Alan Jones e il cinema horror italiano
Alan Jones è un critico cinematografico inglese. Intervistato da Federico Zampaglione nel corso del London Frightfest, ha posto l'accento sull'horror italiano.
Jones si è chiesto per quale motivo, oggi, il cinema italiano stia rinnegando il suo passato. Ha detto proprio così: "rinnegare il passato". Effettivamente, l'Italia ha un passato horror/thriller piuttosto corposo. Jones ricorda Bava e Deodato, ma soprattutto Dario Argento.
Il giornalista ha raccontato a Zampaglione il modo in cui Argento lavora, la capacità che il regista ha di creare e dirigere in modo veloce e compiuto il set. Jones è stato sul set dell'ultimo film di Argento, Dracula 3D, raccontando l'esperienza come qualcosa di straordinario.
Jones, quindi, afferma l'importanza di Argento per la nostra cinematografia che, però, non ha raccolto affatto l'eredità. L'unico è probabilmente Alex Infascelli, autore di Almost Blue, Il siero della vanità e H2Odio - l'incipit di quest'ultimo, si collega moltissimo alle sonorità del cinema di Argento. Ma è d'obbligo citare i cinefili e maestri del genere Manetti Bros.
Poi, è sorto il dibattito: per quale motivo l'Italia ha scelto la commedia? Zampaglione ha detto la sua: i produttori italiani non se la sentono di puntare su un genere che in Italia attecchisce poco. La commedia ha molta più fortuna.
E qui arriva, folgorante, la frase di Alan Jones: l'Italia non deve pensare solo al mercato nazionale. Deve uscire dai suoi confini e avere il coraggio di produrre pensando ad un pubblico molto più vasto.
Jones afferma che i registi di genere italiani sono tra i più amati e seguiti in Inghilterra e negli Stati Uniti, specialmente il già osannato Dario Argento.
Che dire? Sulla scia del dibattito che è sorto tra Tristam Strauss e Occhio sulle espressioni in seguito al mio post Incubo sulla città contaminata, aggiungo questo piccolo tassello, nato quasi per caso seguendo il dibattito tra Jones e Zampaglione.
In Italia, questo è chiaro, nessuno osa. L'impasse culturale è fortissima e degradante. La cosa che davvero colpisce è che il nostro cinema - sia di genere che sperimentale - da sempre apprezzatissimo all'estero, è bistrattato in patria: e la conseguenza è una sorta di abbrutimento del gusto cinematografico da parte di tutti, produttori, autori, critica, pubblico.
Amati all'estero, privi di appoggi in Italia: che fine farà il cinema di genere - e non solo - italiano?
È probabile che investire sul pubblico estero possa aiutare a svecchiare il settore cinematografico italiano, ad aumentare le maestranze e a dare vita ad un nuovo e vivo settore industriale. Ma al di là della crisi economica, il confronto con l'estero potrebbe aiutarci ad uscire dalla crisi culturale.
Commenti
Jones prospetta una via interessante, però dovresti essere bravo quanti i francesi di Martyrs o gli spagnoli di REC (di successo internazionale), e visto che abbiamo perso l'abitudine, ci riusciremmo? È probabile di sì, ma non ci si dovrebbe affidare ai "grandi" attuali, ma a gente dell'underground, capace, ma senza fondi a disposizione.
Forse mi sto spiegando barbaramente male... Tuttavia, concordo con te: in questo momento l'horror può essere affidato solo all'underground e a chi ha fame di sperimentazione e novità.
@Vele Ivy: sono convinta che se il settore si smuovesse un po' e si desse voce alle giovani maestranze di ora, il cinema italiano potrebbe ricevere una sonora scossa positiva. E penso che questo valga per ogni altro settore!
Io ogni tanto cito il cinema di genere come un nostro potenziale non più espresso; oltre a meno fantasiosi, siamo diventati anche meno furbi.
Non voglio ripetermi.
Qui mi limito a sottolineare che è davvero da stolti non sfruttare il possibile mercato estero che già è così ben preparato dall’abbuffata fatta con il nostro cinema di genere del passato.
A volte, quando vedo citato il nostro cinema di genere perfino nell’animazione giapponese più impensabile mi chiedo davvero se gli unici a far finta di niente siamo noi italiani…
Probabilmente, nel buco produttivo cui accennava Veronica, quel ch’è venuta a mancare è una solida coscienza cinematografica di genere che non è mai nata qui da noi.
Alla fine, anni e anni di cialtroneria produttiva e realizzativa deve aver lasciato i suoi strascichi.
Infine, ma il Federico Zampagliene dell’intervista è quello di Shadow?
Qualcuno sa che destino ha avuto quella pellicola.
Certo, in quel film il già visto colava da tutti i pori (a la maniera del cinema di Rob Zombie, eh!), ma in generale mi è sembrata un’operazione dignitosa fatta con un occhio attento al mercato estero.
I miei migliori saluti
Tristam Struass
Concordo con te sul buco produttivo prodotto dalla mancata coscienza cinematografica. Il problema è molto semplice: in Italia c'è coscienza cinematografica ed è quella che hanno molti giovani studenti. C'è ultimamente un'impennata degli iscritti ai vari Dams in giro per l'Italia. Almeno, in quello che ho frequentato io, i professori erano molto compatti e vicini ai formalisti russi, al cinema d'autore nordeuropeo, al cinema italiano degli anni sessanta, al cinema americano alla Lynch, per intenderci.
Il problema è che i "coscienti del cinema" in Italia sono purtroppo cosa separata da chi il cinema lo fa e lo produce. Invece, in Francia, per esempio, teoria e pratica vanno di pari passo.
Pur non conoscendo più di tanto la sua produzione musicale, devo dire che la sua svolta cinematografica m’ha non poco stupito.
In positivo, s’intende!
Poi, la scelta di cimentarsi con l’horror di Shadow non ha fatto altro che aumentare la mia stima verso questo autore.
Se in più, mi dici che la sua terza opera sarà oltre che di genere pure di nuovo un horror, allora c’è da sperare che il suo percorso cinematografico non sia stato fallimentare economicamente parlando.
Sono curioso di osservare che sviluppi ci saranno a riguardo.
Per ora, tanto di cappello!
I miei migliori saluti
Tristam Strauss