Painting of The Week: Pietà Rondanini (Michelangelo Buonarroti, 1552-1564)
A rigor di logica, non
sarebbe giusto parlare di “painting”. Una scultura non è una
pittura. Eppure, Michelangelo ci permette di poter mescolare i
termini e di parlare di pittura anche laddove vi sia una chiarissima
opera in scultura. Non è un caso: Michelangelo, dipingendo, scolpiva
e, scolpendo, dipingeva. I suoi dipinti ci appaiono come
mastodontiche e massicce sculture, mentre le sue sculture sembrano
aver preso vita con la leggerezza del pennello, strumento che
permette al pittore di donarci i dettagli più piccoli e di sfondare i contorni allo stesso tempo.
In particolare, ciò che
nelle sculture di Michelangelo dà l'idea della pittura è quel
non-finito che non è un vero e proprio lavoro incompiuto. Laddove la
pietra rimane scabra, poco lavorata, Michelangelo dona alla materia
atmosfera e respiro: non solo una riproduzione in pietra, ma un corpo
vivo. A onor del vero, occorre dire che questo è prerogativa anche
delle sue opere più “definite”: la Pietà di San Pietro o il
David sono opere così traslucide da sembrare cera, da richiamare i
dipinti romani in cui, si dice, ci si poteva specchiare.
Tuttavia, oggi ci
interessa parlare del Michelangelo forse meno osannato, quello più
intimo, sofferente e che sa arrivare nel profondo.
La Pietà Rondanini è,
probabilmente, l'ultima opera del maestro. Ottantanove anni, solo,
malato, privo della forza della gioventù eppure ancora con la forza
per sbozzare una pietra – e per farlo in maniera molto coerente.
Michelangelo muore nel 1564, dopo aver visto il Rinascimento, la sua
crisi, la rivoluzione dei grandi – oltre lui, Leonardo e Raffaello
– e la fine del Rinascimento, quella iniziata dallo stesso Buonarroti col
Giudizio Universale, quella dell'annullamento dello spazio e dei
soffitti colmi e sfondati. Michelangelo muore pochi giorni dopo aver
saputo che proprio quel terribile Giudizio sarebbe stato censurato
per non essere distrutto. Michelangelo, soprattutto, muore solo,
privato dell'affetto del caro padre e dell'amatissima amica Vittoria
Colonna. Michelangelo muore con una visione molto mutata della
religione, lui che è stato un grande artista ma, soprattutto un
grande critico, analista e teologo. La Pietà di San Pietro ha la
gagliardezza dei ventidue anni: come può un ragazzo giovane, capace
e geniale – sapeva di essere geniale, era grande come i maestri
dell'antica Grecia! - vedere nella Pietà di Cristo un momento di
dolore? Lì, Maria non ha il volto della madre che ha appena perso il
figlio, ma le fattezze della sedicenne che lo ha partorito. Distesa,
grande, accogliente, tiene il figlio non tra le braccia ma quasi in
grembo, come a voler dire: è nato, rinascerà, è rinato! E lui,
beatamente defunto, ha il viso della completezza, l'unica che l'uomo
possa provare – quella dell'unione con la madre.
A sessant'anni circa,
Michelangelo sconvolge il mondo cristiano con la sua terribilità,
metri e metri di azzurro e di corpi avviluppati, scossi e atterriti
dal gesto quasi disgustato – terribile, solenne ma incredibilmente
affascinante – del meraviglioso Cristo Giudice dietro l'altare
della Sistina. Un'accusa verso tutti, nessuno escluso, neppure
l'artista, che forse si dipinge nella figura dalla pelle floscia.
E che ne è della
gagliardezza dei ventidue anni e della terribilità religiosa del
Giudizio Universale qui, nella Pietà Rondanini? Nulla. Qui c'è solo
metafisica e dialogo a tu per tu con la morte. Qui, Michelangelo
interroga Dio nell'estremo passo, ma non conosce la risposta: l'unica
risposta che sa darsi è, probabilmente, il bisogno di affetto e
ricongiungimento coi cari.
Cristo è in piedi e la
Vergine è dietro di lui. Sembra quasi che sia lui, il figlio, a
sorreggere la madre e non il contrario – quanta verità
in questa immagine! Che Cristo senta il peso della mancanza, della
solitudine, la stessa degli ultimi giorni di Michelangelo? Su una
cosa non vi è dubbio: i due corpi, uniti, indivisibili, stanno
ascendendo; appena appoggiati a terra, si stanno librando. Se la
Pietà Vaticana è ancorata a terra, è terrena, presente, visibile,
umana, la Rondanini è la voglia di arrivare all'anima. Di sentire,
di andare oltre l'esistenza e le sue condanne.
Nel blocco di pietra dove
ora appaiono uniti madre e figlio, inizialmente, Michelangelo doveva
ricavare solo la figura della Vergine. Ad un certo punto, però, elimina il progetto
originale e, nello spazio di un corpo, ne ricava due: c'è una dolcezza
infinita in queste figure evanescenti, dai volti appena abbozzati.
Per nulla definiti eppure espressivi – espressione di solitudine,
amore, morte e anima. La pietra, qui, non si fa presente: diventa
eterea. Con la pietra (e nonostante la pietra), Michelangelo
riesce a comunicare il senso della leggerezza, dell'afflato
sensibile, dell'ultimo respiro, quello degli occhi chiusi e della
speranza oltre la vita. Tutto questo, in Michelangelo, è pittura.
Non è voglia di non finire o stanchezza: è volontà di non-finito.
Il non-finito attraversa un po' tutta l'opera del Maestro. La Madonna
della Scala, gli Schiavi, il volto del Crepuscolo nella tomba
medicea, per non parlare delle azzeccatissime Prigioni – corpi che
si liberano dalla pietra con sforzi disumani. Il non-finito è
pittura. È rendere sfumati i contorni, le cose, dar loro vita e
libertà. E, nella Pietà Rondanini, si avverte la libertà
dell'anima che si scrolla di dosso il corpo.
non può, Signor mie car, la fresca e verde
età sentir quant'a l'ultimo passo
si cangia gusto, amor, voglie e pensieri.
L'arte e la morte non va bene insieme
Commenti
Fa venire i brividi perché sembra che le figure vogliano uscire dal loro blocco di marmo... è un'opera di una modernità incredibile, secondo me è alla base della scultura contemporanea.
@Vele: Sì!! Hai perfettamente ragione, è un'opera modernissima! Come mi piacerebbe vederla. Io ho potuto vedere la Pietà di San Pietro, che però non mi tocca come questa di Milano. E, solo per inciso... A Milano vorrei tanto vedere l'Ultima Cena di Leonardo! :)