La bottega dei suicidi
Titolo originale: Le Magasin des suicides - Anno: 2012 - Nazionalità: Francia/Belgio/Canada - Genere: Commedia nera - Regia: Patrice Leconte - Dal romanzo di: Jean Teulé
In un mondo grigio
attanagliato dalla crisi economica, lo stato francese decide di
multare coloro che si suicidano per strada. Ma perché pagare una
multa – che ovviamente si riversa sulla famiglia del suicida –
quando è possibile morire assistiti dalla famiglia Tuvache?
I Tuvache sono
proprietari da generazioni della bottega dei suicidi, un luogo in cui
si vendono i modi più disparati di morire. Non una vera e propria
eutanasia: solo un consiglio su come dipartire, il modo che più si
adatta al cliente. C'è quello che vuole morire in maniera indolore e
quello che lo vuole fare in maniera teatrale – e allora ecco il
signor Tuvache che consiglia un veleno preparato dalla moglie o una
bella katana con tanto di kimono.
Tutto fila liscio finché
i Tuvache non hanno il loro terzo figlio, Alan: un bambino che
sorride sempre e comunque, anche di fronte alle disgrazie e alle
brutture. Alan è l'unico personaggio colorato: genitori e fratelli
hanno grosse occhiaie nere e l'aspetto sempre mesto; vivono in mezzo
a gente che vuole solo morire e che non lascia spazio a nessun tipo
di speranza. Alan, dicendo “arrivederci” ai clienti della bottega
e sorridendo di continuo, rischia di far fallire l'economia florida
dei genitori.
Eppure sarà proprio il
bambino a dare una svolta alla vita e al lavoro dei Tuvache.
La bottega dei suicidi è
un film d'animazione, sì, ma si presenta come l'esempio più tipico
per far capire che animazione e bambini non sono un'uguaglianza. La
scelta dell'animazione è stata semplicemente la più giusta per il
regista, che in questo modo ha potuto dar meglio vita
all'ambientazione cupa e alle atmosfere inquietanti del romanzo. In altre parole, il pregio di questo film sta
nel dimostrare che la tecnica animata è solo una tecnica scelta per
raggiungere la poetica: l'animazione è come un piano sequenza o uno
split screen, non è mai un significato fine a se stesso (“infanzia”
è quello che il pensiero comune dà al disegno, ma è chiaro che non
è così).
Di certo, non può essere
un film per bambini, dato che La bottega dei suicidi inquieta nel
profondo soprattutto gli adulti. Il tema principale è la morte.
Meglio: la morte nella vita, vivere con il pensiero della morte e,
quindi, essere comunque infelici proprio perché esiste la morte.
I coniugi Tuvache reggono
tutta la metafora: sono coloro che, pur sentendo il peso della
morte, continuano a vivere tra mille sofferenze celate dietro un
sorriso di convenienza, di quelli pubblicitari sparati al cliente tra
un consiglio e lo scatto della cassa. I coniugi Tuvache tentano di
insegnare la stessa cosa ai figli: se con i primi due ci riescono,
col terzo è tutto inutile, perché Alan ha capito che un po' di
musica, di amore, di divertimento e di cibo si mette a posto ogni
cosa.
Eppure il film rimane
molto difficile da seguire. I personaggi spesso cantano e le
loro canzoni – tutte lamentose – fanno il verso a un certo Tim
Burton dei primi tempi. Tuttavia, non sempre riescono le parti da
musical, che rallentano notevolmente un ritmo filmico già lentissimo
di suo. Il film non è solo lento: ha un timing improbabile,
difficile da trovare in altri film. Il ritmo sbilenco annulla gli
effetti dei colpi di scena e dei climax: il risultato è un film
dalle emozioni latenti che serpeggiano senza mai esplodere.
Il tema è già di per sé inquietante – una famiglia che vende
morte – in più la mancanza di una costruzione classica della
storia porta lo spettatore in uno stato sospeso, in cui non si ha
nessuna sicurezza, né un appiglio a cui aggrapparsi. L'autore lo fa
anche nel finale, quando sembra tutto risolto e tutto riportato ad un
ragionevole livello di vita: e invece no, ecco che sbuca, anche in
mezzo all'happy ending, un fattore disturbante che conduce il film
ad un finale nero e parecchio macabro. Anche i personaggi sono
costruiti in maniera del tutto indecifrabile, tanto è vero che lo
spettatore non riesce a identificarsi né con il tentativo di humor
nero dei coniugi Tuvache, né con il pessimismo dei primogeniti, né
– e questo è preoccupante – con la felicità indistruttibile del
piccolo Alan.
Un film che non si rivela
un semplice passatempo e che inquieta come pochi altri film: non si lascia mai andare a scene di ampio respiro né porta allo spettatore un minimo di speranza.
Commenti
Condordo con il tuo commento.
"Spiazzante" a tratti ma anche non banale.
Marco