Π – Il teorema del delirio
Questo è un post scritto su "commissione". Due matematici mi hanno espressamente chiesto di parlare di questo film e ora eccoli accontentati. Spero solo, in merito alla loro materia piena di numeri, di non sbagliare terminologia.
Anno: 1998 - Genere: Sci-fi, Thriller - Nazionalità: USA - Regia: Darren Aronofsky
La scienza può spiegare
la realtà? Meglio: la matematica può spiegare la realtà? La realtà
è davvero fatta di numeri e formule che sempre e perfettamente
decifrano il mondo?
O forse la matematica è
un'altra forma d'arte cui attingere per rappresentare la realtà così
come può fare un film?
Questi e altri i quesiti
che ci si pone dopo aver visto Π
– Il teorema del delirio di Darren Aronofsky. Il regista mette in
scena una mente profondamente matematica, imbevuta però, senza
esserne cosciente, di cinema.
È bene precisare che qui
si parla di matematica e cinema come di due discorsi filosofici,
linguaggi che interpretano e inquadrano il mondo a modo loro.
Max è un matematico. Non
è solo un matematico: la Matematica e Max sono la stessa cosa. Il
giovane passa le notti davanti al computer cercando di decifrare una
formula che possa essere sempre vincente in Borsa. Ma Max non si
ferma qui; è convinto che tramite i numeri e le formule si possa
comprendere tutto: i paesaggi, il tempo, le persone, i comportamenti.
Ciò di cui non si accorge Max è che non tutto è spiegabile
matematicamente. Infatti, più i risultati si allontanano, più il
giovane ricercatore impazzisce. Il suo impazzire, però, viene
mostrato da Aronofsky tramite una forma ben precisa: la spirale. Ad
essere più precisi: la spirale logaritmica. La spirale logaritmica
non inizia, non finisce, si avvolge su se stessa in un moto perpetuo
in cui è raccolto il senso stesso del suo ruotare. La spirale
logaritmica è nella chiocciola, così come si trova nel trapano in
movimento.
Perché proprio la
spirale? La spirale logaritmica è, sì, un elemento matematico, ma è
anche un elemento profondamente artistico, estetico e, da ultimo,
cinematografico. In essa Hogarth aveva visto la Variety, ossia
l'arte di variare bene (che sarebbe l'arte di comporre bene).
Ejzenstejn chiamò la spirale logaritmica “linea della bellezza”:
tutto ciò che è serpentinato, a spirale, tondeggiante, sinusoidale
e quindi variabile e multiforme è bello: la chiocciola è
bella, come è bella una costa che non sia dritta, è bello l'arco
per cacciare, ed è bella la S.
Max, ad un certo punto
del film, stanco, si prende una pausa. Va sul mare e raccoglie una
conchiglia. La sua voce fuori campo dice:
“11
e 18, ancora prove: ricordate Leonardo
da Vinci?
Pittore, inventore, scultore, naturalista. Italia
XV
secolo. Riscoprì la perfezione assoluta del rettangolo pitagorico e
lo utilizzò nelle sue opere. Tracciando una curva all'interno dei
rettangoli si genera la mitica spirale.
Pitagora amava questa forma che secondo lui era ovunque in natura: la
conchiglia del nautilo,
le corna dell'ariete, i vortici, le trombe d'aria, le impronte
digitali, il DNA
e
perfino la Via
Lattea.”
E aggiunge:
“Ecco la mia nuova teoria: se noi siamo delle spirali e
viviamo in una gigantesca spirale, allora tutto ciò che ci circonda
si fonda in quella spirale.”
Max
centra il punto: siamo tutti uniti, coinvolti da questa spirale che è
presente in ogni cosa, in qualunque cosa. E, quindi, quella spirale è
la vita. Possibile comprendere la vita? Chi può capire
obiettivamente e scientificamente la vita? Nessuno. Se si cerca di
farlo si rischia la pazzia. Si impazzisce perché ci si estrania
dall'esistenza e se un uomo si allontana dall'esistenza muore.
Qual
è allora la soluzione? Entrare nel flusso della spirale e
partecipare alla vita. Max, per dare sfogo alle sue ricerche, si
dimentica di vivere: si chiude a chiave in casa, non parla con
nessuno, comunica con gli altri solo per dar sfoggio delle sue
capacità di calcolatore. Max non si gode il mondo, non si lascia
accarezzare dal vento, non si fa bagnare dalle onde del mare, non
gioca con i bambini, non apprezza il cibo: perché guarda ogni cosa
sempre con intento esasperatamente analitico. E quando non ce la fa
più, decide di commettere un gesto estremo: si pratica una sorta di "autolobotomia". Si buca il cervello con un trapano. Perché proprio il
trapano? Perché nel trapano è contenuta la spirale che solo così può entrare nella
testa di Max. Da quel momento Max non saprà più cosa sono i numeri
e le formule, ma godrà dell'aria, della compagnia dei bambini, del
sole sulla pelle.
La
spirale è il punto di incontro tra la scienza e l'arte o tra la
matematica e il cinema. Non esistono solo rette, né cose
controllabili e calcolabili. Ci sono anche dei misteri. Che possono
essere il calcolo del numero perfetto o le cifre del π,
quelle dopo la virgola. Quando le cose iniziano ad essere multiformi
il calcolo non basta più: subentra l'esistenza e questa è studiata
da un'altra materia, cioè l'arte. La spirale logaritmica, così, da
elemento matematico diviene quella forma che inanella senso
attraverso il montaggio di immagini e parole. Un altro modo per far
capire che, in fondo, arte e scienza sono unite nello stesso flusso a
spirale della vita. Anche la matematica è un mistero, un
affascinante mistero. Ha il compito di riportare ogni cosa al grado
zero, all'essenza; così come il cinema in bianco e nero sgranato
riporta tutto al grado zero dell'immagine. Ma arrivare all'essenza
della realtà tramite la matematica significa riempire pagine e
pagine di numeri. Così come, nell'indomabile e irrinunciabile
tentativo di comprensione, riempiamo il mondo di immagini e parole.
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