La Pizza di Pasqua


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Perché parlare di dolci pasquali a quattordici giorni dalla Pasqua?
Innanzitutto, perché dalle mie parti, dolce pasquale fa rima con Pizza di Pasqua e la Pizza di Pasqua è un regalo tipico che le massaie più solerti fanno ad amici e parenti in rappresentanza della famiglia. Quindi: pizze di Pasqua a go-go. Tutti regalano Pizza di Pasqua a tutti, in un folle scambio di carboidrati e zuccheri raffinati: con il risultato che si hanno decine di pizze di Pasqua a riempire la dispensa fino a ferragosto.
In secondo luogo, perché la Pizza di Pasqua È. Ed è impossibile che non sia. Tu stai lì, la fronteggi con coraggio, la tagli a colazione per inzupparla nel cappuccino, la tagli a pranzo o a cena per accoppiarla al salame o al cioccolato, ma Lei rimane lì, infinita, continua, si rigenera nella sua mastodontica fierezza da lievitato che, nel giro di poche ore, ha preso il comando di casa tua.
Quindi: a quattordici giorni dalla Pasqua, è ancora lecito parlare di Pasqua. 

Quest'anno mi sono cimentata anche io nell'impresa, che richiede non indifferenti doti da donna cuciniera, tempo, tanto tempo, coccole materne e la giusta umidità nell'aria.
Poiché di tutte le premesse a me manca quella fondamentale - il tempo - ho optato per la versione ufficiosa della Pizza di Pasqua: quella che prevede il lievito istantaneo, anziché il lievito di birra. 
Sembra una cosa illegale, sembra la versione pirata del film appena uscito al cinema. In realtà, anche se la versione originale prevede la pasta lievita, tra le massaie della mia terra esiste anche la versione con il lievito chimico, che viene smerciata appositamente per chi non ha tempo o, soprattutto, per chi vuole evitare tragedie da lievitazione. 
Le tragedie da lievitazione, infatti, sono dietro l'angolo, anche per chi, come la sottoscritta, con i lievitati ha un rapporto benevolo: dopo pane, pizza, brioche e persino un - modestamente - ottimo panettone, perché non cimentarsi anche con la Pizza di Pasqua in versione lievitato? Primo: la ricetta della mia bisnonna riporta tra gli ingredienti la misteriosa dicitura "un chilo di pasta lievita" (un chilo per me è troppo, ma soprattutto io non compro pasta lievita altrui, DEVO farla io e non avendo le dosi precise per la pasta lievita ho deciso di non affrontarla). Secondo: occorre avere una stanza da destinare appositamente alla lievitazione della Pizza di Pasqua, una stanza buia e in cui l'umidità possa rimanere stabile, in cui non far passare spifferi né tantomeno persone. Terzo: la Pizza di Pasqua è un coacervo di ingredienti che, se non ben trattati, potrebbero mandare all'aria l'impasto o la lievitazione. Gli ingredienti sono quintali di burro, pioggia di ricotta, badilate di liquori di ogni tipo. Uova, zucchero, anice e cannella - e ogni cosa bella.

Pertanto, chiedendo scusa alla gloriosa ricetta con pasta lievita della mia bisnonna - che oggi avrebbe novantanove anni - passata per le mani di mia nonna e di mia zia, recitando un Ave Maria e due Pater Noster per espiare la colpa, ho proceduto a fare la pizza di Pasqua come se fosse un normale ciambellone.

Eppure, nonostante il tradimento, le sensazioni sono state bellissime. 
Mi sono sentita l'anello di una catena che si snoda da secoli e che porta storia e tradizioni al futuro.

