Calendario dell’Avvento #23 - MUSICA NATALIZIA



Non sono persona che ascolta le playlist natalizie, un po’ blues fasullo, un po’ musica commerciale, un po’ coretti di bambini che sembrano voci sintetizzate e create interamente al computer. No, non sono il Grinch. Riguardo la musica natalizia io ho tutta un’altra tradizione, che mescola musica classica a musica popolare. Nella mia città, il 23 dicembre, a partire dalla sera, per tutta la notte e fino alle prime luci dell’alba del 24, vanno in scena le cosiddette pastorelle. Si tratta di gruppi musicali di gente comune che si riunisce con flauti, chitarre, triangoli, voci maschili e femminili, meglio se stonacchiate, e che canta alcuni classici di Natale. Non mancano Jingle Bells o Astro del Ciel - perché comunque dalla fine dell’Ottocento a oggi ci siamo anche modernizzati - ma la Pastorella con la P maiuscola prevede in realtà la canzone natalizia per eccellenza della mia città, la cosiddetta Tradizionale, che ha una lunga parte musicata con flauti e chitarra. Leggenda familiare vuole che La Tradizionale sia stata composta da tale Gallinella, mio avo. Non credevo molto al fatto che Gallinella, poeta a braccio della mia città nella fine dell’Ottocento, fosse un mio antenato. Poi ho scoperto che il suo vero nome era Aristide Ferrari: questo misterioso cantore porta quindi il cognome della mia trisnonna. Pertanto è possibile che sia stato suo nonno o il suo prozio. 
Ecco, che Gallinella possa essere il mio quintosavolo (si dice?) un po’ mi inorgoglisce.
Ma proseguiamo.
Le pastorelle, da tradizione, dovevano accompagnare le lunghe notti dei pescatori della mia città fino all’alba, quando poi i primi mercatai aprivano i banchi del pesce nel giorno in cui il pesce era più richiesto. Col tempo le pastorelle hanno reso più dolci le notti di chi era in ospedale, in ospizio, in orfanotrofio. Fino a diventare una vera e propria festa notturna con le musiche cantate casa per casa, sotto le finestre dei propri parenti, che poi a ogni tappa invitavano i cantori a salire e riscaldarsi con dolciumi vari, caffè e cioccolata calda. 
Anche io in passato ne ho fatto parte, oggi non più. 
Oggi mi sembra che la cosa sia diventata una caciara (per dirla in dialetto) infinita e che si sia totalmente perso il senso magico, soave e persino favolistico della pastorella. Tutti si scalmanano come nella peggiore versione della movida metropolitana, urlando e distruggendo il vero significato dell’evento.
Proverò a farvi immaginare cosa significa per me la pastorella.
Immaginatevi di stare al buio, al silenzio, nel buio della vostra camera e di sentire spargersi in modo educato e gentile, lieve, come un piccolo sussurro, due chitarre e una manciata di flauti. Vi imbacuccate, infilate la vestaglia e vi affacciate, assonnati, ma contenti che la notte prima della vigilia, la notte dell’attesa, quell’attesa sia ulteriormente amplificata da un canto che fa compagnia e che nella testa fa nascere pensieri, riflessioni, sogni. Un rituale che ti porta per un po’ altrove, oltre le corse per la spesa e i regali, e che ti regala un momento per te, con te, con i tuoi familiari che abbracci sotto un caldo scialle di lana. Finché sono stata piccola, mi affacciavo alla finestra sotto quello scialle tenuto dall’abbraccio delle mie nonne. Poi da adolescente ricordo di essere stata io sotto la finestra e amavo vedere i miei nonni affacciarsi e salutarmi. 

Ora, con la musica della Tradizionale a fare da sottofondo, mi porto tutto nel cuore. 

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