Calendario dell'Avvento #11 - TEATRO
Nella casellina di oggi trovo una sorpresa, davvero. Avevo programmato tutt’altro, ma gli schemi sono saltati. Perché inaspettatamente ho deciso che il regalo era diverso dal previsto. Stamattina ho assistito a uno spettacolo teatrale nell’Auditorium della mia scuola, Eros. L’amore al tempo dei miti, rivolto ai ragazzi del biennio. Nonostante il titolo, non aspettatevi un peplum classico, con tanto di divinità greche unte d'olio, coi calzari d'oro e di bianco vestite. Lo spettacolo era un monologo, un vero e proprio one man show, in un palcoscenico spoglio e costellato solo da alcuni oggetti modernissimi. Al centro, davanti e dietro una tavola sui cui svettava del vino rosso, l’attore - Camillo Marcello Ciorciaro - dialogava con se stesso, con la figura del padre e con i miti greci. Non starò qui a fare la disamina di ciò che ho visto - nulla da dire, opera ben scritta e ben montata, snella nonostante il tema di partenza potesse creare qualcosa di abnorme e in grado di tenere attenta una platea di adolescenti.
La cosa che più mi ha riguardato da vicino, tuttavia, è stata un’altra. Dopo lo spettacolo, Camillo Ciorciaro ha dialogato con gli alunni, rispondendo alle loro curiosità. Una ragazza gli ha chiesto “Perché proprio il tema dell’amore”? Alla domanda - complicatissima - lui ha risposto dicendo che di amore abbiamo bisogno ovunque e sempre, non solo verso il partner: abbiamo bisogno di amore per la vita, per le passioni, per un paesaggio, per qualsiasi cosa abbiamo attorno e ci attraversi. Degno di nota il modo in cui ha raccontato di aver letto una poesia, a Bologna, praticamente ubriaco, e di aver ricevuto il complimento dei complimenti da una ragazza: "Mi hai dato qualcosa". Ho visualizzato il suo racconto, subito, e mi è arrivato come una scossa.
Mi sono subito catapultata là dove mi sono dimenticata di essere stata. Un tempo, io, proprio io, ho frequentato il Dams. Di spettacoli teatrali ne ho visti a iosa e di quella passione squattrinata e genuina che anima gli attori mi sono nutrita per parecchio tempo. La voglia di cambiare il mondo con la propria arte; dormire tra sogni di gloria e il bisogno sanguigno di esprimersi liberamente sempre, di vivere della propria arte spettinata e sgualcita, che magari i più non capiscono ma di cui quegli stessi più hanno, senza saperlo, estremo bisogno. Ecco, mi sono detta: nel mio percorso, quell’amore dove è andato a finire? Come ho fatto a passare dall’amore per un’arte - la scrittura, il cinema, il teatro - al pieno di una classe carica di storie che ti costringono a inseguire scadenze, scartoffie, test e burocraticismi vari? Solo: ho deciso che volevo cambiare il mondo scendendo dal palco - che mi è sempre stato troppo stretto (o troppo largo) - e di gettarmi nella mischia. Di avere a che fare con la vita vera là dove si forma, in mezzo agli adolescenti. Di voler cambiare il mondo in altro modo, con un’altra forma di arte, ma comunque sempre con tanto amore e tanta fiducia per le cose della vita e del mondo. Forse non eravamo molto diversi, oggi, io e quei tre ragazzi della piccola compagnia ospite della scuola: tutti alle prese con lo spargere un po' di amore e bellezza in giro per il mondo. Loro non lo sanno, ma ho avuto modo di guardarmi allo specchio, oggi, di rivedermi come ero una decina di anni fa e di riflettere su cosa sono adesso.
Grazie.
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