Nella terra di nessuno
Il destino diventa
destino solo a mente fredda. Il destino si rintraccia a posteriori e
la sua forma assume contorni precisi col tempo, col trascorrere dei
decenni e con gli occhi pronti ad analizzare lucidamente.
Come ogni vita, nessuna
vita ha un significato preciso durante. È sempre il dopo
a tirare le somme. Pasolini diceva che il montaggio cinematografico è
come la morte: l'unica cosa che pone fine alle infinite possibilità
dell'esistenza. Terminato il montaggio, il film ha un significato. O
anche più d'uno, ma non significati infiniti e comunque sempre
significati coerenti, compatti, riconducibili gli uni agli altri. E
questo è quanto, per Pasolini, avviene al concludersi della vita.
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Ernst Ludwig Kirchner |
C'è stato un periodo
nella Storia e nella storia delle Arti che ha avuto un sapore
rivoluzionario e tragico ad un tempo. Quello di chi si è buttato a
capofitto nella propria personalissima ricerca, allontanandosi da
ogni regola; quello di chi ha vissuto ed è stato fagocitato, ha
vissuto gettandosi nella mischia ed è stato travolto –
polverizzato.
Non a caso si parla di
avanguardie. Forse l'unico esempio della storia in cui le
correnti artistiche sono state definite con un termine militare.
Nulla di più lontano – l'arte e la guerra – eppure nulla di più
vicino.
L'avanguardia,
nell'esercito, è il reparto che precede le truppe ed apre loro la
strada. Quasi una missione
suicida. Che con la prima guerra mondiale assume toni ancora più atroci.
Probabilmente gli altri reparti dell'esercito li additavano
– gli avanguardisti: non ce la faranno mai, avranno detto,
moriranno prima di aver percorso cento metri, non vedranno la
prossima alba, questa battaglia, no, non la racconteranno.
Tornare o non tornare
dall'azione dell'avanguardia, in fondo, poco importava per il
suddetto destino: l'avanguardista era comunque un eroe. Ancora oggi
nei libri di storia leggiamo un numero – trecento – quando si fa
riferimento a quella minuscola avanguardia che aprì il varco (e le
speranze) al resto della Grecia contro i Persiani. Che fossero poi
trecentodieci o duecentonovantanove non interessa: l'importante, nel
libro, è sottolineare quel numero, perché quel numero la dice lunga
sul destino dell'uomo e della società occidentale.
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Umberto Boccioni |
Ora, parlare di
avanguardia in arte è totalmente diverso. Perché gli artisti non
combattono una guerra vera, visibile, ma una guerra che i più non
percepiscono. Gli artisti imbracciano le armi anche quando,
apparentemente, non c'è alcuna battaglia. Se ne stanno lì a spiare,
osservare, ricercare, battere il terreno: la guerra da combattere
c'è, è quella che segna i tempi, che definisce culture e popoli,
una guerra che si vince decenni, se non secoli, dopo. Una guerra
persa in partenza – nel presente – e combattuta esclusivamente
per la vittoria del futuro, un futuro lontano, lontanissimo. Insomma,
ai posteri l'ardua sentenza. Perché l'arte ha una gittata molto più
lunga di un cannone; e non è possibile dire
subito se quella cannonata abbia condotto alla vittoria o alla
sconfitta. L'arte, nel presente, non è mai del tutto
compresa. L'arte, se è arte vera, non è fatta per il presente, è
fatta per il futuro. E questo avviene da sempre. Oggi ce ne stiamo tutti con la testa all'insù e gettare
alito su quelle meraviglie dipinte da Michelangelo nella Cappella
Sistina. Michelangelo fu uno dei pochi artisti riconosciuti come tali
in vita, ma ebbe i suoi grattacapi.
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Franz Marc |
Quando il Giudizio Universale
fu scoperto si pensò subito di distruggerlo, tale era la portata
licenziosa e scandalosa di quegli Ignudi. Tale era il caos dei tempi
che l'artista aveva individuato e che nessuno voleva vedere.
Michelangelo morì poco tempo dopo aver saputo che quelle pudenda
sarebbero state coperte, anziché distrutte. Ci sono voluti secoli
per riabilitare il capolavoro: capolavoro che prese il Rinascimento,
lo azzerò, ne annullò le conquiste spaziali e lo consegnò
direttamente al Manierismo e al Barocco, anche se di Manierismo e
Barocco ancora non si parlava.
E Michelangelo è
Michelangelo, guai a toccare Michelangelo. Eppure il suo Giudizio
Universale rimase coperto e storpiato per secoli.
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Auguste Macke |
Gli Impressionisti furono
definiti incapaci di dipingere, ma nel giro di cinquant'anni
divennero dei classici: così arrivarono le Avanguardie a distruggere
il nuovo classico.
