Natale #1 - ATTESA - Atto secondo e finale



Io e lei abbiamo un figlio. Che ha quasi cinque anni. Ma lei si ostina a dire che non è mio, anche se ormai la somiglianza è un fatto lampante. È il motivo per cui sono tornato proprio questo Natale. Perché il piccolino – anzi, lo scoiattolo, come lo chiama lei – a quasi cinque anni, ormai è un ometto ed è identico a me. A guardarmi entrare, la manifestazione del vero deve essere avvenuta all'unisono sia per i nonni materni che per i finora inconsapevoli nonni paterni. Questo è anche il motivo per cui lei, a pulire il pesce, se ne sta zitta e nervosa e a disagio. Lo scoiattolino gioca ad un angolo della cucina con un giochino che gli ho portato e che è un piccolo anticipo sul regalo di Natale. Lo so, lo sto già viziando.
Il punto è che, quando è rimasta incinta, lei non ci voleva credere. È avvenuto tutto troppo velocemente, una vita d'amicizia e poi è bastata una serata in un locale e un po' di musica assordante e tutto quel bum bum cha e tum tum tum che si è infilato tra un vino e una birra a farci finalmente capitolare. E si sa che in vino veritas, ma anche in birra veritas e in vodka veritas e se non ricordo male pure in rum veritas, può avvenire di tutto. Be', poi sapete come sono le donne, coraggiose e sole e maledettamente testarde anche quando non serve. Mi ha respinto, mi ha cacciato, mi ha detto che lo scoiattolino non era mio figlio e che la cosa finiva lì. Non so perché sia impazzita quanto se non peggio di Van Gogh, ma è lei che ha ispirato la mia performance. Va benissimo. Tu sei pazza. Anche io, allora, sono pazzo. Anzi, mi metto a interpretare proprio Vincent e vediamo se preferisci cacciarmi dalla tua vita o essere la mia famiglia. Un po' estremo, certo, inculcarle l'idea della mia (non) voglia di suicidio, ma efficace.
Ovviamente, con le interiora del pesce tra le mani, sono io a rompere il silenzio.
Allora, hai ricevuto i miei disegni?
Agita solo la testa per dirmi di sì e non stacca gli occhi dalle vongole.
Uno era per te e uno per lo scoiattolino. Quello con le colombe per te, quello con i passerotti per lui.
Sì lo so – dice – Ma lui ha regalato il suo a un'amichetta dell'asilo.
E perché?
Non ti agitare. È un bravo bambino. Educato, rigoroso, forse anche troppo. E a volte fa questi gesti, di una spontaneità... che quasi sembra un altro bimbo. Il disegno gli piaceva talmente tanto che ha deciso di regalarlo alla sua amichetta che, be', non stava troppo bene.
In che senso?
Uh, una storia assurda, lei è sordomuta, si esprime solo a segni, non la capisce nessuno e tutti la prendono in giro. Lo scoiattolino non sa parlare la lingua dei segni, ma ha capito che il disegno era qualcosa di simile.
Allora è proprio un bravo bambino.
Te l'ho detto.
Che va in giro a regalare disegni. Come faccio io.
Fermati, per favore.
E magari ha anche un talento naturale per l'ar...
Ti ho detto di fermarti. Non continuare.
Mi guarda con gli occhi foschi. Dalla sala arrivano odore di camino e crepitio familiare. Rumore di stoviglie d'argento e bicchieri di cristallo da vino, da acqua, da champagne. Credo che il Natale sia la miglior festa dell'anno. Penso. Mi lancio sulle sue labbra dagli occhi foschi e le lascio un bacio – luminoso.
Sarà il caso di cucinare l'astice o altrimenti niente linguine, dico.
Lei se ne sta immobile con una vongola bollente tra le mani, l'acqua di cottura le si infila tra le unghie e brucia. Ma non una parola. Solo gli occhi fissi sul giardino e le orecchie prese dal camino, dalle stoviglie d'argento, dal cin cin di cristallo e da un bacio luminoso.
Ti va di infilare gli odori nella pancia delle orate? Le chiedo. Su, accendiamo il forno, è davvero tardi.
Tanto dobbiamo aspettare la mezzanotte. Dice in un sospiro.
Prendo l'astice. È stordito. Il pentolone sfrigola.
Lei storce occhi e naso. Per favore non farmi vedere che lo fai.
