L'uomo d'acciaio
Titolo originale: Man of Steel - Anno: 2013 - Nazionalità: USA/Gran Bretagna/Canada - Genere: Fantasy/Action/Comic - Regia: Zack Snyder
In Kill Bill vol. II,
Bill espone a Beatrix la sua personale teoria sui supereroi. Ogni
supereroe al mattino non è se stesso: solo coprendosi il volto
diventa Batman o Spiderman. Superman, invece, è unico nel suo
genere:
Superman
non diventa Superman, Superman è nato Superman; quando Superman si
sveglia al mattino è Superman, il suo alter-ego è Clark Kent.
Quella tuta con la grande "S" rossa è la coperta che lo
avvolgeva da bambino quando i Kent lo trovarono, sono quelli i suoi
vestiti; quello che indossa come Kent, gli occhiali, l'abito da
lavoro, quello è il suo costume, è il costume che Superman indossa
per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui Superman ci
vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È debole, non
crede in se stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la
critica di Superman alla razza umana.
L'uomo
d'acciaio è un film unico nel suo genere: unico perché una
sceneggiatura di questo tipo, che narra di un supereroe che si
maschera da uomo, è stata affidata a Zack Snyder. Zack Snyder, si
noti bene, non è un semplice mestierante di Hollywood, è, invece,
un autore a tutto tondo, che da sempre, dagli inizi della sua
carriera, ha proposto, declinato in maniera sempre diversa, lo stesso
tema: la libertà creativa dell'uomo. E questo conduce ad una
poetica ben precisa, che Snyder persegue attraverso un forma
cinematografica compatta, coerente fino allo sfinimento e che lascia
interagire in un continuum maniacalmente controllato regia,
montaggio, fotografia – anche quando la sceneggiatura non è stata
scritta da lui.
In
300, quella libertà creativa si mescolava alla libertà
dell'individuo e di un popolo, cosa che sconfinava in una riflessione
sul racconto storico; in Watchmen viene calcata la mano sullo stesso
punto, libertà vs controllo in un mondo in cui i
controllori sono controllati e la loro libertà, probabilmente, è
solo quella di un racconto – il diario di Rorschach. Anche ne Il
Regno di Ga'Hoole, un piccolo gioiello d'animazione, Snyder si era
confrontato con una storia in cui la lotta dei gufi per la libertà
scaturiva da una leggenda ben articolata che incitava proprio alla
libertà. E come non ricordare, invece, quella libertà tutta mentale
– mai fisica – a cui anela Baby Doll (non per sé, ma per chi è
con lei?) in Sucker Punch (parte1 - parte2 - parte3)?
Ne
L'uomo d'acciaio, Snyder si misura con un tema a lui piuttosto
caro, quindi: lo fa nonostante – e questo si sente – la mano di
Nolan e dello sceneggiatore Goyer. Lo fa dando personalità al suo
Superman, permettendo ad un film su un supereroe di uscire
dall'anonimato e dalla produzione in serie a cui stiamo assistendo da
anni a questa parte tra Marvel e DC Comics.
Insomma:
Snyder crea un nuovo mito. Il suo Superman è il figlio di Leonida e
il fratello minore di Baby Doll. Perché tutti giocano il medesimo
ruolo – e questo uomo d'acciaio non è un supereroe come gli altri.
Innanzitutto,
è un uomo che nasconde la propria natura. È uno che ha dovuto
lottare. Lo dicono sin da subito i suoi genitori naturali: sarà un
Mostro, dice la madre. Oppure un Dio, afferma il padre: destino di
ogni eroe greco, quello di uscire fuori dal cerchio “umano”
stabilito dagli dei, peccare di Hybris, essere additato come bestia o,
in rari casi, assurto a dio (dipende sempre da chi racconta la
storia...). Ed è il destino con cui devono confrontarsi i Kent, i
genitori adottivi del piccolo alieno. Un alieno: è un uomo, in
fondo, ma molto diverso. Ha capacità straordinarie, altre, aliene:
ma non è che un uomo. Clark rappresenta quella parte straordinaria
che tutti noi, uomini “normali”, tentiamo di nascondere ai più,
per vergogna o timore di essere giudicati. Clark è un bambino
problematico. Se si osservassero solo le scene dedicate alla sua
infanzia, ignorando che si tratti di un film su Superman, potremmo
equivocare e pensare che quel bambino che vede e sente in modo
anomalo sia autistico.
Ma
Superman è Superman per un motivo ben preciso, lo dice lui stesso:
una volta sulla terra, sentiva tutto, senza filtri. Vedeva attraverso le cose,
vedeva nella profondità delle cose, le persone come scheletri, gli
oggetti con le loro strutture interne, i suoni come torture
martellanti. Col tempo, Clark ha dovuto affinare i sensi e
concentrarsi con tutte le sue forze su ciò che voleva vedere. Non è
roba da tutti i giorni questa: occorre avere una buona educazione per
saper scegliere nella realtà, per fare una cernita. E occorre avere
un animo sensibile e creativo. Per guardare davvero bisogna essere
creativi. Perché un animo sensibile e speciale, in realtà, è
quell'animo che avverte tutto indistintamente, che dal mondo esterno
percepisce gioia e dolore moltiplicati milioni di volte. Quando
impara a guardare, però, sa guardare meglio: questo è l'animo che
sa creare.
Un
animo, quello di Clark che deve superare prove indicibili. Da bambino, destinato ad
essere diverso, ad essere additato come diverso, a subire soprusi. Da adulto, le sue prove sono
un vero e proprio battesimo della Natura. Snyder ci mostra il Clark
adulto alle prese dapprima col fuoco, poi con l'acqua, la terra,
l'erba, la neve. Alla continua ricerca della propria origine, in una
smania che si traduce in un on the road sofferto, sotto falso nome:
costretto a non poter svelarsi perché il mondo non capirebbe tanta forza in un essere umano solo.
