Painting of The Week: Scena di strada berlinese (Ernst Ludwig Kirchner, 1913)
Anche se non si è mai vista Berlino, viene istintivo immaginarla con i colori di Kirchner.
Quelli accesi, accecanti,
aguzzi, quelli che diventano saette e perforano gli occhi.
Ernst Ludwig Kirchner
vedeva così Berlino nel 1913. Con quei colori che sprigionano uno
strano fetore, lo stesso fetore della decadenza di una società che
sta morendo e che si trascina imputridendosi.
L'anno dopo sarebbe
scoppiata la guerra e, a trentaquattro anni, Kirchner avrebbe preso
parte da soldato a una delle mattanze più efferate della Storia.
Animo sensibile – dopo un anno di guerra l'artista fu colto
probabilmente da quella malattia che ancora nessuno conosceva, il
disturbo post-traumatico, shock che lo condusse ad un forte esaurimento nervoso e che lo perseguitò tutta la vita fino al
suicidio.
Ma Kirchner aveva dipinto le strade berlinesi prima del violento spartiacque storico
dell'Occidente. Ernst deve essersi trovato in mezzo alla strada, di notte, e deve aver cercato di farsi spazio tra la folla. Ma la folla vaga senza sosta e senza meta. La folla inquieta. Qui c'è un'umanità cieca – non a caso gli occhi
sono solo delle frettolose e spesse linee nere – che si adagia sul
presente e non guarda al futuro. Non vi è alcuna esattezza
prospettica, i palazzi e i corpi sullo sfondo si addossano,
schiacciati, a quelli in primo piano: il risultato è un dipinto che
esce dal dipinto, che soverchia chi guarda e lo soffoca. Perché,
oltre alla prospettiva che si abbatte sullo spettatore, ci sono anche
quelle linee nere, quelle forme allungate che sanno di lama – i
cappelli delle donne, il bavero dei loro soprabiti, i corpi allungati
dei personaggi di contorno che sembrano perdere la loro forma umana,
la mano inerme e inguantata dell'uomo in primo piano, un uomo col
collo girato quasi a trecentosessanta gradi, praticamente un essere
demoniaco.
I colori completano un
quadro pieno di angoscia, blu rosso e verde – quel verde cadaverico mescolato
al giallo che sarebbe da definire verde-Kirchner.
Nessuno qui sa dove
andare, la strada svanisce quasi sotto i piedi dei personaggi e, con
essa, svanisce qualsiasi logico sentiero da seguire, non solo per
Berlino ma per l'umanità tutta. Il mondo si capovolge e la strada si
fa cielo rosso, forse quello stesso colore che, di lì a poco, tanti
soldati avrebbero ammirato atterriti nella notte delle trincee. Il caos e le sue
nefaste conseguenze, l'impossibilità del controllo su un mondo falso
e meschino – questo deve aver visto Ernst Ludwig Kirchner, figlio
di Van Gogh e Munch, esponente dell'Espressionismo, incapace di dare
una forma al mondo se non quella che lui, dopo un atroce metabolismo,
vomitava sulla tela.
Kirchner e i suoi
compagni avevano tentato di gettare un ponte (Die Brücke).
Non un ponte col mondo ipocrita e borghese, col quale ogni forma di
comunicazione e comprensione era impossibile da effettuare; il ponte
era quello con l'Arte, con l'arte vera, priva di retorica, priva di
buonismo e bellezza. L'estetica del brutto fa capolino proprio qui,
nel 1905 circa, tra le dita e la tavolozza di Kirchner. Dite pure che
è brutto questo quadro, Kirchner ne sarebbe contento. Ma la
bellezza infinita dei suoi sentimenti ancora si percepisce a distanza
di cento anni. Kirchner, un ponte, lo ha gettato, tra sé e noi che
ancora oggi giriamo la testa, aggrottiamo le sopracciglia e ci facciamo
investire dal dolore, dallo stupore, dalla mente estatica di questo
artista.
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