Saper ricordare è letteratura




Il sedici febbraio del novantotto, ben ventuno anni fa, ero una studentessa di quarto ginnasio di un liceo di provincia. 
Una provincia che amo, ma con pochi scossoni culturali. 
Poi ne è avvenuto uno e io - ecco - non lo sapevo ma ero lì. 

Una collega di mia mamma era la figlia di un caro, carissimo amico di tale Andrea Camilleri. Erano stati prigionieri in Texas, insieme. Il papà di questa collega era stato un magistrato e uno scrittore, morto ormai da tempo. La collega di mia mamma ci dice che questo Camilleri, insegnante all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, sarebbe venuto a presentare due romanzi, editi dalla Sellerio, Il ladro di Merendine e La voce del Violino. Li avrebbe presentati nell’aula magna del liceo classico che frequentavo. Seguo mia mamma che a sua volta segue questa sua collega, che in fatto di letteratura era una vera e propria guru. 
Nell’aula magna del mio Liceo i presenti erano pochissimi. Ricordo con chiarezza me, ovvio, mia mamma e la sua collega, la mia prof di italiano e latino, una storica insegnante che aveva donato i segreti del latino e dell’italiano a generazioni e generazioni (nell’ordine: a mio suocero, a mia mamma, a mio zio, a mio cognato, a un sacco di miei amici, a me e mio marito e così nei secoli dei secoli); una persona che forse era l’incarnazione stessa dell’italiano e del latino: e se c’era lei, a vedere questo Camilleri, allora sì, stavo facendo la scelta giusta. 
L’aula magna rimbombava, tanto era poco piena, e nell’aula magna rimbombava la voce cavernosa e graffiante di Andrea Camilleri. Che ci catturò. Ridemmo a crepapelle su certe espressioni siciliane, che io riuscivo a capire abbastanza bene perché i miei nonni erano calabresi, calabresi dello Stretto, e lì l’influenza siciliana si faceva sentire. 
Comprammo due libri (o forse tre, la memoria ora non mi aiuta, perché ricordo anche che all’inizio acquistammo anche Il cane di terracotta).
Ci avvicinammo, io e mia mamma, divertite ma anche un po’ intimorite da questa figura così imponente: e ci lasciammo autografare i libri. Ero felicissima, perché da un po’ di tempo a quella parte me ne andavo in giro a seguire presentazioni di romanzi e autori più o meno conosciuti, compravo i libri, mi avvicinavo e mi facevo autografare il libro. Ben prima dei social. Ho l’autografo di Lucarelli, di Pinketts, di Camilleri. 

Di lì a poco il fenomeno di Camilleri esplose. E io non potevo che dare ragione a quel fenomeno, perché a Camilleri avevo timidamente stretto la mano e lo avevo ascoltato incantata sulla stessa pedana dove di solito parlavano il mio preside o i professori quando, per distanziarci bene, ci facevano fare i compiti in classe in aula magna. 
Tutti leggevano Camilleri. La nostra libreria si riempiva di anno in anno dei libri blu della Sellerio. Dalla parrucchiera, lo ricordo bene, una signora, anziché una rivista di gossip, aveva Camilleri tra le mani. Leggeva e rideva. 
Ma, soprattutto, Camilleri era l’autore preferito di mia nonna. La nonna calabrese, quella che aveva potuto prendere solo la seconda elementare, di cui conservava una foto merlata dalle bruciature di un bombardamento. Mia nonna leggeva tantissimi libri, qualcosa che ancora adesso mi colpisce, perché è raro vedere qualcuno che fatica e lavora con le mani poi passare il suo tempo con i libri. Per Camilleri andava pazza, ricordo che leggeva e rileggeva gli stessi libri, guardava e riguardava le stesse puntate della serie tv, leggeva delle parti e poi, quando andavamo a trovarla, ridendo divertita, ce le raccontava, dando alle frasi la sua inflessione e facendo confronti tra il dialetto siciliano e quello calabrese. Al compleanno o a Natale, se volevi farla felice, le regalavi un libro di Camilleri. 
Poi mia nonna, cinque anni fa, se ne è andata e Camilleri ha continuato a scrivere libri e la Rai a produrre puntate. Io, non so bene perché, non ho più letto Camilleri né ho più guardato la fiction. Mia madre ha continuato ad accumulare i libri della Sellerio, ma io silenziosamente pensavo che mia nonna forse si stava perdendo libri che le sarebbero piaciuti o puntate della fiction che le avrebbero fatto passare il tempo.
Pensieri da bambina, forse. Che sono ritornati quando anche Camilleri ci ha lasciati. Ho pensato che di là, se un di là c’è, ora mia nonna ha la possibilità di chiedere tutto quello che vuole a quello che, suppongo, sia stato il suo scrittore preferito. E magari anche la mia prof di latino e italiano, chi lo sa: anche lei un paio di anni fa è passata dall’altra parte e probabilmente avrà potuto fare due chiacchiere con Cicerone e chiedergli delucidazioni sulla sintassi di frasi a lei care. Chi lo sa.

Aprire la pagina de La voce del violino e fotografarla mi ha dato il la per una serie di pensieri. 
Sono tornata a quel giorno del novantotto con una facilità disarmante, ho visto con altrettanta facilità la faccia di Camilleri e di mia nonna e della mia prof di latino - e in qualche modo nella mia testa sono tutti e tre vivi, anzi, credo, eterni. La letteratura permette di non morire mai, Camilleri sarà Camilleri per sempre, ma anche i ricordi, se ben strutturati, non muoiono. Strutturati, sì: perché oltre a viverle, le cose, devi anche saperle riformulare nella testa, avere grande concentrazione, ribadire i dettagli, i profumi, i colori. Che magari nel tempo si sintetizzano - perché il cervello, altrimenti, esploderebbe - ma che rimangono lì, impressi, come un senso compiuto e profondissimo, impossibile da scardinare: e in qualche modo eterno. Forse dirò una baggianata, ma un’operazione del genere è come costruire una letteratura dei nostri ricordi e quindi della nostra vita: una libreria da cui si vanno a prendere fatti e situazioni, non solo per ricordarli ma soprattutto per riviverli, con gli occhi chiusi, quasi fisicamente. 
E poi, certo, c’è la scrittura. La scrittura eterna tutto. Perché ricordare bene è scrivere bene e viceversa. 

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Scrivo questo post a un anno esatto di distanza dall’incontro con una persona cara: non sapevo che, un anno fa, l’avrei vista per l’ultima volta. Anche perché era una persona molto, molto giovane. Intanto lo appunto, qui. Un giorno forse scriverò anche di lui - e di altre persone che meritano non solo di essere ricordate, ma di essere fissate per sempre da qualche parte, come i primitivi fissavano nella pietra, con quei solchi profondissimi, il senso della natura e dell’esistenza. 

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