The Kelly Gang



 Ned Kelly è stato un criminale irlandese che si è opposto alla polizia inglese nella colonia australiana in cui è nato e ha vissuto. 

La cosiddetta Kelly Gang era composta da soli quattro membri, Ned, suo fratello Dan e i due amici Joe Byrne e Steve Hart. 

I quattro mettono a ferro e fuoco e tengono in ostaggio una cittadina per tre giorni; finché Dan, Joe e Steve non cadono e Ned viene arrestato. 

Ned Kelly viene condannato a morte e muore per impiccagione  l’11 novembre del 1880, a soli 25 anni.


Wikipedia riporta poche notizie e la foto di un uomo giovane ma pesantemente barbuto. 

Il film di Justin Kurzel, in Italia portato con il titolo di The Kelly Gang, mostra tutta un’altra storia rispetto a quella che potremmo immaginarci leggendo l’enciclopedia e guardando la foto del vero Ned.

In originale, infatti, il film titola True History of the Kelly Gang. Sin dalle primissime scene, capiamo che Ned sta scrivendo la sua biografia: dichiara al figlio che sta per nascere di voler essere sincero con lui, di non voler lasciare dubbi, di voler solo dire la verità. 

La verità, però, non emerge o emerge in maniera molto complicata, sibillina: non assistiamo solamente alla storia delle

Scorribande della Kelly gang - quelle ci sono ma sono quasi marginali: assistiamo, piuttosto, alla crescita di un bambino che si trova a sopravvivere in un mondo per lui troppo grande, brutale, selvaggio e violento. 

Il film è diviso in tre parti: Bambino, Uomo, Monitore, l’ultimo il nome di una nave corazzata che sembrava invincibile. 





Al centro dei tre episodi c’è Ned ma soprattutto sua madre: una donna morbosa e manipolatrice, spettinata e molesta, piena di figli, sposata eppure meretrice. Una sorta di strega, che tutti attira nella sua casa, i ricchi, i poliziotti, i delinquenti. È lei che muove le fila della vita di Ned come se il figlio fosse un burattino. Perché è convinta, lo dichiara più volte, che il successo con i figli si vede nella misura in cui i figli sono disposti a sacrificarsi per i genitori. 


Ned rimane presto orfano di padre e del padre scopre un segreto: teneva nascosto un abito da donna rosso fuoco, che indossava per andare a cavallo tra i boschi. L’equivoco è dietro l’angolo e subito pensiamo che il segreto della famiglia Kelly sia l’omosessualità del padre.


Ned, così, decide di non essere come lui. E si ritrova un giorno, bambino innocente, a salvare dall’annegamento il figlio di una ricca famiglia. Riconoscente, la ricca famiglia si propone di accogliere Ned nella propria casa e di farlo studiare. Ma no, la madre decide per lui: Ned deve essere come suo padre, non può studiare, deve stare in casa e proteggere sua madre. La madre decide ancora per lui: lo vende ad un brigante affinché gli insegni a uccidere e sopravvivere. 





Ned, così, ha un primo sussulto: decide di scappare e darsi all’avventura. Ritroviamo Ned uomo nei panni di George Mackay, magro come un chiodo e muscoloso da far paura: sopravvive facendo a botte nei salotti dei ricchi. Gira da un luogo all’altro con l’inseparabile amico Joe, che sembra molto più di un amico e con cui la prossimità fisica è continua. George Mackay non ha le sembianze della foto di Ned Kelly su Wikipedia: ha una faccia pulita, candida. Ingenua, quasi infantile. George Mackay interpreta Ned con una mimica forte, quasi parossistica ma allo stesso tempo essenziale: è nervoso, teso, pieno di tic e con gli occhi sbarrati - eppure non eccede mai. Regola la sua interpretazione tra continue spinte centrifughe e spinte centripete: i colpi che riceve dal mondo esterno e la rabbia che vorrebbe tirare fuori. 

Ned vorrebbe l’indipendenza ma è continuamente attratto dalle spire di sua madre: così torna a casa e si fa letteralmente circuire dalla strega che lo ha partorito, la quale lo istrada sul percorso aperto dal padre. Gli uomini vestiti da donna fanno parte dei figli di un gruppo indipendentista irlandese, che veste a quel modo perché “nulla fa più paura della follia” - e l’uomo vestito da donna è pura follia. Ned, assieme al fratello e ai suoi due amici, fonda questa piccola gang, fa razzia di cose e persone, va contro la polizia, e non è ben chiaro se lo faccia per profonda convinzione politica o se per risollevarsi dalla frustrazione per non aver avuto la vita che davvero voleva. Il momento in cui si veste da donna, con abito nero pieno di trasparenze, è forse quello in cui si sente più se stesso, assieme al momento in cui scrive. La lotta esterna non è quasi mai vivibile: il regista decide di non costruire un classico film di guerra civile ambientato nell’ottocento. Decide, invece, di rendere il mondo esterno quasi essenziale e astratto, fotograficamente impeccabile, grigio, ricco di netti contrasti cromatici, a tratti fumoso, a tratti allucinogeno, fatto di pochi scenari desolati difficilmente collocabili, privi di coordinazioni spaziali. L’unica coordinata ammessa è quella mentale di Ned: e infatti tutto è filtrato dai suoi occhi, la lotta finale è totalmente girata in soggettiva, alla stregua di un incubo privato e lisergico. L’ultima cosa che vede Ned, un attimo prima di penzolare dalla corda, è il se stesso bambino nel giorno in cui ha salvato il suo compagno ricco - quel giorno in cui avrebbe potuto prendere tutta un’altra strada e tutta un’altra vita. 


Il film non è storico, non ha alcuna intenzione di collocare Ned Kelly nella storia o nel mito alla Robin Hood: qui Ned Kelly sembra essere solo Ned, il film è intimista e tutto ciò che vediamo è emanazione della mente e delle fragilità del protagonista. La sua volontà di scrivere l’autobiografia è la lampante necessità di fermare la propria esistenza e di capirne i nessi, seppur in maniera ingenua e senza alcuna libertà. Ecco: cforse Ned Kelly, pur proclamando la libertà, non è mai stato libero di essere. 


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