso
incidente. Durante il ricevimento per il funerale, fa la comparsa in
casa lo zio Charlie, secondogenito degli Stoker, della cui
esistenza India aveva mai saputo nulla. Lo zio Charlie è giovane,
bello, magnetico e ha sempre viaggiato per il mondo senza mai tornare
a casa. Conosce il francese, sa cucinare, ha visitato ogni luogo
possibile e immaginabile. Ma lo zio Charlie nasconde anche qualcosa –
qualcosa di terribile. Charlie si focalizza su India e cerca di
tirarle fuori ciò che lei ignora di possedere. India non può non
cedere al fascino dello zio. E cedere, in questo caso, non significa
abbandonarsi in maniera passiva ad un uomo: significa, per India,
scoprire la propria identità, capire quello che ha dentro di sé e
farlo venire allo scoperto. In altre parole, far uscir fuori la sua
morbosa attenzione nei confronti della morte, che per India ha uno
spiccato senso erotico.
Stoker, sulle prime, è
un thriller, in realtà è un romanzo di formazione, è la storia
della presa di coscienza di un'adolescente che diventa donna. E, per
quanto il soggetto e la sceneggiatura siano di Wentworth Miller (il
Michael Scofield di Prison Break), questo romanzo di formazione viene
confezionato alla maniera di Park Chan-wook. Segno che una storia
simile non poteva non essere esaltata dalla macchina da presa del
Maestro coreano.
Perché, ovviamente,
narrata in questo modo, la trama sembra una qualsiasi altra trama.
Girato da Park Chan-wook, Stoker diventa un tassello interessante
nella filmografia del regista, il quale sembra inseguire con
determinazione sempre gli stessi temi: Io e Altro, formazione
dell'Identità, Specchio.
Park Chan-wook ti
inganna, sempre. Park Chan-wook non realizza mai il tutto bianco o il
tutto nero. Park Chan-wook ama l'ambiguità, perché l'uomo è
ambiguo, non è mai solo buono o solo cattivo. In Old Boy, ad
esempio, quella che sembrava la vittima si rivelava poi il carnefice
(carnefice passato e carnefice sulla figlia); il padre-vittima di Mr
Vengeance diventa un sicario-carnefice in Lady Vengeance. La
meravigliosa, sublime e spietata madre protagonista di Lady Vengeance
è insieme angelo e demonio: eppure, di fronte a tanta bellezza mista
a tanta brutalità non si può non rimanere affascinati. Park
Chan-wook ha sempre creato questo infinito gioco di specchi, in cui
il riflesso di se stessi è il riflesso di qualcun altro che poi
diventa il proprio stesso riflesso. Non si è mai monolitici Uno e
Io. Si è sempre Io e Altro. E, di solito, quell'Io lo tira fuori
l'Altro.
India ama la morte. Ama
uccidere uccelli e impagliarli. Ama guardare i colli che si spezzano
e far sgorgare sangue quando bacia qualcuno. India non ama e basta:
India fa sesso con la morte. Questo però non lo sa sin da subito. Lo
sa solo quando guarda in faccia lo zio. E anche qui Park Chan-wook
inganna: per metà e oltre del film convince lo spettatore che India
sia la vittima, messa in pericolo da uno zio terribilmente violento.
In realtà, tutto ciò che India scopre sullo zio diventa bagaglio
per la propria identità. Fino a diventare una persona completa, fino
a diventare, da vittima, carnefice.
Nelle prime sequenze del
film, India si guarda allo specchio ma non vede la sua immagine. Non
vede nulla. A poco a poco, inizia a inserire nella sagoma del proprio
volto le tessere della propria esperienza. Gli altri la formano e lei
coglie solo quello che le serve. Non c'è bisogno di tirare fuori
chissà quali teorie per dire questo. Lo dice India stessa, nel suo
monologo iniziale:
Le
mie orecchie odono ciò che agli altri sfugge. Le piccole, remote
cose che la gente normalmente non vede sono visibili ai miei occhi.
Questi sensi sono frutto di una vita di desideri. Desideri da
riscattare. Da completare. Come
alla gonna serve il vento per gonfiarsi, non sono fatta solo di me
stessa: indosso la cintura di mio padre, stretta attorno alla camicia
di mia madre, e le scarpe di mio zio. Questa sono io.
Proprio
come un fiore non sceglie il proprio colore, noi non siamo
responsabili di ciò che diventiamo. Solo dopo averlo realizzato
saremo liberi. E diventare adulti è essere liberi.