Snyder
cerca la strada più difficile per farsi capire e per narrare
Superman. Perché quello che si aspetterebbe un normale appassionato di supereroi non c'è o c'è per molto poco: scene di distruzioni di
massa, lotte, azioni al cadiopalma, scene mirabolanti e vertiginose,
bacio canonico ci sono, sì. Ma non sono quelle le parti importanti
del film di Snyder. Il vero film e la vera storia narrati dal regista
sono i flashback e la vita di Clark che nasconde se stesso: la storia
di un nascita, la storia di un bambino superuomo in potenza. Nei
flashback, che fanno capolino per tutto l'arco del film, Snyder calca
la mano e ci mette del suo, modificando in maniera evidente il
registro del film. Da una produzione su un supereroe, dalla
fotografia talvolta patinata ad un'opera intima, lavoro indipendente
destinato al Sundance – il racconto di infanzia, adolescenza e
giovinezza di Clark. Una fotografia color carta da zucchero, in cui
la realtà entra prepotentemente nell'arte snyderiana divenendo immagine posata e magniloquente: Snyder osserva quella realtà, la plasma, restituisce a noi spettatori un uomo, un uomo
normalissimo che fa il pescatore col berretto infilato fino alle
orecchie e la barba incolta, un bambino che dondola da solo
sull'altalena, un ragazzo che litiga col padre – l'amatissimo padre
(un Kevin Costner davvero inaspettato!).
Il signor Kent è un
personaggio a cui Snyder dedica grande amore: l'unico che ha saputo
vedere oltre le cose nonostante fosse un semplice terrestre. L'unico
che ha dato una forma alla forza del suo bambino, sacrificandosi per
lui (scena bellissima e maestosa, quella dell'uragano, col gesto
perentorio e nobile di Costner in primo piano). Un padre che ritorna
alla fine, in una scena che rovescia ancora una volta il tipico film
sul supereroe: la vera scena finale del film non è il giubilo della vittoria, è in quel flashback –
Clark bambino gioca col cane e un mantello rosso, osservato con amore
dal padre che già vede e già sa. In queste sequenze venate di
lirismo e commozione, Snyder esprime tutto se stesso, regalandoci la
storia – non di Superman – ma dell'uomo comune che diventa
qualcuno sfidando i propri limiti – come Leonida, che muore
lasciando una traccia, o Baby Doll che si lascia lobotomizzare in
piena libertà mentale. Che sia la storia di un uomo che plasma se
stesso e che dà forza agli altri con il suo esempio è già evidente
dal titolo: non Superman, ma L'uomo d'acciaio. Non L'alieno di
Krypton, ma un essere umano confrontato con uno dei materiali più
comuni sulla Terra. Il che vuol dire che tutti possiamo essere
d'acciaio. E il nome Superman, infatti, Clark non se lo affibbia: non
dice “Io sono Iron Man”. Sono gli altri a dargli il nome. Perché gli altri hanno iniziato a seguire il suo esempio.
Per
questo Clark Kent è la critica di Superman alla razza umana: è come
se dicesse che tutti possiamo essere come lui. Basta spogliarci della
maschera che ci ingabbia e lasciarci andare.
Nel
cinema di Snyder si racconta solo di superuomini: persone sempre
sconfitte sulla carta, ma vittoriose per la storia che hanno saputo
donare agli altri. Leonida muore nel mucchio, in mezzo ai suoi
uomini; non un passo avanti, non uno indietro. È la sua mente a fare
la differenza, a ispirare a Delio il racconto per i posteri.
Rorschach è solo un uomo con una maschera inquietante, un piccolo
brutto uomo: che, però, lascia al mondo un diario. Baby Doll è la
più piccola in manicomio, ma l'unica con una mente tanto grande da
proteggersi, proteggere e salvare. Superman non può mostrarsi –
questa è la sua sconfitta. Deve celarsi dietro gli occhiali. Ma
sentire tutto e affinare i sensi, guardando oltre - in alto, in basso
e lontano - fa la differenza: il volo di Superman è solo una metafora.
E
allora chiediamoci perché proprio Snyder. I difetti nel film ci
sono, ma probabilmente imputabili a quelle regole di genere che il
regista ha dovuto seguire in una produzione come questa. La
sceneggiatura non è sua, ma lui l'ha scelta – o gli è stata
affidata: perché L'uomo d'acciaio è un altro tassello nella sua
poetica, inutile negarlo, solo Snyder poteva esaltare una storia simile.
Perché Snyder non è un mestierante, ma un autore: un autore che
parla di nodi mentali complessi. Un autore che parla più al creativo
che al critico.
Commenti
dal film comunque ho aspettative bassissime, visto che non sopporto i film sui supereroi in generale e odio superman in particolare :)
Superman non piaceva neanche a me. Nel senso... Non amo il personaggio al di fuori di questa versione di Snyder - che pure ha bisogno di qualche aggiustamento, ma ci hanno lavorato in troppi. Chissà cosa avrebbe fatto Snyder se avesse potuto curare anche la sceneggiatura. Forse avrebbe tolto di torno qualche buonismo o patinatura di troppo.
Anzi, secondo me andrebbe lasciato molto di più a briglia sciolta. I suoi metaracconti mi fanno impazzire!
Vien quasi voglia di far leggere a sceneggiatori e regista stesso questa analisi: dubito fortemente fosse davvero tutto cosi' voluto come lo vedi tu. ;)