Barbie The Movie



Barbie è sempre stata chiarissima. Lapalissiana. Lampante.

Non ha mai nascosto nulla. Il sorriso bianchissimo e splendente. La bocca curata, gli occhi luminescenti, i suoi outifit pastello, preferibilmente rosa (che gioia quando uscì Barbie Benetton, tutta colorata e con accostamenti arditi!) dicono quello che Barbie esattamente è: ottimismo, felicità, voglia di fare, di essere quello che si vuole. L’essere di Barbie si allarga a tutto ciò che tocca: la sua casa, la sua auto, il suo camper, persino il suo cavallo, tutto il suo mondo è rosa.

Io ho sempre amato Barbie perché non sono mai stata come lei. Non sono alta, né bionda, né, soprattutto, sono ottimista e solare come lei. È proprio questo che mi ha sempre  attirato di lei. Barbie nei miei giochi sapeva affrontare i problemi. Li risolveva. Io riflettevo in lei tutto quello che non andava in me, ma lei sapeva cosa fare e ne usciva col sorriso. 


La vera genialità del film di Barbie è che tutto questo è raccontato chiaro e tondo come il sorriso della sua protagonista. Non è un film che racconta un’avventura qualsiasi di Barbie, come hanno già fatto le due serie tv in computer grafica che sono su Netflix. Barbie The Movie parla

di un mondo perfettamente rosa e femminista che è Barbieland e del mondo maschilista e reale

in cui giocano le bambine (e soprattutto le mamme). Qual è il riflesso di Barbie nel mondo reale? Come è percepita la bambola dalle ragazzine di dalle donne? E, in tutto questo, Ken cosa è? Un’appendice femminile nel mondo Barbie, un maschio alpha sottomesso e pronto a esplodere? 

Barbie è entrambe le facce della medaglia dell’essere donna nel mondo: è autodeterminata e, in quanto tale, bella - perché così si sente - intelligente e carismatica ma, allo stesso tempo, proprio per questo motivi, è oggettificata, sessualizzata, ridotta a vittima del maschilismo. 


Nell’estrema chiarezza della presentazione dei temi, che potrebbe fare di Barbie un film classico, siamo in realtà nel versante del post-postmoderno. Viene espressamente messo in scena il nucleo della teoria femminista del cinema, secondo la quale (semplifico) le donne ormai tendono a vedere se stesse con lo sguardo maschilista e  pertanto a giudicarsi, pregiudicandosi da sole ogni possibilità: questa sarebbe l’esito più alto e letale del patriarcato. E il cinema, con il potere dell’identificazione, ha permesso che lo sguardo maschile bianco e eterosessuale diventasse lo sguardo delle donne. Ma pensiamo anche alla primissima sequenza, quella di presentazione del mondo di Barbie: i risvegli, i saluti, Ken che rimbalza su false onde: siamo in The Truman Show? Nel mondo che vogliamo? Siamo in un metafilm? Siamo in un film di genere e, se sì, quale genere è?

Giocando con le parole, è sicuramente di genere femminile: Greta Gerwig realizza un film che racconta perfettamente cosa è Barbie per noi (sì, noi nate negli anni Ottanta) e lo fa con il suo proprio piglio, il suo sguardo, il suo immaginario (eccezionale la gang di Barbie che pianifica la presa del potere con tute rosa, ricalcando La casa di carta).

Il mondo di Barbie potrebbe sembrare sbilanciato e, sì, lo è: tutto rosa, tutto al femminile. Ma è così sbilanciato per Riportare l’asse del mondo in equilibrio, in un universo in cui donne, uomini, i non binari, omosessuali, transessuali, neuorodivergenti e anche persone perfettamente stereotipate e normali (se mai esistono) possano avere il loro posto in totale libertà. E la platea che ha visto il film assieme a me, in una sala che traboccava, ha dimostrato che il mondo può stare in un gioioso equilibrio: ragazze patinate, ragazzi vestiti di rosa, uomini che erano molto Barbie, donne che erano molto Ken e io, che in una platea rosa mi sono vestita in denim e ho vissuto il film da bambina e da madre. Un mondo bellissimo e coloratissimo, vario, un po’ pazzo. Umano, sensibile, gioco che è specchio di come siamo e di come vorremmo essere. mai di plastica. Vero, come il cinema.

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