Mio fratello rincorre i dinosauri



Mio fratello rincorre i dinosauri ha avuto da parte mia diversi approcci: tre le chiavi di lettura date, tra loro forse scollegate, forse - invece - strettamente connesse.

La prima è indubbiamente legata alla storia del film, alla storia che ruota attorno al film e al significato intrinseco della pellicola.
Mio fratello rincorre i dinosauri è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Giacomo Mazzariol, un ragazzo di venti anni, conosciuto per aver girato un video, diventato virale su YouTube, assieme al fratellino Giovanni, un bimbo nato con un cromosoma in più.
Il film, pertanto, ruota attorno alla dinamica della disabilità: che, tuttavia - e questa è la cosa forse più bella e anche geniale del film - non è la disabilità di Giovanni, ma la mancanza di abilità del resto del mondo nel riconoscere e accettare come normale la diversità.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare,il film non è la storia delle conquiste di un ragazzino con la sindrome di Down, la storia è la formazione e la crescita di Giacomo, che, nel turbinio identitario tipico dell’adolescenza, si trova a dover affrontare anche l’accettazione del fratello. Il vero handicap è il suo, non quello di Giovanni: è Giacomo che sembra vergognarsi del fratello, che lo nasconde in casa, che dice di averlo perso, che spesso lo tratta con sufficienza. E non perché non accetta che il fratello sia così: semplicemente, perché ha paura di perderlo, a causa della sua sindrome. È una paura profonda, quella che il fratello rimanga solo, che possa essere trattato male, che possa morire: una paura che fa il paio con l'amore e che, in fondo, riguarda tutti, tutti quanti, nel momento in cui abbiamo accanto una persona che amiamo in modo profondo, indissolubile ed eterno. 
Due sono state le scene toccanti del film, tra l’altro ottenute davvero con il minimo degli elementi (così minimi da renderli pesanti e significativi): la prima quella in cui, chitarra e voce, Arianna canta La cura di Battiato, e la regia alterna il momento presente ad alcuni momenti del passato; la seconda, un piccolo monologo di Giacomo sul fratellino. Per il resto, la pellicola ha un tono scanzonato, divertente, leggero, che rende tutta la vicenda della famiglia Mazzariol più normale del normale: perché in fondo così è. Quando una persona entra nella famiglia, nasce nella propria famiglia, la si accetta e la si ama così come è senza che si faccia alcun paragone con chi è fuori della famiglia. E ogni famiglia è unica e bellissima proprio per questo motivo. Certo: se un ragazzo di venti anni scrive libri e gira video di questo tenore è perché i due fondatori, mamma e papà, hanno saputo dare una base solida educativa di grande bellezza ed importanza. 

Arriviamo al secondo e terzo livello di lettura che ho dato io, non tanto al film, quanto alla situazione.
Ho potuto assistere alla proiezione assieme alle classi del Liceo in cui insegno quest’anno. In sala era presente l’attore protagonista del film, ex alunno del suddetto Liceo, che ha risposto in modo molto simpatico e disponibile ad alcune domande di studenti e insegnanti. 
Gli alunni - specialmente le alunne - sono impazziti.
Molti vedevano il ragazzo, al contempo, come uno di loro e come uno che aveva già fatto tanta strada nonostante l’età, una persona che sta facendo, presumibilmente, quello che desiderava fare e che si sta impegnando in una vita tanto diversa da quella di molti adolescenti, quanto invidiabile - seppur faticosa. Per i ragazzi farsi una foto - pardon... selfie — con lui o ricevere un autografo è stato allo stesso tempo normale e straordinario.
Normale perché era un ragazzo come tutti, straordinario perché un volto gigantesco del grande schermo era lì, tra loro, “inverato”.
Mi chiedo se ciò abbia dato la spinta agli alunni in platea per intraprendere davvero la strada che vogliono percorrere, indipendentemente da tutto; se si sono sentiti capaci di fare qualsiasi cosa e hanno avuto il coraggio di farla. Un po’ come il Giacomo e il Giovanni del film e della vita reale: hanno avuto il coraggio di fare qualcosa di grandissimo a partire da una quotidianità apparentemente senza uscita o comunque, agli occhi dei più, piena di difficoltà. 
Che il film - e il libro -  possa essere una spinta affinché tutti capiscano di poter fare qualsiasi cosa.
Io mi auguro che ce la facciano. Anzi, lo penso davvero. Non farei l’insegnante se non avessi fiducia nell’umanità e, soprattutto, nella giovane umanità che incontro. Lo penso davvero - e qui entra la mia terza chiave di lettura - perché le due ore di proiezione sono trascorse nel più assoluto silenzio. Il film ha catturato l'attenzione dei ragazzi; alcuni hanno commentato alcune scene ad alta voce, ma niente di che, faceva tutto parte dell’esuberanza adolescenziale di fronte  alle cose belle. E questo mi fa ben sperare. 










Commenti

Maria D'Asaro ha detto…
Concordo in toto con le tue riflessioni. Da collega (ex collega ormai) ho inserito "Mio fratello rincorre i dinosauri" nei libri proposti in lettura alla mia ultima terza media. Grazie. Buona domenica.
Veronica ha detto…
Penso che non si smetta mai di essere insegnanti... quindi sempre collega e non ex :).
Ti ringrazio per aver lasciato il tuo commento: sono contenta di vedere che, anche a chilometri di distanza, gli insegnanti perseguano gli stessi obiettivi. Un caro saluto.