Broadchurch
Gli inglesi hanno da
insegnare tantissimo a noi italiani. Soprattutto come si fanno le
serie tv: prodotti unici marcati Europa e non USA e che sanno
distinguersi, appassionare, imporsi a livello mondiale. Non ci
sarebbe bisogno di citare tutto quello che è stato fatto negli
ultimi anni nel Regno Unito, ma lo facciamo: dal rinnovato Doctor Who a Life on Mars,
passando per Misfits (almeno le prime stagioni), tre gocce in un mare di qualità televisiva. Serie tv che hanno
soggetti originali e non banali, girati da chi usa la macchina da presa con
coscienza.
È anche il caso di
Broadchurch, una miniserie tv (otto puntate appena) che rispolvera il
classico giallo british in chiave decisamente contemporanea. Se,
infatti, il caso da risolvere non è affrontato con gli stilemi
action, ma con un tono molto classico, alla Sherlock Holmes, fatto di
domande, interrogatori e riflessioni, allo stesso tempo, però, gli
argomenti messi nel calderone sono attualissimi per il Regno Unito dei
nostri giorni e, per esteso, attuali per il mondo di oggi.
Siamo nel Dorset, nella
cittadina di Broadchurch: un piccolo paese adagiato sul mare, un vero
gioiello turistico, luogo in cui abitano una manciata di anime e in
cui il caso più eclatante è possesso di stupefacenti. Una mattina,
il cadavere del piccolo Danny viene ritrovato sulla spiaggia, a
ridosso delle meravigliose e imperturbabili scogliere.
Il caso è seguito da una
detective del posto, Ellie Miller, amica di famiglia della vittima, e
da un nuovo arrivato, Alec Hardy, un investigatore misterioso,
cinico, burbero, di poche parole o di parole incazzate –
interpretato da un sempre più mostruoso David Tennant.
Le indagini si dipanano
lungo le otto puntate, individuando alcuni sospettati e disattendendo
sempre le aspettative (anche se alla settima, un piccolo indizio
viene lanciato). Non si può dire che Broadchurch sia un thriller al
cardiopalma, perché non lo è: la produzione ha puntato tutto su
altro. Quello che emerge di Broadchurch è, semmai, una tensione
dolorosissima, in cui il voler sapere ciò che è avvenuto si mescola
ai sentimenti dei personaggi, sentimenti mai tenuti così vivi in una
serie tv. Questo, forse, è merito della regia, che non punta su
lunghi dialoghi in campo controcampo, ma preferisce concentrarsi su
poche parole – lancinanti – e, soprattutto, su immagini di
commento che bene esprimono gli stati d'animo – immagini, tra
l'altro, supportate da una fotografia grigio-azzurra da urlo e da una
colonna sonora ben ponderata, mai eccessiva.
Il risultato è un'opera
tanto essenziale e minimalista a livello registico, quanto potentemente emotiva
per lo spettatore. Sì, quello che vogliamo sapere è chi è
l'assassino: ma ciò che più colpisce puntata dopo puntata è il
modo in cui i vari personaggi vivono la vicenda. E c'è un minimo
comune denominatore che coinvolge tutti: la maternità e la paternità
negate.
I primi due personaggi
che, ovviamente, vivono la cosa sono Beth e Mark Latimer, i
giovanissimi genitori di Danny. Ma la loro situazione si spande, come
un gioco di riflessi, tra tutti gli altri comprimari. Scopriamo, a
poco a poco, che ogni individuo nasconde un segreto e che quel
segreto è sempre tragico e doloroso. Ogni uomo o donna coinvolti nella
vicenda hanno perso un figlio, hanno un figlio lontano (Hardy in
primis), sono stati traditi o estromessi dal concetto di famiglia.
Il dolore di cui si parla eccede continuamente, perché il piccolo borgo sconvolto da un
inspiegabile omicidio diventa in realtà la metafora per parlare del
nucleo famigliare: quando quel nido protetto cessa di esistere, il mondo sembra rovesciarsi. Eppure, il sacrificio di Danny è
stato quasi necessario, perché solo grazie a lui falsità e bugie
sono venute fuori, sconvolgendo i quotidiani cardini della vita, ma
creandone anche di nuovi, fatti di verità e autenticità e scevri da
certi meccanismi automatici che coinvolgono ogni comunità. La speranza
può risiedere solo laddove c'è amore vero e reciproco.
La storia è trattata con
una lucidità impressionante. Gli elementi a noi noti quotidianamente
ci sono tutti: l'omicidio di un bambino; l'accanimento dei media; la
giustizia privata dei compaesani, tutti contro tutti; la polizia
bistrattata e considerata inadatta a qualunque incarico; le baby mamme; le famiglie prive di dialogo; la violenza
che si consuma tra le mura domestiche.
Così, Broadchurch diventa una serie essenziale, tesa e disturbante. Per fortuna essenziale, diremmo: perché, per l'argomento trattato, una serie dai codici mielosi avrebbe rischiato di diventare come il peggiore dei talk show da primo pomeriggio - che è la prima cosa che la produzione ha evitato e criticato.
Su tutti, però,
campeggia David Tennant, mastodontico, punto in comune tra tutte le
sottotrame, personaggio/attore in grado di convogliare su di sé
ogni linea narrativa. Così, protagonisti sono David Tennant e la
voglia di famiglia, David Tennant e la voglia di paternità, David
Tennant e la violenza, David Tennant e il saper o il non saper
guardare, David Tennant e Ellie Miller, David Tennant e il dolore, il
dolore del paese, il dolore dello spettatore, il dolore di Alec Hardy
che, già da prima di arrivare a Broadchurch, cercava verità,
giustizia, famiglia e paternità.
Siamo in attesa
trepidante della seconda stagione – che, ovviamente, si annuncia
diversissima dalla prima.
Commenti
Comunque, sì, bellissima serie!
Corro a conoscere il tuo spazio ;). A presto e grazie!
Montalbano è l'unica che si salva, la seguo sempre e mi piace da morire. E poi anche l'Ispettore Coliandro era davvero ben fatta, solo che l'hanno interrotta... chissà perché!