Hunger Games



Anno: 2012 - Nazionalità: USA - Genere: Fantascientifico - Regia: Gary Ross


Hunger Games è un film dal tema potente e dalla regia tecnicamente curata, ma con carenze di tipo emotivo. Rispetto a quest'ultimo punto, bisogna capire se l'assenza, a tratti, di un certo coinvolgimento sia voluto o meno.

Il film – tratto dal romanzo di Suzanne Collins – immagina che il mondo sia dominato da una futuristica e dittatoriale città di nome Capitol. In passato, l'ordine del regime è stato turbato dalla rivolta dei dodici distretti sottomessi. Sedata la ribellione, per non dimenticarne la violenza, Capitol ha deciso di indire gli Hunger Games: ogni anno, un ragazzo e una ragazza di ogni distretto, in qualità di “tributi”, vengono posti al centro di un'arena e obbligati ad una violenta lotta per la sopravvivenza: solo uno vincerà. Il problema è che questa lotta per la sopravvivenza avviene di fronte al vigile e silenzioso occhio della telecamera. Gli Hunger Games sono un reality show.
Katniss Everdeen si offre volontaria come tributo per salvare la sorellina, estratta a sorte per il “gioco”. Katniss sa cacciare e tirare con l'arco, è forte ed intelligente e ha buone probabilità di sopravvivenza.



Immaginiamo che le parole “nominato” ed “eliminato” dei reality show siano prese alla lettera. Persone nominate a estrazione finiscono in tv in un vero gioco ad eliminazione (fisica) diretta. Vi è quindi l'incontro di due elementi importantissimi, che semanticamente convivono: la lotta violenta e la vittoria, la vittoria di un reality che è la vittoria della vita. Vi è un'estremizzazione del concetto televisivo odierno – lo spettacolo macabro della morte in tv - ma è proprio attraverso il paradosso che l'idea viene veicolata nel modo giusto.

La storia sembra ricalcare Battle Royale, manga di Masuyuki Taguchi, a sua volta ispiratosi al romanzo di Koushun Takami. Figure eccentriche e distopiche, parossistiche e ciniche, colorate come le frequenze televisive dominano il mondo, sottomettendo gli abitanti dei distretti che vestono in stile anni Quaranta e che sono sottoposti ad una "mietitura" che tanto ricorda i rastrellamenti nazisti.





La Collins immagina una società fondata sui tributi umani, elemento antico: i ventiquattro tributi, due per ogni distretto, ricordano molto le sette fanciulle e i sette fanciulli che, ogni anno, Atene doveva dare in pasto al Minotauro: chiusi all'interno di un labirinto, i quattordici ragazzi ateniesi non avevano scampo. Questa grecità e questa mitologia ritornano, nel film, con la parata dei tributi, che giungono a Capitol trainati da bighe, sventolando abiti mitici, corone d'alloro e calzari classici riletti nell'ottica futurista e kitsch del tubo catodico. Anche i nomi dei potenti sono ripresi da Roma antica: Seneca, Caesar, Claudius. Forse è azzardato usare il nome di Seneca (di un uomo che si suicida per integrità morale) su un personaggio che controlla ferocemente gli Hunger Games, ma è probabile che la Collins abbia deciso di affibbiare ai suoi personaggi nomi romani per dire che nulla è cambiato: se un tempo la violenza e la spinta alla morte erano concetti naturali, oggi, pur essendo concetti che inorridiscono, sono giustificati dalla paventata democrazia dell'occhio televisivo. La tv mostra tutto e tutto può, dando un falso senso di partecipazione.

In realtà la tv lascia inermi e impotenti. Chi vi finisce dentro, a meno che non la comandi, non potrà mai esserne il padrone. Per sopravvivere e vincere deve adattarsi al gioco, anche se è il peggiore gioco che si possa immaginare.
Questo è un altro punto in favore del libro/film: vengono smascherati i meccanismi non tanto della tv in generale, quanto dei reality show. Il reality show non è realtà e non è neppure finzione. Il reality show vuole che tutto avvenga all'interno della realtà, ma attraverso una manipolazione tipica della finzione. Per questo, in sé, il reality show appare ontologicamente sbagliato. O esiste la realtà, inafferrabile e incomprensibile, o esiste la finzione, finzione a tutto tondo però, l'unica in grado di trasmettere verità e di far capire il mondo che sfugge. Quando la realtà è dominata dalla finzione non c'è narrazione né arte: c'è solo falsità.

E proprio sulla falsità si gioca l'intero film. Non sulla vera recitazione, ma sul buon viso a cattivo gioco, sull'adattarsi alle regole, sul rinunciare a se stessi in nome di ciò che vuole l'audience.