Dovresti guardare, invece – le dico.
Quest'astice stordito in una padella bollente è come mi sono sentito io negli ultimi (quasi) cinque anni. E, anche se finora non ho mai messo le virgolette nel nostro dialogo e voi potreste scambiare l'ultima frase per una frase detta, be' - questa frase non gliela dico. Gliela faccio capire. Le linguine all'astice sono l'eccellente risultato di una cottura, per certi versi, sofferta e straziante.
Me ne sto a guardarla incerto e preoccupato mentre tengo stretta la maniglia del coperchio della pentola. Lei se ne sta a guardarmi mentre taglia a metà i piccadilly e pian piano li cosparge di sale fino. Prezzemolo, aglio, peperoncino.
Che darei per sapere che stai pensando.
Forse mi vuoi dire che quasi cinque anni fa ti sei vergognata terribilmente, con la tua famiglia, con la mia, per aver disatteso i loro programmi e i tuoi programmi, ma non sapevi come dire che, in quel momento, avere lo scoiattolino era la cosa che desideravi di più, in barba ai progetti di studio, di lavoro e di famiglia. Forse mi vuoi dire che il passaggio dall'essere amici al condividere un figlio è stato troppo repentino per capirci qualcosa. Che le persone reagiscono sempre in modo poco razionale di fronte al non programmato. Un po' come quando Vincent si è tagliato l'orecchio, non appena si è reso conto di quello che stava per fare all'amico Paul.
Però – le dico come se avessi ascoltato il suo non discorso – però il Natale mette sempre un po' a posto le cose. Sai, uno fa i bilanci, capisce meglio ciò che è importante.
E non continuo. Vorrei dipingere, ora, per te, quello che provo, ma mettendo da parte Van Gogh, che proprio non è nelle mie corde. Colorerei un po' la tela con macchie dense e poi passerei sopra con le mani per rendere il colore nebbioso, sempre più evanescente, sempre meno tangibile, come toglierti di dosso il peso dei ricordi – e delle scelte.
E di sicuro sono poco Van Gogh se penso che la scelta migliore da fare ogni anno sia quella di tornarmene a casa per Natale, di sedermi alla tavola a cui, a fasi alterne, mi siedo da trent'anni, cercare di ripetere incessantemente la tradizione eppure tradirla – di poco – di anno in anno, fino a inventarne una nuova.
Penso questo, al disegno che ho in testa, alle parole che rimangono sulla lingua, mentre le stampo il secondo bacio sulle labbra, al volo, e faccio sedere lo scoiattolino sulle mie spalle. Me ne vado in sala col pentolone fumante di linguine all'astice e mio figlio che mi tira i capelli, per reggersi, per far finta di guidarmi – anche se forse mi ha guidato per davvero. Lei entra in sala accanto a me. Attendo la sua risposta. Che sia un bacio, una parola, un disegno, un altro figlio.

Il camino scoppietta e le orate, dal forno, cominciano a sprigionare il loro odore. Sul carrello, al lato del tavolo, pasta di mandorle, panettone, pandoro, biscotti al cioccolato, ciambelle all'anice e il torrone aggredito da papà – la tavola apparecchiata da mamma, coi colori rossi che si riflettono nel bianco del servizio buono e nel cristallo da cui stiamo per bere.  

Fine...
Per la prossima storia, arrivederci a lunedì prossimo

Short Story by ©Veronica Mondelli - Tutti i diritti riservati
Immagine: Marc Chagall, L'anniversario, 1915
Soundtrack: Hurts, Guilt 

Commenti

Vele Ivy ha detto…
Una storia di Natale insolita e originale, com'è nel pieno stile Veronica... non ci potevamo certo aspettare la classica favola zuccherosa! ;-)
La cosa che mi è piaciuta di più è l'atmosfera: gli aromi della cucina, i profumi, e le pennellate di colore.
Veronica ha detto…
Sono contenta che i profumi della cucina siano arrivati... era una delle cose a cui tenevo di più, perché la reputo la più difficile.
Di sicuro in questa cucina c'è un forte odore di mare, ma poco odore di zucchero ;).