Donne nell'Arte - Jeanne Hébuterne
Quali
siano stati i pensieri di Jeanne, in quel freddo giorno del gennaio
parigino millenovecentoventi, non potremo mai saperlo. Cosa Jeanne
abbia visto, affacciata alla finestra del quinto piano
dell'appartamento dei genitori, non potremo mai immaginarlo. Ventidue
anni da compiere e il secondo figlio da far nascere. Ha il pancione,
Jeanne, affacciata alla finestra, di fronte ad una Parigi in pieno
inverno. Avrà pianto? Avrà affrontato il mondo in preda ad una
lucidità nera? Avrà pensato alla piccola Jeanne, venti mesi appena?
O avrà pensato a lui, solo a lui, a lui che non c'è più – senza
di lui come faccio?
Solo due
giorni prima, Jeanne era straziata. Come una tela graffiata. E dallo
strazio alla lucidità nera, il passo è breve.
Millenovecentodiciassette
- i corridoi dell'Académie Colarossi. Li immagino misurare i passi,
tutti e due, e sfiorarsi appena con lo sguardo. Camminano,
intrecciano gli occhi, il tempo giusto perché la loro storia si
compia. Non sapremo mai se sia andata realmente così, ma un incontro
di sguardi deve essere stato, perché lui lavorava con gli occhi,
guardava e dipingeva e lei, be', lei aveva quegli occhi nati per
essere dipinti. Già lui li vedeva - gli occhi di Jeanne - una colata
nera, densa, penetrante, sotto l'esile e imperante arcata
sopracciliare. Talvolta, due gemme azzurre, gigli schiusi fissi sullo
spettatore. Un gioco di linee e cromie intense, nella tela di Amedeo.
Diciannove anni lei, trentatré lui. Si scatena una di quelle cose
che non puoi lasciar scappare, perché di tempo ne hai perso pure
troppo.
Jeanne Hébuterne, Autoritratto |
È
così che Jeanne diventa la musa di Modì, del suo Modì. La zazzera
scompigliata e la barbetta incolta, il fascino folle e malato di
Montparnasse, i colori terrosi e vividi di Montmartre - questo deve
aver visto Jeanne nei corridoi di Colarossi. E questo deve aver
sentito ogni volta che il pennello di Amedeo scivolava sulla tela e
la ritraeva. Poi, toccava a lei. Jeanne si ritirava, impugnava i
colori e dava contorni alle cose – uno sguardo alla stanza, uno
sguardo ad Amedeo, uno alla Jeanne neonata e il mondo, il
suo mondo, si ricomponeva nella tela.
Un mondo di donne, nella sua tela. Donne colorate, azzurre, ocra,
donne dagli occhi taglienti e osservatori, mai semplici modelle, ma
linee espressive che emergono, trafiggono e lasciano inermi. Questo
il suo mondo, nella tela.
Il mondo.
Fuori della tela.
Amedeo,
giovane italiano cagionevole, bisognoso di climi più caldi e
distesi.
Amedeo, nei
giorni vagabondi alla ricerca del sole - mentre Jeanne scaccia
l'umidità, partorisce, dipinge e posa.
Amedeo,
turbinoso uomo pieno di passione, fosco e irruento come solo l'arte
talvolta sa essere. Trentacinque anni appena, quel giorno. Quando la
meningite lo fulmina e, tra deliri e febbre, allenta la presa e le
lascia la mano. È il 24 gennaio millenovecentoventi. Per Jeanne,
Parigi si svuota. Per Jeanne, i colori si spengono. Per Jeanne, non
esiste amore, maternità, fame, sonno, dolore. Per Jeanne, due giorni
dopo, affacciata al quinto piano, esiste solo il cielo.
Forse, quel
giorno freddo di gennaio, Jeanne deve aver pensato che ci voleva una
semplice spinta.
Lei lo sa.
Senza il pittore, il quadro non esiste.
Lei lo sa,
all'improvviso. Senza la spinta, volare è impossibile.
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