Per questo è difficile dire se il film, emotivamente, coinvolga o meno. O meglio: ci sono momenti in cui coinvolge, altri in cui non coinvolge affatto. Coinvolgono i flashback di Katniss, per i quali, fortunatamente, si è deciso di adoperare solo immagini mute e oniriche; e coinvolge il rapporto della protagonista con la sorellina. Ma una volta dentro l'arena, i sentimenti si dissipano: inutile ripetere che in un reality, nonostante il nome, non c'è nulla di vero; c'è solo la parvenza del vero e ci sono solo personalità che né recitano né sono, ma rifiutano se stesse per obblighi di scaletta. E Katniss fa, appunto, buon viso a cattivo gioco: sta alle regole e recita. Fa finta di amare il suo compagno di distretto, si cala nella parte quel poco che basta per sopravvivere e tornare a casa dalla sorella.
L'unico vero momento in cui il film buca lo schermo è la morte della piccola Rue, l'unica reale partecipazione di Katniss all'evento. Affezionatasi alla bambina, Katniss le dona una sepoltura di tutto rispetto. Rispetto: è quello che manca in tv, nei reality show. Il rispetto per la vita umana, per la dignità e per la privacy. È lì che la finzione del reality si sgretola, proprio nei gesti di Katniss che, dimostrando di padroneggiare le regole televisive, dopo aver dato onori funebri a Rue, si rivolge alla telecamera, bacia le dita e le alza al cielo, scatenando la rivolta fuori dello schermo, nel distretto 11, quello in cui Rue viveva.
Questa scena è stata effettivamente potente: scardinamento del marasma televisivo e delle regole imposte, regole che si dimostrano salde, ma anche fragili, perché possono sempre sfuggire di mano. È con lo stesso principio che Katniss svela i meccanismi della tv nel finale del gioco, cambiandone le regole.

Quindi, il dubbio rimane: il film, in alcuni momenti, non coinvolge per mancanze della sceneggiatura o non coinvolge perché i finti sentimenti televisivi, per definizione, non possono coinvolgere? La seconda ipotesi potrebbe essere un buon supporto per leggere il film, considerato il fatto che l'opera non è neppure troppo edulcorata o patinata – le frenetiche macchine a mano delle lotte e delle rivolte ne sono una testimonianza.

Rimane il fatto che l'argomento è seriamente da analizzare. Non tutta la tv è da buttare. Molta produzione televisiva è di grande qualità. Ma il problema sorge quando si vuole spacciare per reale ciò che reale non è. Perché laddove c'è una telecamera c'è sempre finzione. E se si finge in realtà, allora, come già si è detto, è tutto falso. C'è chi rimane svuotato dai meccanismi televisivi e chi li piega alle proprie esigenze. Ma c'è anche chi crede che ciò che avviene nel piccolo schermo sia vero: e scoprire che la verità, lì dentro, non è mai esistita o è esistita solo per mero interesse, può essere fatale.

Il secondo film della trilogia è già in lavorazione: vedremo se il discorso su comunicazione, società, spettacolo e politica verrà approfondito nel modo giusto.

Commenti

Elisa ha detto…
L'ho visto: bellissimo!! :):)
E, come al solito, ottima la recensione! :):):):)
Cannibal Kid ha detto…
questo post è la riflessione più interessante e intelligente che ho letto sul film. come hai sottolineato, è un'opera non priva di difetti però ricca di spunti di riflessione. cosa che non credo si possa dire a proposito di molti altri blockbuster americani in circolazione...
per me la freddezza è voluta e segue in questo il comportamento di katniss, che non può (quasi mai) lasciarsi andare alle emozioni. pena la morte
Veronica ha detto…
@Elisa: ciao carissima, bentornata! Anche a me il film è piaciuto molto. Buona serata.
Veronica ha detto…
@Marco: sono d'accordo con te. Katniss sa emozionare solo quando si rivolge fuori dello schermo, al pubblico (quello televisivo e quello in sala). Anzi... Forse si dovrebbe considerare positiva la sua freddezza nel gioco: un contraltare perfetto a tutte le lacrime (un po' forzate, un po' falsate) che si sprecano nella nostra tv.
Vele Ivy ha detto…
Speravo che ne parlassi, perchè ho visto il trailer al cinema e mi ha incuriosita molto, desideravo saperne di più! In effetti il tema è affascinante.
Barbara ha detto…
Amo questa saga!
Ti fa riflettere anche se la roba del reality show non è stata spiegata molto bene, per chi non ha letto il libro molte cose sono difficili da capire...
Veronica ha detto…
@Vele: ti consiglio di vederlo. E' un film particolare e che io credo di non aver esaurito del tutto col mio post. A presto!
Veronica ha detto…
@Barbara: non ho letto il libro, ma del film molte cose mi sono chiare. L'unica cosa che mi è rimasta oscura è il personaggio interpretato da Donald Sutherland... forse avrebbero dovuto dargli più spazio. A presto!