Si alza il vento



Le vent se lève. Il faut tenter de vivre.
Così recita Valéry. E così cadenza Miyazaki, come se a intervalli regolari intonasse il ritornello di una canzone imparata a memoria da bambini.
Il vento si alza. Bisogna tentare di vivere.
E anche la domanda si alza, come il vento: è possibile costruire un'opera su ciò che di meno malleabile esista? È possibile costruire una storia sul vento?
Un'opera d'arte, di qualsiasi forma essa sia, è modellazione, è coerenza, è costruzione, è controllo. Chi si mette a creare lo fa con la consapevolezza di essere dio, di avere la potenza del demiurgo, di saper creare dal nulla un mondo nuovo.
Ma il vento.
Il vento non lo si afferra. Il vento non si fa prendere. Il vento non si ferma - o non sarebbe vento. Il vento è movimento. E non è solo un andare da qui a lì. No. Il vento parte dove vuole, va dove vuole e cambia all'improvviso direzione. Il vento è come la vita. Anzi, la vita è come il vento, solo che noi non ce ne vogliamo rendere conto. Siamo convinti di essere padroni di quello che facciamo – e, invece, semplicemente reagiamo a cose che accadono al di fuori della nostra volontà. A essere esagerati, noi possiamo controllare nulla. Dalle cose più grandi alle più infime. Non controlliamo il tempo, pur avendo orologi e sveglie, non controlliamo ritardi, anticipi, il sonno, il traffico. Non controlliamo le persone a noi care, le loro partenze e i loro ritorni. Non controlliamo l'acqua che bolle in pentola e basta girarci un attimo perché sia finita tutta fuori. Non controlliamo le prove di fronte a cui ci mette la vita e per cui, pur preparandoci, non siamo mai pronti. All'esistenza reagiamo, con fatica o con prontezza, buttandoci a capofitto nelle cose, pur senza capirle, o annullandoci e mettendoci in disparte. In altre parole, siamo trasportati dalla corrente, dal vento, da una brezza leggera se i cambiamenti sono a portata d'uomo, da una tromba d'aria se sono troppo repentini – e il colpo fatica ad essere assorbito. Il vento non è che una metafora della nostra condizione. Perché la vita è tutta una lotta con l'inaspettato.



Il vento è quello che anima i sogni di Jirou, che vuol fare il progettista aerospaziale, per costruire un sogno. E Jirou progettista diviene, ma non per costruire un sogno. Costruirà solo perfezioni aeree cariche di bombe o pilotate da uomini pronti a missioni suicide. Nella vita di Jirou il vento cambia molte volte. E a ogni direzione non sarà mai facile. Perché per sua natura il vento è estremo. Se c'è vento, le cose si muovono veloci e forti, si alzano e si spostano del tutto. E, allora, il vento può essere il Grande Terremoto del Kanto del 1923, accaduto in una graziosa giornata di fine estate, quando apparentemente gli unici pensieri del giovane sarebbero dovuti essere andare all'università e scambiare due parole con la graziosa Nahoko. Ma ecco il vento, ecco l'inaspettato. Al terremoto si aggiunge il vento dei venti, un tifone, che alimenta il fuoco per giorni e incenerisce anche quelle vite convinte di essersi salvate dal sisma. Il vento è poi un vento di opportunità, quelle di un lavoro che conduce Jirou a fare il progettista di aerei, ma di aerei che nulla hanno a che vedere con un sogno. Il vento è poi un vento gelido e militare e tedesco. Il vento è quello della polizia segreta e quello della seconda guerra mondiale. Il vento è quello che butta giù gli aerei di Jirou e che poi li porta su ed è anche quello che gli fa vivere il sentimento d'amore più estremo, in un soffio che scuote il cuore per pochi istanti e che si spegne pieno di fulgore in un battito di ciglia. Il vento è nella testa di Jirou, che vive senza controllare nulla della sua esistenza e che, ciononostante, tenta di controllare nei limiti delle sue possibilità quello che gli capita al momento. Perché il più grande vento è il suo sogno e il suo sogno è dare sogni agli uomini. Più aleatorio e ventoso di questo proposito non ce ne è.
E, allora, torna la domanda iniziale. Come può un'opera d'arte, che è controllo, modellazione, coerenza, essere costruita sul nulla e sul tutto, sul caos e sull'ignoto, cioè sul vento. Come si può? Si può e non si può. Miyazaki può perché sa che questo è il suo ultimo film. Lo dice a chiare lettere: la vita creativa di un artista dura al massimo un decennio. Occorre dare il tutto per tutto in quei dieci anni. Il che significa: crea sogni, ma poi torna a vivere. Crea mondi per gli altri, ma poi torna a vivere. Divertiti a interpretare dio, ma poi torna a vivere. Perché chi crea è talmente concentrato a creare che talvolta dimentica di vivere. È talmente preso dalle cause e dagli effetti, dalla coerenza delle proprie creazioni, che poi si sente spaesato e muto e inutile in mezzo all'assenza di regole della vita. Chi crea, ad un certo punto, ha bisogno di sentirsi accarezzare un po' dal vento. E di godere di quel che dà e di quello che porta via. Jirou lo dice, guardando i suoi kamikaze: non ne è tornato neppure uno. Che è una frase da leggere in altro senso. Da quell'immenso vortice turbinoso della vita nessuno torna vivo. Il finale della vita lo si conosce bene. Bisogna vedere cosa si fa prima del finale. E se si recitano le ultime battute con la consapevolezza di aver dato tutto, pur avendo potuto nulla.



