Calendario dell'Avvento #17 - LASAGNE AL RAGÙ



C’è poco da fare. Quando si avvicinano le feste, il desiderio di buttarsi a capofitto nelle varie cibarie natalizie è qualcosa di irrefrenabile. In più, la preparazione dei vari cenoni e pranzi e avanzi prosegue a spron battuto per tutto il mese di dicembre - dove stiamo, cosa cucino, io preparo l’antipasto, tu il primo, tu il secondo, no ma il secondo viene meglio a me, tu meglio se prepari solo il caffè eccetera eccetera - è un vero e proprio piano di battaglia, roba che farebbe impallidire Napoleone di fronte alla strategia della campagna russa. Ci si riduce poi sempre all’ultimo minuto, perché puoi fare la spesa che vuoi e surgelare l’intero mercato ittico-ortofrutticolo e ogni macelleria sul territorio nazionale, ma alla fine si aggiunge a tavola sempre la persona in più, sempre quella che io non mangio la pietanza x - e il pane, diciamocelo, va comprato fresco. Tutto quello che avviene nelle cucine di nonne, mamme, zie, suocere e consuocere, papà executive chef per un giorno e zii sommelier per l’arco di una serata è qualcosa di imperscrutabile. Un vero e proprio mistero della fede. 
Indubbiamente, alla base di tutto il trambusto che riempie le cucine e relega i bambini in un angolo a giocare con qualsiasi cosa, purché si tolgano di mezzo, sta un sentimento: cucinare per Natale (o per qualsivoglia festa) fa famiglia. È  bello ripetere di anno in anno le tradizioni: a casa mia ci sono tradizioni che non possono mancare, le zeppole al posto del pane durante il Natale, i passatelli il giorno di Santo Stefano, il pesce al sale come secondo durante la vigilia oppure, a casa di mio marito, non possono mancare i ceci, beneauguranti, da proporre proprio il giorno della vigilia. Ognuno ha le sue tradizioni ed è giusto mantenerle. A volte, dopo anni e anni in cui ci si cimenta sempre nei medesimi piatti, si tenta di fare la scalata alla stella Michelin con la proposta di qualcosa di nuovo e sconvolgente - risotto agli scampi idrogenati su crema di porri e polvere d’oro edibile - ma il desiderio di sedersi a tavola e mangiare quelle stesse cose di sempre non fa solo parte della tradizione: è il lusso di trovarsi coccolato in quel qualcosa che si spera eterno, il sapore di sempre, l’odore di sempre, il trambusto di sempre, anche mentre le cose stanno cambiando. L’importanza del cibo tradizionale è questo, dare una radice salda alle proprie papille gustative: non è solo questione di riconoscere il tocco della mamma o della nonna, significa anche e soprattutto adagiarsi su quelle radici da cui ci sradichiamo per undici mesi su dodici, tornare ad esse - e godere un momento di meritato riposo, a ricordare i Natali passati, a rievocare sapori e frasi. 
Ancora non mi è capitato di poter cucinare e ospitare tutti in casa mia - la casa è troppo piccola - ma, quando accadrà, se accadrà, cercherò di rispettare le tradizioni pur creandone una nuova tutta mia. La foto e il piatto che hanno dato il la a questa casella del calendario dell'avvento, tuttavia, riguardano un momento particolare. Mancavano due giorni al mio ricovero programmato. Eravamo ancora in due, ma stavamo praticamente diventando tre. Era l’ultima domenica in due. L’ultima prima di Natale. Mio marito mi fa riposare e mi cucina una lasagna al ragù con tutti i crismi. La lasagna al ragù è casa mille volte, perché non si mangia solo durante le feste comandate, ma quasi tutte le domeniche. Ogni rettangolo di lasagna corrisponde ad un morso di prevedibilissima e comodissima casa. Stavamo cambiando e lo sapevamo benissimo: la lasagna al ragù, quel giorno, ci ha riuniti attorno al tavolo in due, in una coccola che faceva da tramite al nuovo che stava nascendo. Ecco il potere dei piatti tradizionali. Eliminano lo smarrimento e ti riportano sempre a casa.  

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