Cornettini di mele all'Estate di Vivaldi



Ho sempre creduto che alla fruizione del bello debba essere associata anche la fruizione del buono.
A un film, a una mostra, a una bella passeggiata, a una serie TV, a un libro, a un pezzo musicale occorre necessariamente abbinare una particolare pietanza. Per ampliare l’esperienza. Proprio come si fa con il vino.

Di solito, si mangia, si beve e si chiacchiera. Si può anche mangiare, bere, chiacchierare e fruire di qualcosa di bello. Una sorta di kalòs kai agathòs in chiave mangereccia e conviviale. Perché no?

Da un’idea del genere potrebbe quasi nascere una rubrica, ma il periodo non è di quelli che aiutano la regolarità. Intanto iniziamo, non si sa mai, magari qualcosa di nuovo nasce e - magari - rischiarerà un po' il buio cromatico di questo blog che, da un po' di tempo a questa parte, poco mi rappresenta.

Il Bello: L’Estate di Vivaldi (e in particolare: III Movimento. Presto. Tempo impetuoso d'Estate)
Il Buono: Cornetti di pasta sfoglia alle mele
Ambientazione: interno, tardo pomeriggio, buio e freddo
Chiacchierata: stavolta solo con me stessa

Non c’è musica più invernale dell’Estate di Vivaldi. Non so perché sia così, forse quegli archi così taglienti tanto ricordano il vento gelido che sferza case e guance e lo strato di ghiaccio che si crea di notte e che al mattino scricchiola sotto gli pneumatici delle auto.
L’Estate di Vivaldi è stata per tanto tempo una parte della mia colonna sonora adolescenziale. Non che ascoltassi solo musica classica, ascoltavo anche altro, ma quell’altro era per passare il tempo, la musica classica, invece, mi serviva e mi serve e serve in generale a sprigionare qualcosa di molto più profondo: emozioni a cui non sappiamo dare voce e che forse neppure possiedono una parola che le definisca. La musica classica esplora l’anima e le dà calore. Quel calore che sentivo puntualmente quando ascoltavo l’Estate di Vivaldi, nella taverna di casa mia, davanti a un caminetto non sempre acceso ma che, anche spento, non si sa come, aveva (e ha) il potere di sprigionare calore; la musica proveniva da una musicassetta (leggete bene: musicassetta!), che esiste ancora e che ancora è infilata nello stereo - stereo tuttora esistente ma con la presa staccata - del quale ben presto prese il sopravvento la parte destinata al lettore cd (altro termine ormai desueto: lettore cd). E quello era (anzi è) solo il secondo stereo di casa, perché il primo, l’impianto stereo grande come la sala missaggio di una Major e con tanto di vintage puntina per i vinili, svettava - e svetta - in salotto, all’ingresso, là dove tutti possono subito ammirarlo. Casse di alta fattura, altro che cuffie dell’iPhone. Altro che Apple Music. 
Apple Music, che comunque uso. E il saperlo usare fa la differenza e, a volte, sa portarti di nuovo davanti a quel caminetto spento ma caldo, accanto allo stereo e alla musicassetta consunta che riusciva a sprigionare calore. 

Il calore è quello che serve d’autunno, in particolare in questo autunno che sta velocemente trascolorando in un inverno rigido e piovoso. Insomma, fuori piove, fa freddo e l’ora solare regala il tramonto prima delle cinque del pomeriggio. Così ti ritrovi alle diciassette e trenta con la stessa aria delle due di notte. È un’atmosfera che mi piace, specialmente perché sono in casa, al calduccio, e sovrasto la strada su cui si affannano piccole le auto di chi sta ancora in giro e non ha la mia stessa fortuna - quella di essere osservatrice dall’alto, dalla finestra illuminata di casa. 
Avvolta nella vestaglia regalata dalla mamma nel corredo, decido di darmi un altro po' di calore. Accendo proprio l’Estate di Vivaldi e la metto in loop. 
Qualcosa di forte mi si muove dentro. 
Sento calore, ma ho bisogno di altro calore.
Decido di preparare il dolcetto per la colazione. Quello che tanto piace al mio maritino. Così quando rientrerà dal lavoro si sentirà avvolgere dallo stesso calore e in un istante si sentirà davvero a casa.

Ho la pasta sfoglia già pronta. Potrei anche fare l’impasto, ho già sfogliato dei cornetti in passato, ma ora non ne ho le forze e soprattutto mi manca il tempo.
In un pentolino metto a sobbollire due mele, mezzo limone, un po' di zucchero, burro, miele. Lascio andare piano, finché il fondo non diventa una poltiglia profumata e in superficie le mele rimangono dei tocchetti caramellati. Lascio raffreddare un po' e poi riempio i triangolini di pasta sfoglia con le mie mele. Arrotolo, una veloce spennellata di latte. Io: che non mangiavo mele cotte nemmeno sotto tortura perché da bambina, ricordo, me le ordinò il pediatra, in un periodo di malattia. Io: che ora vivo di mele cotte, declinate in tante gustose soluzioni di sapori. In forno, i miei piccoli cornetti sprigionano tutto il loro profumo, sanno di casa e mura di protezione, vestaglia, copertina in pile sul divano e coccole, mentre l’Estate di Vivaldi, col suo sentore di tuoni e fulmini minacciosi, non fa che acuire il senso di protezione che i miei cornettini mi sanno dare.


E così è, specialmente il mattino dopo, quando ci alziamo per fare colazione e fuori è ancora buio. A malapena si intravedono gli alberi, che però tra i loro rami racchiudono le piccole luci del paesello vicino. È dura alzarsi e mettersi in moto, ma i cornettini alla mela nel caffellatte bollente ci riconciliano con il mondo. O, almeno, contribuiscono a mettere un tassello in più nel nostro piccolo mondo. 

Immagine: Jean-Baptiste Siméon Chardin, La Brioche, 1763

Commenti

Anonimo ha detto…
De Le quattro stagioni ti consiglio l'interpretazione del Carmagnola con i Sonatori de la Gioiosa Marca.

I miei migliori saluti
Tristam Strauss