Dopo la riflessione sulle tradizioni da consegnare ai posteri, sono subito tornata con i piedi per terra: scoprendo che lo sbattitore elettrico - che aveva buttato fumo tossico nel tentativo di elaborare un dolce impossibile - era completamente andato. La tradizione, così, si è ripresentata in tutto il suo muscolare splendore: uova e zucchero da sbattere a mano. I deltoidi in fiamme. Ho pensato all'altra mia nonna, quella che non mi ha consegnato la tradizione della Pizza di Pasqua, ma degli altrettanto elaborati Cudduraci, esile come uno stelo, che fino a ottantotto anni, se poteva, montava uova e zucchero a mano, con un movimento preciso di polso da far morire di invidia tutti gli chef stellati. L'ho vista, lì, sul suo tavolo di marmo bianco vecchio di sessanta anni, a sbattere uova e zucchero. Mi sono detta: non posso tirarmi indietro. Ci ho provato, certo. Non con la stessa perizia novecentesca di mia nonna. Poi è arrivato il burro, non fuso ma a temperatura ambiente, e poi ancora la ricotta - e io lì a girare acqua e cemento con la fronte imperlata di sudore e i deltoidi che avevano ormai rotto la soglia del dolore, tanto da sembrare quelli di qualcun altro. 
Arrivano gli aiutanti. I liquidi. Un bicchierino della famosa sambuca della mia città: appena stappata, sono tornate alla mente infinite domeniche in famiglia, in cui la sambuca era la naturale conclusione, dentro al caffè, di pranzi luculliani. E due bicchierini di vermut: appena aperto, sono tornati alla mente i pomeriggi silenziosi e ovattati della nonna dei cudduraci, che col vermut insaporiva i dolci - e quasi la sua casa sapeva di vermut, un odore che è diventato presto l'inconfodibile tepore della mia infanzia.
Farina. Il peccaminoso lievito per dolci. E vai di nuovo di cazzuola da muratore. 
E poi anice, messo in ammollo per ore in una tazzina di sambuca.
E poi ancora cannella, un cucchiaino.
E, infine, la mia personalizzazione: due o tre cucchiaini - non ricordo quanti, perché il solo odore mi ha confuso le idee - di cacao amaro.

Infine, eccolo, l'inconfondibile stampo di carta, senza il quale la Pizza di Pasqua non è Pizza di Pasqua. Lascio colare l'impasto, recitando intanto tutto il rosario perché la mia pizza diventi alta alta come quella tradizionale. 

L'ora di forno statico a centottanta gradi è stata lunga. Un'ora in cui non mi sono potuta disinteressare della cosa. Ho fissato lo sportello del forno costantemente. Cresce? Non cresce? E che consistenza avrà? Sarò all'altezza? Per me, la tradizione culinaria che mi rappresenta è importante. 

La mia Pizza di Pasqua è cresciuta lenta come la mia autostima e le mie convinzioni. No, non verrà mai bene: ho sbattuto a mano uova e zucchero come se non avessi mai impugnato un cucchiaio in vita mia. Non potrà mai venire bene, mi dicevo.

E invece.

E invece, con i suoi tempi, la mia Pizza è cresciuta come le guanciotte di un bimbo inzeppate di latte materno. Ha sprigionato profumi incredibili. Mi sono sentita una persona che dà senso alla propria casa - perché io, al contrario dei miei vicini, che aspettano mezza giornata di ferie per fuggire da casa propria, quando ho qualche minuto di vacanza in casa mi ci chiudo e sperimento e faccio tutte quelle cose che, spero, mi possano avvicinare alle tradizioni della mia terra e delle mie nonne.

Morale della favola: nonostante le mie preoccupazioni e la mia scarsa autostima, che sempre emerge quando si tratta di cucinare, metà Pizza di Pasqua è sparita nell'arco di tempo che è andato dalla colazione alla cena. 
Era una Pizza che più o meno seguiva la tradizione ma che rimaneva molto mia. 
E ora sono là a contraddistinguermi quelle necessarie personalizzazioni che fanno della mia Pizza il sapore inconfondibile della mia famiglia - e della mia soltanto.

Commenti

Patalice ha detto…
...lo sai che io, golosa di dolci come pochi altri al mondo, non ho mai assaggiato ne sentito parlare di questa super pizza?
Veronica ha detto…
^_^ penso che nessuno l'abbia mai sentita nominare, perché si fa solo dalle mie parti! E, nonostante questo, Slow Food l'ha scovata ed è stata inserita nell'Arca del Gusto, in quanto ricetta storica da preservare.
Grazie mille, Patalice, per aver fatto una passeggiata da queste parti. Appena ho un po' di tempo, raccolgo le foto della mia Pizza e le metto a guardia del mio post! A presto!
Anonimo ha detto…
Sarò sincero: pur ritenendomi un discreto seguace del culto gastronomico, non avevo mai sentito parlare di questo tipo di pizza.
M’hai aperto lo sguardo su un nuovo angolo di mondo.

I miei migliori saluti
Tristam Strauss
Vele Ivy ha detto…
Ma wow!! Nemmeno io conoscevo la pizza di Pasqua, ma solo a leggere le tue avventure culinarie mi è venuto appetito!
Veronica ha detto…
@Tristam: questo dolce, in effetti, pur essendo stato accolto nell'Arca del Gusto, rimane ancora piuttosto sconosciuto.

@Vele: è un dolce molto buono, ma dalle mie parti o lo ami o lo odi, tanto particolare è il suo gusto.

Grazie per essere passati di qua!