Sucker Punch - pt. 3
Io.
Loro. Tu. Un film in seconda persona.
Ogni film è in seconda persona:
il film si rivolge allo spettatore. Il cinema è una delle arti che
meglio delle altre mette in moto il meccanismo di identificazione. Tale meccanismo psicologico è così forte in sala che quasi annulla la mente dello spettatore, sostituendola con quella del protagonista della storia. Questo avviene in ogni film.
Ma Snyder in Sucker Punch ha calcato la mano e ha fatto un film su un
film: ci ha mostrato, cioè, il meccanismo attraverso cui ogni film è in
seconda persona.
La prima volta che Babydoll entra
in manicomio, assiste ad una terapia della dottoressa Gorskij: la
donna fa salire le sue pazienti sul palco di un teatro e, attraverso
la musica, le riporta alle loro storie. Babydoll osserva curiosa una
ragazza triste e stralunata che si trova sul palco: capiremo poi che
si tratta di Sweet Pea.
Qualche scena dopo Babydoll sta
per essere lobotomizzata. È il momento del passaggio dalla realtà
del manicomio a quella del bordello: il passaggio avviene in modo
inusuale. Infatti tra l'inquadratura del manicomio e quella del
bordello cambia l'attrice. Nella prima, sdraiata sul lettino, c'è
Babydoll. La ragazza chiude gli occhi, ma a riaprirli è Sweet Pea: lei è sul palco, sta recitando. Per ammaliare i
clienti del bordello, il gioco erotico che va in scena è la
lobotomia di Sweet Pea. La ragazza è vestita da paziente succinta,
ha persino una parrucca bionda con i codini come Babydoll; si alza
dal lettino e si lamenta: non ha intenzione di rappresentare una cosa
del genere. Sotto il palco, c'è Babydoll, appena arrivata. Il
passaggio è lì per lì straniante.
Per tutto il tempo siamo convinti che
la protagonista della storia sia Babydoll: e invece è Sweet Pea.
Babydoll è solo colei che deve liberarla. Attraverso la sua
immensa fantasia fa in modo che Sweet Pea sia libera, fisicamente e
mentalmente, e che sia in grado di avere potere sulle proprie azioni. Babydoll ha il compito di trascinare la ragazza nel suo
mondo: Sweet Pea ha paura, preferisce accomodarsi anziché rischiare
e combattere. Se combattiamo, dice, moriremo. Ma se non proviamo a
combattere, le insegna Babydoll, allora non ci sarà alcuna speranza.
Non si sarà tentanto nulla: “Se non combatti per qualcosa, ti ritroverai
con niente”, dice il vecchio saggio.
Babydoll costruisce il film. Lei
è il film. Babydoll è l'Io. Le sue amiche, Rocket, Blondie e
Amber fanno il film. Sono i personaggi. Sono il Loro. Babydoll e le altre ragazze combattono per Sweet Pea. Sweet Pea, a
cui è rivolto l'intero film, è il Tu. Lei è lo spettatore che si
fa trascinare in un nuovo mondo, in un film, per imparare. Imparare a
vivere. Imparare che, se si sa combattere, se si è liberi, allora
si avrà il controllo sul proprio mondo. Si potrà raggiungere il
paradiso. Quel “sei tu” detto a film finito, a schermo nero, poco
prima dei titoli di coda, è la cosa più imprevedibile e lancinante
che Snyder potesse realizzare. Il colpo di scena finale. Per tutto il
film abbiamo creduto che la storia fosse quella di Babydoll, invece
il regista, inaspettatamente, stava seguendo quella che sembrava una
storia “laterale”, secondaria. Sweet Pea è secondaria, come lo è
lo spettatore; ma proprio come lo spettatore, in realtà, è
protagonista. Ogni spettatore è protagonista del film in sala e del
proprio film.
Se lo spettatore comprende di
essere uno Sweet Pea, allora avrà capito anche la lezione. Essere
liberi.
“Se
non combatti per qualcosa, ti ritroverai con niente”. Libertà.
Zack
Snyder consacra, come si diceva nel post precedente, la sua poetica.
L'idea di libertà attraversa tutti i suoi film. Nelle storie da lui
affrontate, c'è sempre una sottomissione, una forma di schiavitù.
In Dawn of the Dead, film impreciso, dalle cadute trash, colpiva
vedere quegli uomini appena infettati dagli zombie decidere di mettersi una
pallottola in testa pur di non diventare... altro.
In 300 l'individuo lottava per ciò che aveva di più caro, combatteva contro la schiavitù e per l'amore della sua famiglia e del suo
popolo. Watchmen prosegue sulla stessa strada: quei supereroi – in
fondo così umani, così malati – si sacrificavano per la libertà
umana e per la verità. Ne Il regno di Ga'Hoole i gufetti
protagonisti venivano rapiti per essere forzatamente arruolati in un
esercito considerato di razza superiore, ma decidevano di ribellarsi e
di combattere una lotta fratricida per la libertà. E arriviamo a
Sucker Punch. Qui, la lotta per la libertà diventa chiara. Chi lotta
ha una personalità spiccata. Chi vuole opprimere non ha mente, né
occhi, né volto: è essere neutro, impersonale, come i samurai dagli
occhi rossi, i soldati zombie, gli orchi simili a bestie e i robot,
lucide lame d'acciaio senza espressioni né ombra. Lottare vuol dire
avere la testa. Essere coscienti. E decidere il proprio destino.
Anche se la lotta dovesse andare male, l'importante è averci
provato.
A
volte, la libertà può trovarsi in un'illusione. In una storia. La
realtà ci sembra così dura e priva di scappatoie che l'unico modo
per evadere è praticarci un buco (metaforico!) in testa. Libertà è guardare
oltre. Chi sa guardare oltre sa anche prendersi gioco di tutti i
carcerieri e di tutti gli oppressori che ha intorno. Chi sa guardare
oltre può sferrare in ogni momento il suo sucker punch, quel pugno
dato a tradimento, quello che manda giù “il fesso”, e avere la
convinzione di essere liberi. La storia, ce la possiamo creare. Può
essere nella nostra mente. Può vivere in un mondo parallelo. Ma
vive. Perché, anche chiusi nella più buia delle segrete, si può essere artisti della libertà.
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