VENTO E POLVERE, di Giuseppe Bomboi
SUL MARE
Il Vento, un'ondata di vita così forte da rendere tutto Polvere. Causa ed effetto: la vita come impetuosità incontrollabile che immancabilmente si sperderà nell'aria. Tuttavia, quando il vento si alza, fa volteggiare anche la polvere. La polvere non sarà mai morta, ma sempre simbolo della libertà da ogni forma.
Nelle poesie che seguiranno, ci si troverà ad essere sbalzati qua e là da un linguaggio che in sé cerca di raccogliere la forza indomabile della vita, in tutti i suoi aspetti. C'è il ricordo, l'emozione, semplici sensazioni, la riflessione intensa. C'è la propria vita, i luoghi in cui si è cresciuti, le persone che hanno animato e animano l'esistenza di chi ha scritto. C'è la morte e c'è l'amore. In una sola parola: tutto.
Racchiudere l'esistenza non è cosa facile. Anzi, è impossibile. E, solitamente, chi scrive tenta di farlo. È un istinto irrefrenabile, non ci si può far niente. Ciò che è inafferrabile e indistinto deve a forza entrare nelle parole. È un modo per domarla, la vita, per non esserne assaliti, forse, e soprattutto per darle un senso.
Chi conosce Jay (o, come è indicato all'anagrafe, Giuseppe Bomboi), sa che è un medico neurologo e un ricercatore. Sa che è una persona che ama viaggiare e che progetta avventure in ogni angolo della terra. Sa anche che è un ragazzo piuttosto solare, pieno di idee; una ne fa, altre mille ne pensa. È quel tipo di persona che non si tira indietro al divertimento, ad una battuta, ad un gioco, ad una sana chiacchierata con gli amici. È un dottore che spesso dice quello che nessuno vorrebbe sentire, e cioè che la morte fa parte della vita; e sembra dirlo con il viso disteso. È un uomo di sani principi, con idee coerenti e incrollabili.
Poi si leggono le sue poesie e si capisce che tutto ciò che Jay è, ha una controparte, un rovescio; il modo in cui Jay appare, cela una riflessione profonda e sentita. Non credo sia un caso che nelle poesie che vi avvierete a leggere troverete descritta la morte, in ogni sua sfaccettatura. O la sofferenza che si può provare tra i letti di un ospedale, di fronte ad un vecchio che in testa non ha più tracce della sua vita; comprenderete che il dolore diventa modo per riflettere sulla vita che si ha. C'è la morte, inspiegabile e assurda, della guerra. Compare Il ricordo di un nonno nella campagna d'Africa. Si trova lo spazio per avvicinarsi all'incomprensibilità di un suicidio. Il tutto frutto di una persona che sa sempre come metterti di buonumore. Per questo, Identità, l'incipit di Vento e Polvere, è importantissimo, “un sorriso in petto/ e l'amaro in tasca”. Due versi, due schegge che riassumono perfettamente chi e cosa sia Jay: versi che soppesano il rapporto tra poesia e vita.
O il senso che lega poesia e vita. Un senso costantemente ricercato. E nel viaggio di ricerca, il misterioso significato dell'esistenza può essere rintracciato in ogni singolo gesto delle persone. È avere uno sguardo a volte immanente, che possa andare oltre la mera scienza o la freddezza di certi meccanismi; talvolta ci si interroga e ci si ripiega così tanto su se stessi che salta fuori Dio, quasi sempre nominato - e anche questo colpisce, quando si pensa che a scrivere è un medico.
Però, il bello di questa raccolta è che non ci si ferma qui. Tra le righe che descrivono stati di sofferenza o malinconia, serpeggia una sorta di speranza o una certa accettazione: la vita è così, ma, proprio per questo, ha un non so che di bello e di perfetto. La bellezza può essere il grazie che si dice ad un nonno per i suoi racconti; la bellezza può essere un “ti amo”, unico residuo amoroso di un anziano malato d'alzheimer.
Ecco che, inevitabilmente, la ricerca del senso della vita trova sfogo e significato nel mistero dell'intreccio di sentimenti contrastanti, di esperienze diversissime, di emozioni agli antipodi. Ecco che la vita diventa accettazione del meraviglioso coacervo delle sue infinite sfaccettature.
Così, dopo il dolore, gli occhi ci si riempiono di bellezza: il mare, l'amore, la gioia – che qui è chiamata, non a caso, letizia. Ed è sul finire della raccolta che si va verso una distensione dei temi. Pregressa la sofferenza, irrinunciabile, immancabile, nella vita, specialmente per chi vi lavora a contatto ogni giorno, ecco che sorge la ricerca della quiete. Proprio qui tornano il vento e la polvere. O il bagnasciuga. Il mare. Sì, perché se si va a vedere ogni cosa da un punto di vista e dal suo contrario, allora è facile aggiungere che il vento e la polvere sono anche le due componenti vitali del mare. Non c'è niente di meglio di una passeggiata sulla spiaggia, il vento tra i capelli, la sabbia che si fa pulviscolo e si alza. Già, si è al mare. Che solo per convenzione – come dice qui il nostro poeta – è separato dalla terra attraverso il bagnasciuga. Il mare è infinito, non si sa dove inizia e dove finisce. Lo si guarda a perdita d'occhio e si vede una piena distesa di acqua. E guardandolo si può solo provare pace. Il mare è un luogo in cui naufragare, quasi un ritorno all'origine.
Se ci si pensa bene il mare è un po' ogni cosa. Simbolo di vita, tomba di relitti, luogo di tempeste immani e di piatta calma. Il mare è profondo, nasconde segreti spesso inesplorabili e verso cui, comunque, l'uomo si spinge. E là, sulla spiaggia, l'unico luogo da cui l'essere umano può osservare la vastità degli oceani, vento e polvere sono i tumultuosi guardiani dello spirito marino.
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