Prelude 21/12

 



Il 6 giugno 2006 esce un album che a molti forse dirà poco, ma che per la scena punk rock più elitaria  è stato epocale: si tratta di Decemberunderground degli AFI (A Fire Inside). Forse questo album dalla data un po’ mefistofelica non è stato così  fondante come il suo precedente, Sing the Sorrow (una vera svolta in tutti i sensi), ma ha comunque proposto un grande cambio di rotta, nonché introdotto enormi novità. Gli AFI, sempre inclini alla sperimentazione, non si sono mai fermati al solo punk e hardocore punk, “casa” in cui nascono, ma hanno proposto commistioni tra le più diverse. Se Sing the Sorrow è un’opera che mescola il punk al rock a sonorità più corpose e a tratti struggenti, in Decemberunderground entra in scena l’elettronica, a volte filtrata, altre guidata dal rock, espressa quasi costantemente dal growl che, all’epoca, il cantante del gruppo inseriva in ogni pezzo, dando un deciso peso alle parole e alla sua voce. 


In uno scenario invernale, volutamente grigio, freddo, presentato in piena estate, gli AFI fanno esplodere un rock fatto di soli quattro strumenti - voce, chitarra, basso, batteria - più un universo di sonorità elettroniche di sottofondo, che arrivano in primo piano e sconcertano le orecchie. A un primo ascolto, l’album, a un rockettaro della prima ora, può non piacere: però più si va avanti e più piace; più si scoprono sfumature musicali nuove e impensabili. Più lo ascolti e più oggi, nel 2024, a quasi venti anni di distanza, senti che suona non solo nuovo ma futuristico. È più nuovo di quello che verrà. 


I testi degli AFI non sono mai una passeggiata. Sono racconti di anime che prendono le parole dal loro mondo parallelo e invisibile, le scompongono, le ricompongono in nuovi universi, metafisici, eterei, astratti, profondamente stranianti. Si entra nel loro universo con Sing the Sorrow, in cui l’urlo iniziale Love your hate, your faith lost è quasi un paradigma del viaggio di Alice in un mondo al contrario, in cui avviene di tutto e ogni sentimento ti assale.

La stessa cosa avviene in Decemberunderground: è un dicembre sotterraneo, se vogliamo essere letterali, che, di fatto, si configura come un viaggio in un dicembre anomalo (presentato innanzitutto in estate, in una data che non lascia adito a dubbi), tra il gotico e lo steampunk, come anche i video musicali legati alle canzoni testimoniano. Il mondo presentato è simbolico e profondamente incomprensibile, eppure dalla musica e dalle frasi enigmatiche senti di aver compreso tutto. 


L’ingresso in questo mondo allucinato eppure lucidissimo avviene con un breve pezzo di presentazione, una vera e propria ouverture, breve eppure fendente come una lama. Si tratta di Prelude 21/12, la data di Dicembre che ci traghetta nel nuovo mondo, in questo inverno sotterraneo. Davey Havok scandisce ripetutamente queste parole, come una nenia, e le ripete in modo diverso, fino a tatuarcele addosso - dentro: 


This is what I brought you, this you can keep

This is what I brought, you may forget me

I promise to depart, just promise one thing

Kiss my eyes and lay me to sleep


This is what I brought you, this you can keep

This is what I brought you, you may forget me

I promise you my heart, just promise to sing

Kiss my eyes and lay me to sleep


Nel 2006 non sapevo ancora che il 21 dicembre sarebbe diventata per me la data più importante. Un giorno in cui sono nata in un’altra forma, il giorno in cui è nata la persona che mi avrebbe baciato sugli occhi per poi mettermi a dormire (assieme a lei). È stato l’ingresso nell’inverno, l’ingresso nel mondo magico di Alice, ma è stato anche l’ingresso in una sorta di eterna primavera, in cui posso assistere alla vita che ogni giorno sboccia in tutto il suo splendente mistero.

Come gli AFI hanno raccontato l’inverno in un giorno d’estate, io ho visto la primavera nascere il giorno stesso dell’inverno. Quando i contrari si incontrano e si fondono assieme. 

Oggi, 21 marzo, penso all’inverno, come cantano gli AFI nell’ultimo pezzo di Decemberunderground: “Endlessly, she said”.

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