E lei, quell'eterea fanciulla durata lo schiocco di una fiammella, così risponde al suo Jirou: Vivi! - e lo dice mentre svanisce nel vento.
Tu rimani lì, con un caos nella mente piena di esistenza e sogni, piena di vite e suoi paralleli, di uomini che si trascinano e di uomini che tentano a ogni costo di catturare il vento con la retina delle farfalle. Sei lì e guardi il film più oscuro di Miyazaki, il più tormentato, il meno conciliante, il più onirico e il più realistico - niente magia, niente spiriti, niente palline di fuliggine. Niente. Solo il vento, che fa paura e che ammalia. Che ti indica mille strade e non una. Che ti sconvolge e arruffa i capelli.
Vivi! Dice Nahoko. E tu non ci stai capendo niente, forse perché per la prima volta un artista ha esposto nella sua opera il caos dell'esistenza, in barba a tutte le regole e i contorni, le armonie e le simmetrie e le analisi e le interpretazioni.
Vivi! Dice Miyazaki e tu dovresti star lì solo a vivere il film, senza dargli peso, lasciandoti attraversare dall'esperienza visiva ed emotiva - che ti turba e ti cambia. E tu, dopo, non sei più lo stesso.
È vero che non torna più nessuno, ma vivi. Vivi davanti alla tragedia dell'umanità e alle difficoltà della vita interiore e privata. Vivi il tuo sogno. E vivilo anche se lo stai vivendo nell'era sbagliata, quella che non ti permette di costruire aerei per passeggeri, ma solo velivoli di distruzione. E probabilmente finirà che il tuo sogno sprofonderà nel vento malevolo della tua epoca, ma almeno tu, quel sogno, hai provato a farlo librare in aria.
Si alza il vento, bisogna tentare di vivere. È quel "tentare" che dà senso a tutto. Rende il vento così insidioso e il vivere così faticoso. Cambiano le cose, tu non vuoi cambiare, eppure sei costretto. Non hai scelta, devi seguire il vento. Prima o poi ne capirai il percorso e, quando lo avrai compreso, il vento cambierà di nuovo.
Il punto è che certe anime, certi cuori, certi occhi hanno un disastroso potere in più. Quello di farsi attraversare dal vento e allo stesso tempo capire che proprio quel vento sta passando. Capiscono il cambiamento - non lo arginano, no - ma lo sanno interpretare. Più spaesati e sballottati degli altri, perché fanno una fatica in più, vivono e capiscono di vivere. Probabilmente, poiché questo è un fardello dei più tragici - farsi attraversare dal vento e doverlo capire - ad un certo punto occorre lasciarsi trasportare. 
Vivi! Dice Nahoko. Smettila di pensare. Vivi. Smettila di angustiarti. Vivi. Nonostante il vento sia pieno di lame. Vivi. Libera la mente. Vivi. E, tuttavia, vivere nonostante il vento è la cosa più difficile che ci sia. Miyazaki lo sa bene. Perché quel “Vivi!” arriva a conclusione di una serie di difficoltà inimmaginabili. Di fronte ad esse, ogni uomo vorrebbe ritirarsi dal mondo. Perché è più facile ritirarsi che vivere. Prova a vivere mentre un tifone ti spazza via. Prova a vivere mentre un uragano ti calpesta. Prova a vivere mentre mille venti ti ingoiano, provaci, se ci riesci. O, almeno, tenta.
Consapevole che se non puoi controllare nulla, allora nulla dovrebbe preoccuparti.



Adesso, per il maestro è tempo di cambiare rotta. Si alza un nuovo vento, la parabola del cinema si chiude. Ci saranno nuovi orizzonti, oscuri ma tutti da scoprire. E oscuri e da scoprire sono gli orizzonti di ogni uomo, che torna a provarci dopo i titoli di coda.
L'importante, nonostante l'ignoto, è tentare. 
E, quando si prova così terrore da non saper che fare, ci si può rifugiare nei propri sogni. Lì, tra pacate contemplazioni del tutto, scenari appaganti e un mondo plasmato a proprio piacimento, il vento non può entrare. O, quantomeno, prima chiede il permesso.


Commenti

Barbara ha detto…
Mi inchino a ciò che hai scritto, davvero dopo quel punto conclusivo mi hai lasciata lì a pensare. Sul serio bellissimo questo omaggio al vento e ai suoi significati :)
Matteo Caronna ha detto…
Post bellissimo, complimenti.
Jean Jacques ha detto…
Bellissima recensione per un film splendido!
Veronica ha detto…
Grazie a tutti! Sono contenta di riuscire a condividere i miei pensieri con voi! :)
Maria D'Asaro ha detto…
Accidenti ... mi hai colpita al cuore con queste riflessioni stupende. Grazie.
GIOCHER ha detto…
Sei stata ridondante oltre l'eccesso e il dovuto.Ma efficace :)
Vele Ivy ha detto…
Che tristezza pensare che sia l'ultimo film del Maestro... ho quasi paura di vederlo. Dalle tue parole traspare l'emozione che hai provato guardandolo.