Il punto è che ogni vera
corrente artistica è un'avanguardia. Ma la cosa che stupisce delle
Avanguardie storiche è il loro destino.
Franz Marc, padre,
assieme a Kandinskij, del Der Blaue Reiter, viene travolto a
trentasei anni dalla più atroce delle battaglie della Grande Guerra:
Verdun. Auguste Macke, un destino ancora più crudele. In viaggio con
Klee, ad agosto del Quattordici viene chiamato alle armi. A settembre
cade. Ha solo ventisette anni. Egon Schiele non arriva a vedere la
fine della guerra, l'ultimo giorno di ottobre del
millenovecentodiciotto muore di spagnola, dopo la moglie incinta –
di anni ne ha solo ventotto. Stesso destino per Guillaume
Apollinaire, che il nove novembre del Diciotto, a trentotto anni e
dopo essersi salvato da una ferita in guerra, cede alla spagnola. E
pure il nostro Umberto Boccioni, una vita a fare umile e instancabile
ricerca e a tirare fuori trovate geniali, cade da cavallo durante
un'esercitazione militare e rimane a terra, a trentaquattro anni.
Potremmo anche citare il tormento di Ernst Kirchner: arruolatosi
anche lui, nel Quindici si lascia andare ad un feroce esaurimento
nervoso, uno stillicidio che dura una vita. Preso di mira dai
nazisti, si suicida nel millenovecentotrentotto. Per lui, la guerra è
durata più di vent'anni.
Personaggi sull'orlo del
precipizio, tutta la vita. Un precipizio artistico, ovvio. Una
battaglia con una società non ancora pronta ad accoglierli e a
capirli. Denunce, tele bruciate, insulti, opere
requisite, opere definite triviali, becere, scandalose. Poi ci si
mette la storia con la sua beffa: avanguardie nell'arte e soldatini
sacrificabili al fronte.
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Egon Schiele |
Esistenze letteralmente
bruciate – eppure no. Perché oggi, quegli stessi soldatini vissuti
sul precipizio ci guardano con i loro occhi in bianco e nero dalle
pagine dei libri. Ci fissano con la loro aria vintage eppure eterna,
eppure futura. Ci guardano negli occhi dai primi del Novecento e ci
parlano ancora di oggi. E ci parlano anche di domani, perché spesso,
tuttora, le loro opere sono difficili da digerire. Poco dopo la loro
dipartita, anche le Avanguardie sono finite. Dopo la guerra, si parla
di un “ritorno all'ordine” che ha comunque regalato al mondo
forme d'arte nuovissime e rivoluzionarie, ma che ha tuttavia il
sapore del passo indietro, rispetto al precipizio. O, meglio:
dell'assestarsi sul precipizio altrui. Delusione e cinismo, forse, i
fattori determinanti. L'arte sarebbe andata comunque avanti. Ma non
ci sarebbe mai più stato quel destino beffardo, atroce e carico di
senso del tempo - e senso dell'umorismo - che ha portato gli
avanguardisti a morire da avanguardie.
C'è un termine
appartenente al linguaggio militare, pieno di fascino e di terrore.
Terra di nessuno. “Porzione di territorio non occupata oppure
rivendicata da più parti che lasciano tale area non occupata a causa
di timori o incertezze che deriverebbero dall'impadronirsene” -
“area situata tra due trincee nemiche in cui nessuna delle due
parti voleva muoversi apertamente o che nessuno voleva prendere per
paura di essere attaccato dal nemico durante l'azione” (Wikipedia).
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Guillaume Apollinaire |
Durante la Grande Guerra,
la terra di nessuno è rimasta tale per anni. La guerra è diventata
guerra di posizione e logoramento. Nessuno andava avanti, nessuno
indietro, la terra di nessuno rimaneva di nessuno.
Qualcuno, però, quella
terra arida e melmosa l'ha occupata. Ci ha messo piede, ha gettato
qualche seme, è saltato in aria, ci ha rimesso le penne. Anni dopo,
a clamori spenti, quei semi hanno fruttato.
Il passo degli artisti
nella terra di nessuno è il passo dell'istante. Un passo nella terra
più pericolosa che esista, perché fuori quella terra, i cecchini
sono nascosti e pronti a sparare anche se non vi è alcun motivo,
anche se quello che hanno visto è solo un bagliore. I cecchini,
nell'immobilità di quella terra, vedono qualcosa di nuovo. Il nuovo
fa paura. Così sparano. Perché è più comodo sparare da fuori che
esporsi.
Passano i decenni,
passano i secoli. La terra di nessuno diventa area picnic in cui
godersi l'ombra degli alberi dopo aver sparato.
Commenti
Dico solo wow come sempre nel tuo blog :)
Brava, brava, brava.