Painting of The Week: La zattera della Medusa (Théodore Géricault, 1819)
Questa è la storia di un
naufragio realmente accaduto e di un mancato naufragio, di un
non-naufragio, in altre parole, di un successo.
Il naufragio realmente
accaduto è quello della fregata francese Méduse, una sorta di
Titanic dell'Ottocento ma con un livello di drammaticità e morte ben
superiore a quelle del transatlantico di lusso. Il mancato naufragio,
invece, è quello di Théodore Géricault, il giovane pittore autore del dipinto sul fatto di cronaca che sconvolse la Francia.
Sì, perché Géricault
aveva deciso di rimanere con un piede nella tradizione pittorica e, allo stesso tempo, di
avanzare un passo nel futuro dell'Arte: il giovane Théodore stava
sperimentando un linguaggio e un soggetto nuovi eppure non fece la fine del rifiutato, né ricevette
solo critiche negative (che sempre emergono di fronte al nuovo); molti furono gli elogi di chi rimase
ammaliato dalla novità dall'opera, cruda, emotiva e sconvolgente allo stesso
tempo.
La Méduse si incagliò
in un banco di sabbia al largo della Mauritania nel 1816. Impossibile da
liberare, alcuni membri dell'equipaggio, compreso il capitano,
abbandonarono la nave e continuarono la navigazione a bordo delle
scialuppe. I più sfortunati furono costretti a montare su una
zattera – La zattera della Medusa – e a consegnarsi ad un destino
macabro e atroce. Ben presto, si comprese che la zattera non avrebbe
retto il peso degli uomini. Alcuni affogarono subito, altri morirono
di stenti. A quel punto, i vivi iniziarono a mangiare i morti. In un
misero spazio di centoquaranta metri quadri, stava andando in scena
una delle tragedie più abominevoli dell'umanità, fatta di speranza,
disperazione, morte, vita e capovolgimento totale della morale - dodici, infiniti giorni di mare.
Cosa non si fa pur di
sopravvivere, avrà pensato Théodore, ventotto anni, ancora cinque
da vivere, una sensibilità fuori del comune e la voglia di imporsi sulla scena pittorica nazionale.
Théodore decide di cavalcare l'argomento del momento e sforna una
tela di cinque metri per sette, una vera e propria tempesta di
immagini, forme e colori. Lo fa rifuggendo da qualsiasi schema – o,
almeno, oggi, così possiamo dire.
Géricault è stato
definito artista romantico. E il Romanticismo c'è tutto. C'è la
foga dei sentimenti, ci sono le emozioni irruenti che escono dal
quadro; c'è il mare, forza della natura a cui non si può sfuggire,
terribile e sublime ad un tempo, orrorifico, sensuale: Romantico,
appunto. Ma il pittore non allontana neppure il Classicismo: la
struttura piramidale e i corpi ne sono un segno evidente. La base
della figura geometrica è data dal legno della zattera e dai corpi
distesi, dopodiché le linee della piramide si inerpicano attraverso
corpi muscolosi e perfetti, frutto dell'ideale greco e
rinascimentale, corpi che si protendono verso la cima grazie
all'espediente di sguardi e braccia distese; la cima, la punta
drammatica dell'opera, è data da un marinaio dalla schiena possente
e michelangiolesca che sbandiera un pezzo di stoffa rosso, sperando
che la nave, il misero puntino visibile solo con la lente
d'ingrandimento, possa portare la ciurma in salvo.
Eppure, allo stesso
tempo, la classica piramide di corpi perfetti ma dannati viene
sbilanciata dal suo contraltare, l'albero e la vela tenuti da improvvisate sartie, altra piramide che si incastona nella prima.
L'artista afferma una cosa e subito dopo la nega: in questo modo crea un'opera problematica.
L'artista afferma una cosa e subito dopo la nega: in questo modo crea un'opera problematica.
Ma Géricault fa di più:
aggiunge un tocco di realismo. Quando parliamo di Realismo, in
Francia, chi viene in mente? Courbet, che - quale scherzo del destino! - nasce proprio nell'anno in cui Géricault finisce ed espone La Zattera. Géricault, aggiungendo in epoca
Neoclassica/Romantica quell'elemento di realtà, farà scuola: e così decide di dedicarsi alla cronaca del momento,
quella dei giornali, quella che, se non resa eterna da un'opera d'arte,
rischia di cadere nel dimenticatoio delle tipografie. La realtà sarà
di importanza cruciale per Géricault, il quale, dopo una lunga depressione, realizzerà un'innovativa serie
di Pazzi, volti inquietanti e indagati in ogni recesso, dove la
ruga restituisce il senso della malattia mentale.
Il realismo sta anche
nella crudezza mostrata. Il classicismo dei corpi di cui sopra viene
stemperato dal modo in cui essi sono trattati: corpi realmente morti,
non corpi che sublimano la morte – c'è sofferenza reale, non vi è traccia di quella trasfigurazione che David aveva operato ne La Morte di Marat.
Alla base della zattera, un cadavere coperto da un velo sta per
sciogliersi dal legno ed essere inghiottito dal mare; un giovane ha le
membra abbandonate, braccia e gambe aperte a mostrare i genitali e
l'epidermide di un verdastro nauseante: ai piedi due spietati e
pietosi calzini. Accanto a lui, quel che rimane di un uomo: di
quest'ultimo si intravede solo il busto, poi più niente, segno di
quel cannibalismo che ha tenuto in vita i superstiti. A destra del
quadro, un ragazzo biondo, di spalle, allunga il braccio verso la
salvezza, ma sopra di lui il cadavere di un marinaio sembra
braccare il vivo come il peggiore degli zombie.
Géricault ci fa
percepire tutta l'agonia della ciurma, tutta l'atrocità dell'evento,
il caos degli animi e la metamorfosi dell'uomo che, pur di rimanere uomo, si fa animale
e si macchia dell'impensabile. Per una società senza foto e fatta
solo di parole, trovarsi di fronte all'immagine del fatto di cronaca deve essere stato devastante.
Ma, il fatto che ancora oggi l'opera colpisca e sconvolga ci fa
capire che Géricault non si limitò a descrivere un evento:
Géricault, della realtà, fece Arte.
Commenti
Quando me lo sono trovata davanti al Louvre sono rimasta a bocca aperta, altro che Gioconda, con tutto il rispetto per Leonardo!