KATACRASH, di Fabrizio Gabrielli


Se si è una persona a cui piace scrivere, non si può non prestare attenzione alla struttura delle frasi – ma che dico? – alla struttura delle parole di Katacrash. In un primo tempo stai attento e la studi, 'sta struttura, dopo un po', però, Katacrash ha il pregio di rapirti e di risucchiarti in un ritmo che diventa sempre più martellante, più bello – diciamo le cose come stanno – e quasi indispensabile. Indispensabile perché l'architettura di Katacrash è l'unica cosa che per fortuna nel libro non crolla. Vacillasse anche quella, allora il mondo finirebbe. Infatti, se si vogliono davvero vivere i “fragorosi crolli” di cui si parla, si deve poggiare almeno su un linguaggio stabile. Su una forma sicura. Pensiamo al palindromo: non è forse il segno che la frase è davvero quella? Che la frase è particolarmente forte e incrollabile? Come incrollabile è la scrittura, come incrollabile è l'hip hop. L'adolescenza è di per sé un'età senza tempo né spazio perché è vissuta alla giornata, senza programmi per il futuro e proprio per questo più intensa e più instabile delle altre.

Ecco quindi un profondo senso di finitudine scaturire da questo libro; un profondo senso di precarietà (e di malinconia e di morte, anche) nasce in modo quasi naturale e più si percepisce l'instabilità, più si ha voglia di continuare a leggere – forse per avere delle conferme.

Chi scrive non appartiene al mondo dell'hip hop. Però ha rintracciato nella storia e nella forma di questo libro hihopeggiante un'esigenza che si ha sempre, specialmente nel periodo adolescenziale: la ricerca dell'appiglio più forte e più sicuro che si ha. Può essere l'hip hop o il rock, poco importa. Può essere la scrittura. Questo importa. Una scrittura hip hop o rock, poco importa, purché sia una scrittura bella, stabile, ragionata, non scontata. Anzi: hip hop o rock importa, nel momento in cui tali forme siano un passaggio per aprirsi al confronto e alla crescita. Forme, appunto, non etichette. Perché dietro l'etichetta c'è tanta colla appiccicosa, in una bella forma si può trovare un mondo da condividere e che può appartenere a chiunque.


Katacrash, un viaggio mirabolante ed emozionale, ogni CRASH è il CRASH dell'anima, il CRASH di un ricordo.

Ed emozionale è stato il volo pindarico della mente che è arrivata all'ultima sequenza di un film del 2001, girato prima del crollo delle Twin Towers e uscito a ridosso di quel crollo, rimanendo inosservato ai più. Sto parlando di Donnie Darko che – a dirla tutta – non c'entra nulla con Katacrash. Dalle pagine però è scattato un FLASH che dal CRASH del libro è giunto al CRASH del tetto della casa di Donnie Darko, nel momento in cui il motore di un Boeing gli cade sulla stanza. Donnie accoglie il pezzo d'aereo ridendo, tra elucubrazioni mentali complessissime e la voglia di vivere il mistero della vita. E nel momento in cui crolla la casa di Donnie, crollano tutti, come per un effetto domino. Il crollo di personaggi chiusi in una provincia chiusa. Nel film. Nel libro. L'accostamento di due opere diversissime per ragionare su come avvengano i crolli. Ogni personaggio è in bilico su se stesso e nessuno riesce a sim-patizzare con gli altri, né agli altri vuole appoggiarsi. Ognuno è il mondo di se stesso e il crollo è sempre un crollo individuale – sia prima che dopo l'11 settembre. Quando l'uomo crolla è un po' come un topo sfrattato dal suo silos esploso, corre di qua e di là, senza meta, senza tempo né spazio, lui e il proprio vacillamento interiore, arrancando tra le macerie impazzite che lo trascinano giù.

E... toh! Anche Donnie Darko è un palindromo. La pellicola si riavvolge e il film finisce come inizia. O inizia come finisce. Il fatto è che un crollo confonde un po' le carte, quello che era su può improvvisamente trovarsi giù e viceversa. Le cose si scompaginano, perdono linearità, creano spaesamento. Si producono nuove forme. Ops!, di nuovo forme. Il tutto sta nel non perdersi d'animo di fronte ad un mondo che crolla – di certo non è facile. Anziché rimettere a posto i pezzi, li si può riutilizzare in altro modo. Un film può essere così un serpente che si morde la coda, creando nuovi spazi temporali da esperire. E un libro può decostruire la scrittura ed esplorare nuovi orizzonti della parola. L'effetto è in ogni caso devastante. L'importante è credere fermamente in quello che si fa e non lasciare che anche le convinzioni e la perseveranza crollino.


Ora, di Donnie Darko non ce ne importa nulla. Non dovete andare a guardare Donnie Darko, paranoia mentale della sottoscritta, che sa scrivere solo per paragoni e riflessi. Ma leggere il libro di Fabrizio, questo sì che dovete farlo.


Commenti

Datura ha detto…
ckckHo avuto il piacere e l'onore di avere una copia dedicata dall'autore, con 'per-giunta' la colonna sonora che costituisce brano per brano le 'note' di ogni capitolo.

Fabrizio è un grande narratore, che sa davvero rapire e giocare con il lettore.

Gli auguriamo ogni bene
Veronica ha detto…
Concordo in pieno.

Agitatore di parole mai banale, riesce sempre a portare il lettore... "altrove"...