Hanna
Anno: 2011 - Nazionalità: USA, UK, Germania - Genere: Azione/Thriller/Spy story - Regia: Joe Wright
Hanna è l'ultimo film di
Joe Wright che, stavolta, dopo aver esplorato il cinema in costume
con Orgoglio e pregiudizio ed Espiazione, affronta la spy story.
Hanna è un film con una
trama (volutamente) esile. Hanna ha quindici anni e vive sola con il
padre in mezzo alla neve. Il padre la allena, le insegna il
combattimento, la sopravvivenza, l'allerta e svariate lingue. Hanna
impara tutto con grande facilità, preparandosi all'evento: farsi
trovare dalla terribile Marissa Viegler, ucciderla e vendicare così
la morte della madre.
La trama è piuttosto
"classica".
Il lavoro che Wright fa
su questa trama è del tutto particolare. Ed è un lavoro di regia e
montaggio che si può articolare su tre livelli.
Primo livello. Wright è
un classico. Per classico si intende innanzitutto lo stile filmico.
C'è il classico, c'è il moderno e anche il postmoderno. Lo stile
classico è quello dei film americani degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta,
ma il termine classico non è legato a epoche precise. Si possono fare film
classici anche oggi. Basta rispettare alcune regole.
Ad esempio, uno stilema
da cinema classico è quello di presentare nella prima sequenza tutti
quegli elementi che si presenteranno alla fine del film e che
scioglieranno la vicenda. In Hanna è la freccia, così come la frase
che pronuncia in apertura e in chiusura del film.
Ma il classicismo di
Wright si spinge un po' oltre. Il regista è classico anche per
l'ordine, la grandezza, la purezza e la compostezza delle
inquadrature. La disposizione degli oggetti, della scenografia, dei
colori, dei gesti è sempre molto simmetrica. D'una simmetria che
spesso diventa così evidente da far trionfare il lato formale su
quello del mero contenuto.
E qui arriviamo al
secondo livello. Wright, dopo aver impostato la base classica del suo
film, si diletta in virtuosismi: Wright è un manierista.
Tutta quella classicità
diventa preponderanza dello stile. Wright si fa formalista, adotta lo
stile per lo stile: estremizza così tanto gli elementi classici da
farli divenire, appunto, visibili sopra ogni altra cosa. È così che
un inseguimento diventa un mirabolante e psichedelico balletto di
luci e suoni. È così, ad esempio, che il film inizia e finisce con
la stessa inquadratura e la stessa frase di Hanna: "Ti ho
mancato il cuore!" e lo sparo. Iniziare e finire il film
esattamente con la stessa composizione fa capire quanto Wright sia
andato oltre il classicismo, si sia preso la licenza di mostrarci il
suo lavoro con la macchina da presa, estremizzando le regole di
costruzione filmica.
Manieristicamente – e
formalmente – geniale è il piano-sequenza, lunghissimo,
articolato, che Wright fa sul padre di Hanna. L'uomo esce dalla
stazione, prosegue a piedi lungo la strada, la macchina da presa lo
segue lateralmente, poi di fronte, poi cambia lato, poi di spalle.
L'uomo scende le scale della metro, quattro uomini lo circondano e lo
aggrediscono e la macchina da presa è sempre lì a rapire immagini
senza staccare, ruotando attorno all'indemoniato gruppo di uomini
che, in una danza forsennata e perfettamente architettata, gioca con l'obiettivo.
Così, Hanna diventa
esperienza, qualcosa in cui vale molto di più la carrellata, la
composizione dell'inquadratura, il ritmo del montaggio che la storia
in sé e per sé: dal cinema classico Wright sfocia nel
cinema-esperienza postmoderno.
Tale virtuosismo era già
presente in Espiazione. Ma in Espiazione - bisogna dirlo – a Wright
era riuscita molto meglio la parte del virtuoso: lì, la forma
autoreferenziale e metacinematografica era giustificata dalla storia
(e viceversa, la forma giustificava la storia in un perfetto
combaciare delle due parti), dato che la protagonista era una
scrittrice che fraintendeva ciò che vedeva e che piegava la realtà
(e la finzione) ai propri scopi, ingannando lo spettatore/lettore.
Qui invece la cosa riesce
un po' meno, perché storia e forma non si compenetrano. O forse
dobbiamo vedere tutto da un altro punto di vista.
Il terzo livello: Wright
non gira un film, ma costruisce un videogioco. Ecco allora che il suo
virtuosismo è pienamente giustificato. Se si guarda bene, tutta la
storia di Hanna è un procedere in avanti, è un continuo superamento
di prove, di lotte contro i “cattivi” sempre più dure e complesse.
La struttura è proprio quella videoludica. Il film è persino diviso
in livelli: c'è il primo, quello nella steppa, che funziona da
introduzione e tutorial assieme (Hanna impara a combattere). Poi c'è
il livello della prigione: Hanna individua i problemi, risolve gli
enigmi, riesce a fuggire. E così via, in un continuo maturare, fatto
di momenti più distesi (la riflessione sul da farsi, i nascondigli,
gli aiutanti,) e i clou (le prove, le lotte contro i boss per passare
al livello successivo: si va da soldati tutti uguali, ai nemici
deboli, a quelli più forti, fino alla lotta con il “boss finale”).
Per questo Hanna è
esperienza: ci si concentra più su come riuscirà a cavarsela che
più sul perché. Quando si tiene un controller, le mani sudano, si è
seduti sul divano, ma si ha l'impressione di agire. In quel momento non si pensa
al perché il gioco ci chieda di fare una cosa, ma la facciamo e
basta, concentrandoci solo su l'obiettivo del momento.
Con Hanna avviene la
stessa cosa: è il momento ciò che conta. È il fare e l'agire.
Che svela in maniera ottimale quanto l'arte filmica sia fatta di
piccoli elementi che agiscono in presentia, hic et nunc.
Commenti
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Comunque, di questo stesso regista, ti consiglio Espiazione: una bella e articolata storia d'amore in Inghilterra all'epoca della Seconda Guerra Mondiale. Tutti gli scrittori dovrebbero vedere questo film ;).
@Vele Ivy: il film è effettivamente molto originale, non la solita spy story. Passo subito dal tuo blog! Ciao!