Sucker Punch - pt. 2
Il gioco. Il gioco della
mente. Il cinema in gioco.
Il gioco psicologico presente in
Sucker Punch non si limita alla figura del manicomio o a quella del
bordello. Anzi, l'elemento principale del film è profondamente
psicologico, così psicologico che Snyder sembra quasi aver seguito
un metodo scientifico per costruire la sua storia. O, meglio, il
rapporto tra creatività e psiche – seppur inconscio – è così chiaro nella mente di un artista, che egli non ha alcun bisogno di
sfogliare manuali scientifici. Tuttavia, nel film sono presenti elementi che fanno
pensare ad uno psicanalista in particolare, Donald Winnicott.
Winnicott mise in relazione il gioco, la creatività e la formazione
del sé. Detto in parole povere e semplicissime, per Winnicott il
bimbo inizia il suo gioco prendendo un oggetto che ha il compito di legare il mondo della mente a quello della
realtà: grazie all'oggetto reale il bimbo è in grado di creare un
mondo immaginario nella propria mente, un mondo che non solo "produce" gioco ma anche e soprattutto protezione. L'oggetto di gioco diventa il tramite tra la
percezione del mondo e il modo (personale) con cui il mondo viene
concepito. Crescendo, l'individuo non gioca: ma la creatività
permane. Nell'artista, la fase di gioco infantile non retrocede mai,
ma si sviluppa in modo più preciso e cosciente al fine di costruire l'opera d'arte (che è un incontro tra percezione e concezione del
mondo). Tuttavia la creatività è importante anche per chi non
diventa artista: in questo caso la creatività viene espressa
attraverso la cultura. Andare al cinema, leggere un libro, visitare
un museo sono elementi creativi che riprendono i meccanismi del
gioco: attraverso le espressioni culturali non solo l'individuo si protegge ma, soprattutto,
come afferma lo stesso Winnicott, ha l'impressione che
la vita valga la pena di essere vissuta. Quindi: gioco, cultura,
creatività, vita, il Sé.
Non bisogna andare così lontano
per capire che Sucker Punch è imbevuto, coscientemente o meno, della
teoria di Winnicott. Babydoll, attraverso l'oggetto che di volta in
volta le serve, crea un mondo. In quel mondo avvengono cose
straordinarie. In quel mondo, Babydoll unisce gli elementi reali agli
elementi da lei percepiti: e se i primi sono infimi, perché la
realtà è brutta, la realtà è solo uno spunto, i secondi sono
fantasmagorici, sono meravigliosi, incommensurabili. Babydoll ha la
creatività di un bimbo, attraverso questa riesce a creare il suo
mondo e attraverso il suo nuovo mondo riesce a sopravvivere. Non
solo: vive. Meglio: forma la propria identità. È grazie al suo
continuo giocare e vedere le cose in grande che Babydoll comprende il
suo scopo nel mondo: e il suo scopo è salvare le sue amiche. Essere
libera, non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente (lo dice lei
stessa. La battuta è “E sarò libera” non “E mi libererò”).
Non è detto che la libertà sia solo libertà fisica. La libertà è
la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta, di aver agito
onestamente, con criterio, coerentemente. Forse che Leonida, in
trecento contro diecimila, non sapeva di andare incontro alla morte?
Sapeva di morire, ma ha combattuto per gli altri, perché solo con la sua azione avrebbe potuto risvegliare il suo
popolo. La libertà di re Leonida non stava nel salvarsi la pelle, ma
nell'essere onesto e coerente fino in fondo. La sua era libertà di
giustizia e coscienza. Babydoll fa altrettanto.
La costruzione dell'Io della
ragazza passa, per forza di cose, attraverso la creatività e il
gioco. Vi sono sembrate esagerate le sequenze dei combattimenti?
Troppo paradossali, fuori della norma? Incomprensibili? Perché una
ragazza degli anni Cinquanta dovrebbe portare una katana, dovrebbe
pilotare strani aggeggi volanti, combattere contro zombie, orchi,
robot? È il gioco. Così funziona il gioco. Chiedete ad un bimbo
cosa sta immaginando mentre gioca e rimarrete stupefatti. La bellezza
del gioco sta nel fatto che in esso tutto è possibile: il gioco è
controllato dal bimbo e finché il controllo è garantito, tutto può accadere,
nulla fa paura. Il gioco è il momento in cui il bimbo, costruendo il mondo, costruisce anche se stesso. Babydoll ha creato
il suo mondo e su di esso ha avuto il pieno controllo: perché non
divertirsi? Messo in quest'ottica, nulla appare esagerato, ma tutto
necessario. Non sono esagerate le evoluzioni tra i proiettili, i
voli, le acrobazie: è tutto strettamente necessario. Lo è perché la mente di
Babydoll è aperta. In tutti i sensi. Inutile dire che, in quelle
quattro spettacolari sequenze, Snyder è stato protagonista assoluto.
Quale è il gioco migliore per un creativo? Per uno che ha letto
libri e visto film? Rivivere i libri e i film. Citare (così come i
bambini, giocando, si divertono a citare frasi sentite dagli adulti o
dalle storie che conoscono). In questo esatto punto, il gioco di
Babydoll diventa la creatività di Snyder e la cultura del film: il
regista gioca con i generi e con le storie che, da secoli, fanno
letteratura e cinema. Il gioco sta nell'affrontare i generi
letterari, il fantasy, lo sci-fi, il zombie movie, lo storico, il
divertimento è affrontare quell'immenso e affascinante mistero
rappresentato dalla cultura nipponica. Babydoll gioca con la mente,
Snyder gioca con il cinema. E il risultato è il dipanarsi di
migliaia, milioni di storie che mai trovano inizio né hanno una fine (questo spiega la presenza, nel dvd, dei quattro corti animati che fanno da prequel ai mondi creati da Babydoll). Lo scopo è il viaggio, affascinante, attivo, per raggiungere “il paradiso”. E noi
spettatori, cosa facciamo? Non giochiamo, forse? Certo che sì. E
Snyder ha messo lo spettatore in gioco nel modo più inaspettato che
potesse inventare.
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