In Trance
Titolo originale: Trance - Anno: 2013 - Nazionalità: Regno Unito - Genere: Thriller/Psicologico - Sceneggiatura: John Hodge/Joe Ahearne - Regia: Danny Boyle
Francisco Goya è uno degli artisti più incollocabili della Storia dell'Arte. C'è, qui, già un
ossimoro: come si può incasellare l'Arte? Come si può dare
un'etichetta a qualcosa di così sfuggente che non segue i tempi, le
mode, ma solo l'affannosa ricerca visivo-mentale-intellettuale
dell'artista?
Ebbene, Francisco Goya è
indefinibile. Per l'epoca in cui ha vissuto, lo si potrebbe inserire a
forza nel Romanticismo, ma probabilmente ha una visione più originale e personale dei romantici
veri e propri. Neoclassicismo? Men che mai. Allora, quando ci si
trova in difficoltà nell'affannosa e talvolta improduttiva volontà di
categorizzare, si dice che un artista abbia anticipato i tempi. Goya
era già con un piede nell'Impressionismo e poi nelle Avanguardie
Storiche - espressionista, surrealista, sì.
In realtà, Goya non era
nulla di tutte queste cose. Goya era Goya. Aveva un'idea precisa del
mondo e dell'arte. Semmai, se proprio volessimo attaccare
un'etichetta alle opere di Goya, potremmo usare le parole: modernità,
realismo (per certi versi, non per altri), inquietudine, mente.
Pensando a Goya, infatti,
sovviene subito uno dei suoi capolavori: Il sonno della ragione
genera mostri. Uno per riassumerne tanti: qui, Goya parla
dell'irrazionalità non controllata a dovere, irrazionalità che percorre i suoi dipinti sia nei
racconti più lucidi (come La fucilazione), sia nelle opere in cui il
concetto è reso in maniera astratta. Anche laddove Goya ci mostra
paesaggi ameni o corpi di giovinette e giovinetti, ci conduce in un
mondo imperfetto, che ha perso la classica razionalità dell'arte
greca, di Michelangelo, di Canova. La Maja desnuda, ad esempio, sta
lì a ricordare che il corpo delle donne non è Il Corpo Ideale; esistono tanti corpi fortunatamente imperfetti e non tutti hanno il bacino proporzionato alle spalle
o il seno perfetto. Anzi, Goya instilla il dubbio: forse una modella
nuda davanti al pittore (o, in generale, una ragazza nuda davanti ad
un uomo) arrossisce. Di certo, non mantiene alcuna superiorità divina. La maja desnuda è inquietante per il modo in cui si mostra pur non
essendo perfetta. È, in altre parole, reale. Di una realtà
disturbante, perché ha poco a che vedere col Bello artistico.
Di certo è impossibile
riassumere in poche righe un artista tanto complesso.
L'unico motivo per cui si
cerca di riassumerlo sono Joe Ahearne e Danny Boyle: che rendono Streghe in
Aria di Goya protagonista del loro film.
Difficile scrivere la
trama di In Trance. Diciamo solo questo: Streghe in Aria viene
rocambolescamente rubato sotto le mani di Simon (James
McAvoy), un banditore d'asta. Franck (Vincent Cassel), durante la rapina, colpisce Simon che dimentica tutto, i fatti e dove si trova il
dipinto. Così, si rivolge ad una ipnoterapeuta, Elizabeth (Rosario
Dawson), per cercare di ricordare gli eventi.
Sembra un film lineare,
ma non lo è: è un trip, un viaggio psichedelico e psicotropo come
solo Danny Boyle sa fare. È un'ipnosi, dall'inizio alla fine. La
musica martella come non mai, le inquadrature dai colori elettrici si
confondono tra passato, presente, ricordi, induzioni, pensieri, sogni
e immagini che si credono realtà e a volte non lo sono e immagini
che si pensano sogni ma a volte non lo sono. E anche il genere del film, ad un certo punto, diventa un altro genere: nulla rimane identico nel corso del film, nulla è come sembra.
Insomma, Boyle confonde
le acque, regalando comunque un film chiarissimo: chiarissimo perché
non è razionale, ma tutto mentale. In Trance segue il modo in cui la
mente lavora, pensa, immagina, sovrappone pensieri a ricordi e a
fantasticherie. Lo spettatore si inserisce meravigliosamente in
questo viaggio mentale, provando lo stesso terrore di quando i sogni,
mentre dormiamo, ci sovrastano.
In altri termini, Boyle
fa un film irrazionale nel modo più razionale e coerente possibile.
Cioè ricalca il lavoro di Goya. Che sia proprio Streghe in Aria il
protagonista di questo film non è affatto un caso: perché non
Rembrandt (che pure viene citato), perché non Degas e neppure Van
Gogh? Perché solo Goya è tanto irrazionale quanto razionale, tanto onirico quanto reale, tanto
spietato quanto formalmente composto. Goya si mantiene
proprio a metà, misterioso eppure lucido: sempre con la situazione
in mano, anche quando non sembra. O non avrebbe potuto parlare di
argomenti tanto complessi, né aprire nuovi orizzonti all'arte.
E poi, Streghe in Aria sembra ricalcare la storia di Simon, che è quel che non è, che si trasforma
in continuazione, carnefice-vittima-carnefice e poi di nuovo vittima, divorato dalle sue
proiezioni mentali, come nel dipinto quel corpo in alto è braccato dalle tre
streghe che sembrano (e sottolineo sembrano) la proiezione
dell'individuo sottostante col telo bianco in testa.
Appunto, proiezione:
l'uomo col telo bianco proietta in alto una storia tutta mentale.
Goya aveva forse anticipato anche il cinema? Non lo sappiamo. Anzi,
di sicuro non è così. Ma Goya ha analizzato bene la mente umana,
trasponendola su tela. Semmai, è Boyle a prendere Goya e a farlo
diventare l'emblema della settima arte.
Boyle costruisce un film che
è un continuo schermo nello schermo. Ci sono i dipinti, c'è l'iPad,
lo smartphone - tutti schermi che aprono storie a imbuto. E poi ci
sono le finestre, i vetri dei loft, che hanno la stessa funzione di
schermi e che ci raccontano le storie della mente – vere, false,
ricordate o solo immaginate.
E poi, ovvio, c'è la
voce di Elizabeth: con l'ipnosi e la sua voce suadente, riesce a
indurre immagini e situazioni, come la migliore delle prestigiatrici.
Fa vere e proprie magie, racconta storie in cui il paziente si
identifica e si riconosce e in cui si adagia. Elizabeth è in grado di
far credere vere storie false, di far dimenticare, di far ricordare
ricordi non propri o del tutto fittizi. Quale potere più grande? E
non è lo stesso potere delle immagini cinematografiche? E non è lo
stesso potere – quello ipnotico – che aveva Goya con quei dipinti
nuovi, avulsi da ogni contesto, oscuri, che risucchiavano
morbosamente?: una melma di colori bruciati da cui l'occhio vorrebbe
liberarsi, ma che continua a fissare con avidità, come se in quella
oscurità riconoscesse se stesso.
Commenti
Me lo recupero!
Grazie per le tue parole!