Wednesday, seconda stagione


Ci sono tre scene piuttosto importanti nell’economia del racconto - indicativamente a inizio, a metà e a fine serie - in cui le sequenze vengono accompagnate da tre pezzi musicali storici: il primo è
Nothing else matters dei Metallica; il secondo è Zombie dei Cranberries; e il terzo è Sweet Dreams degli Eurythmics. I tre pezzi sono ri-arrangiati per archi e pianoforte. Mercoledì suona il violoncello, la sua insegnante di musica il pianoforte: la musica parte dai personaggi che suonano i loro strumenti, è diegetica, ma presto diventa extradiegetica e colonna sonora di commento. 


Quello che avviene in musica è sintomo dell’operazione di fondo dietro la seconda stagione di Mercoledì. Di fatto, Tim Burton prende una storia di qualche decennio fa, quella degli Addams, approfondendo la figura di Mercoledì; prende Danny Elfman; prende pezzi musicali che ormai hanno fatto la storia. Rielabora il tutto con un tocco inevitabilmente moderno, dato da attori nuovi sulla scena, giovani e freschi, e dall’uso di stilemi tratti dai teen drama e dagli school drama. E poi: 


  • un pizzico di Edgar Allan Poe, 
  • atmosfere horror quanto basta, 
  • stop motion alla Tim Burton dosato con accuratezza. 


Il tutto per dire che Burton, con questa serie, si dimostra in pieno stato di grazia. Ogni cosa del suo mondo è riconoscibile, eppure ci sono tanti piccoli elementi che rendono il tutto nuovo; ammiccante per la generazione degli anni Ottanta, cresciuta con Burton, e attraente per chi è abituato a visioni più recenti. Il risultato è di grande qualità. Dietro Mercoledì 2 c’è un enorme lavoro di scrittura, di regia, di montaggio, un continuo fondersi e confondersi di racconto e tecnica, con il fine ultimo di trasmettere il messaggio nel modo più giusto e coerente. 


Rispetto a un Edward Scissorhands, capiamo che i reietti, coloro di cui Burton ha sempre narrato le gesta, come se il suo fosse un unico grande film, sono fuori dal mondo ma anche estremamente appetibili, attraenti - degli idoli. Ognuno di loro combatte con il proprio “zombie” interiore, quella parte pericolosa, oscura ma estremamente creativa con cui ogni reietto, ogni diverso, convive; lavora con la propria parte nascosta affinché quell’oscurità diventi un talento; affinché quell’oscurità non sia un imbuto stretto e senza fondo, ma un modo per costruire qualcosa di bello. C’è chi sempre farà leva sull’oscurità augurandosi che porti il peggio o usandola per chiudere la comunità dei “diversi” in modo ancora più ristretto e soffocante. Ma c’è anche chi in quell’oscurità vede un bocciolo che può aprirsi e splendere in tutto il suo fulgore - che sia la capacità di vedere il futuro, di pietrificare le persone, di tramutarsi in un lupo per difendere gli altri o di scatenare elettricità per ridare la vita.


Cosa dire del personaggio forse più accattivante dell’intera serie? Slurp, lo zombie che prende vita da una scarica elettrica, novella creatura del dottor Frankenstein, possiede un cuore meccanico: è probabilmente il primo zombie nella storia del genere che dal cibarsi dei cervelli ricava intelligenza, pelle, buona postura, bellezza. E che si rivela essere il nodo dell’intero, complesso, eppure fluido, impianto narrativo. Slurp che rinasce in Isaac ci pone di fronte a un’inversione degli stilemi di genere. Burton probabilmente non aveva mai trattato questo tipo di mostro nella sua storia cinematografica: e, paradossalmente, lo rende la summa di ogni sua idea sui mostri della letteratura horror occidentale. Lo zombie che si disfa e che disfa i corpi altrui ha qui invece la possibilità di rinascere. Dentro il non-morto, con l’opportuno nutrimento, si cela un vivo dalla bellezza mefistofelica e dall’intelligenza divina, quella che, avendo sfidato i confini della morte, sa creare. Ancora una volta, Burton centra l’obiettivo: il reietto e il diverso si fanno essere umano. E quel piccolo, solo, incompreso Vincent, cortometraggio fondamentale d’inizio carriera, trova conforto e riscatto, come ogni mostro talentuoso e sofferente dovrebbe ottenere. 

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