Guardare
suo zio negli occhi e cercare di completare quel desiderio è ciò
che India farà di continuo. Lo farà lasciando il desiderio
incompleto, perché un desiderio completo non è più desiderio –
e, si sa, è il desiderio che porta avanti la vita dell'uomo. Quel
sottile gioco incestuoso, mai completamente visibile e mai portato
fino in fondo, tra India e suo zio Charlie è ciò che tiene in vita
quell'Eros e Thanatos di cui India si nutre. Così, per unire India e
Charlie diventa fondamentale tutto ciò che li divide. L'Eros è solo
per procura, a distanza, è solo un colpo d'occhi. Dapprima c'è il
pianoforte, lo Stoker Duet che India e Charlie eseguono a quattro
mani – sequenza girata con geniale maestria, la più bella del
film, probabilmente la più erotica. Dopodiché, Charlie si lascia
guardare da India mentre seduce sua madre. E India si lascia guardare
dallo zio mentre si fa quasi stuprare da un suo compagno di classe.
Fino al “coito” finale: India sdraiata a terra, sopra di lei la
vittima col collo da spezzare, sopra ancora lo zio Charlie che quel
collo lo spezza, con grande orgasmo per entrambi.
E
così si procede verso un finale in cui, man mano che l'identità di
India si completa, l'eros si fa sempre più tutt'uno con la morte.
Anzi: la morte diventa il preludio immancabile per poter godere di se
stessi fino in fondo.
Wentworth
Miller ha avuto il pregio di aver inventato una storia piuttosto
classica, ma con notevoli spunti originali. Lo schema del thriller
psicologico appare classico; di originale, invece, vi è la capacità
di aver scritto un thriller con un profondo riferimento alla
formazione della psiche.
Park
Chan-wook ha trasformato in immagine accattivante e tesa un film in
cui, in realtà, non succede nulla. I punti nodali sono pochissimi,
tre o quattro al massimo. Gli attori sono solo tre. Lo spazio solo
uno, la casa degli Stoker. Fotografia, regia e montaggio fanno la
differenza: Park Chan-wook si affida a una luce penzolante e al
vedo/non vedo, all'alternarsi di porte chiuse e aperte,
all'affusolarsi di scale, al percorso di corridoi spezzettati di
continuo attraverso punti di vista diversi e scavalcamenti di campo.
Il film è fatto di silenzi e di sguardi che si incrociano; di
montaggi paralleli e alternati che portano lo spettatore avanti e
indietro, di qua e di là, procedendo per concetto o emozione e non
per descrizione. Park Chan-wook si affida poi ai rumori, alcuni dei
quali emergono con forza a sottolineare stati d'animo, sentimenti e
passioni. E poi c'è il pianoforte, con quel battere di tasti che
sublima nella musica – e quindi nell'Arte – il Bello e il Brutto.
In
altre parole, Park Chan-wook è un maniaco della forma. È un maniaco
della forma perché sa che solo dalla forma il senso arriva
più diretto, sia alla ragione che al sangue. E Stoker è un film che
Park Chan-wook ha plasmato a proprio modo, un film ormai suo e non
più di Miller. Di quelli che lasciano attoniti, di quelli a cui
pensi anche molto dopo che le luci in sala si sono accese. Di quelli
che investono lo spettatore con la sua dose di inquietudine: sono
vittima o carnefice? E quante probabilità ho di tirare fuori il male
o il bene che sono in me di fronte allo “specchio giusto”?
Il
mistero sulla mente di India esce fuori solo di fronte al mistero
della mente dello zio Charlie. Il problema è: quanto si è forti per
non essere plagiati e rimanere comunque liberi? Quanto in noi
c'è di Io e quanto di Altro?
Commenti
Ma e' bravo con le manovre di ripresa e la luce, sebben troppo sprecato per il genere che tanto l'appassiona. E qui e' decisamente sottotraccia rispetto alle sue note capacita'..
Detto questo, io trovo davvero geniale che un Autore con la A maiuscola e con una poetica ben precisa sia in grado di veicolare temi difficili, profondi, a volte inesplicabili e solo dibattuti in testi filosofici tramite un genere cinematografico navigato. È geniale perché così un autore riesce a far arrivare a tutti qualcosa che in altri casi potrebbe (forse) arrivare solo col film intellettualoide e incomprensibile ai più.
Francamente stento a riconoscere il Park Chan-Wook di 'Old boy' e 'Lady Vendetta' (pellicole, quelle sì, davvero disturbanti) ma va detto che 'Stoker' è un film su commissione, non scritto da lui e dove il regista è stato chiamato a dirigere dopo svariati rifiuti di altri colleghi, arrivando all'ultimo momento e con poche possibilità di intervenire sullo script. E si vede.
Molti mi hanno detto la stessa cosa che dici tu a proposito di Lady Vengeance. Per me il suo migliore, per molti un film minore o poco sensato.