Il primo re
753 a.C. Siamo in un luogo e in un tempo ai confini della storia. Sì, qualcosa c’era sicuramente anche prima. Gli Etruschi, una misteriosa civiltà di cui poco si sa e molto scivola nella magia. Sì, i Greci contemporaneamente avevano già una politica fatta di Arconti e un mucchio di leggende, miti, divinità. Ma forse, sì, forse la storia d’Italia non era ancora iniziata. Non aveva preso il suo sentiero. Quello che avrebbe condotto fino ai giorni nostri, con vicende alterne, fatte di poteri enormi e altrettanto enormi, colossali sconfitte - Roma. La città dei marmi e degli acquedotti, delle strade che sempre e comunque lì portano, del Vaticano, dei barbari e dei sacchi, delle chiese costruite sulle ceneri dei templi, delle linee della metro e dei bus impazziti, delle periferie degradate e del centro “santo e dissoluto”, ecco tutto questo un tempo non esisteva. Un tempo, Roma non era Roma, era un mucchio di fango e palude e boschi, capre e selvaggi alle prese con i riti più antichi e sanguinari che la nostra terra forse ha conosciuto. Non esisteva nulla, se non la legge del più forte, dell’animale feroce che sbrana il più debole, della sopravvivenza a ogni costo. Ma è proprio qui, quando la lotta per la sopravvivenza diventa mera quotidianità, che a quella quotidianità banale e del tutto preda del caos si associa un senso. Il senso di sopravvivere perché si è più forti; perché il potere è dalla parte di chi vince; perché il potere si costruisce lottando contro uomini ma, soprattutto, contro ciò che gli uomini non possono controllare: il destino, il fato, la fortuna, l’invisibile, gli dei. Romolo e Remo, legati tra loro da un legame fraterno inscindibile e sanguigno, si sorreggono e proteggono l’un l’altro. Anzi, è Remo che protegge Romolo; che si fa avanti in un luogo italico oggi conosciuto come Lazio ma che potrebbe essere una qualsiasi giungla sperduta e pericolosissima. È in questo contesto che Remo protegge il fratello e che si fa sempre più cosciente del potere che lo pervade: quello di un semplice uomo che ce la fa, che si fa avanti, che conquista, che si pone a capo, che si prende la briga, da bravo ubristes, di sfidare persino quegli dei neonati, così giovani da essere fragili e in totale balia dell’uomo - l’unico che possa decidere, con il potere, di porre su tutti il giogo capriccioso di divinità che si esprimono attraverso le stelle, il fuoco o il sangue di un agnello sgozzato. È Remo il primo re, colui che effettivamente fonda un modo di pensare universale - non solo romano - ma tipico di quell’animale sociale che è l’uomo. È Remo che dà il la alle conquiste, al potere soggiogante, alla tracotanza dei potenti che, senza il loro violentissimo ardire, non avrebbero conquistato un centimetro di terra. È sempre Remo che infila sottile un altro sentimento tipico dell’uomo - la guerra fratricida. Ogni guerra, che sia quella punica o quella dei trent’anni o la Grande Guerra, ogni guerra è fratricida: forse che non ci si uccide tra esseri di una stessa specie? Tra esseri che, risalendo alle origini, discendono dallo stesso padre e dalla stessa madre (religiosi? biologici? genetici? mettete un po’ l’aggettivo che volete). Romolo e Remo non sono forse la più grande metafora dell’umanità? Due gemelli allattati da una lupa, figli di una vestale e di un dio: un quadretto che non fa altro che rimarcare l’inscindibilità di umano-animale-divino, quella triade i cui confini erano fondamentali per i greci. Due gemelli che lottano fra loro, uno uccide l’altro e da quel sangue fraterno nasce la più grande e duratura civiltà che l’umanità abbia visto. L’uomo è sì umano, animale e divino, ma questa triade si alterna nello stesso essere attraverso guerre, conquiste, sopraffazioni, condizionamenti culturali ed economici.
Tutto ciò - e molto di più - trova la sua forma più compiuta nel film di Matteo Rovere, Il primo re. Scordatevi un peplum impostato in stile anni Cinquanta e Sessanta e scordatevi un peplum ipertecnologico, unto, muscolare e così simile ai videogiochi o ai supereroi a fumetti che abbiamo visto negli ultimi tempi. Rovere fa un’operazione molto più accurata e intelligente. Riporta Roma al suo grado zero, quando ancora non era Roma, attraverso una messa in scena realistica, grezza, profondamente materica. Il fango, il sangue, i muscoli, il sudore, le ferite, il trucco, gli aruspici, gli animali, il fiume feroce, i nemici, le caverne, le palafitte, i piedi nudi, le mani spezzate, le lance, le spade, è tutto sinceramente, puramente primitivo, così come quella lingua, un po’ latino, un po’ grugnito, che gli attori interpretano biascicando, come dei veri uomini primordiali, senza alcun intento declamatorio. La storia così come la conosciamo e la ricordiamo meglio è nata solo dopo l’uccisione di Remo, il vero primo re, un primo re primordiale e primigenio, una sorta di big bang che, esploso, ha dato vita a Romolo e alla civiltà romana nella sua natura leggendaria, da annali ufficiali.
Come Remo è ciò che viene prima di tutto, così il film di Rovere, a mio modestissimo avviso, deve essere il primo di un nuovo modo di vedere il film storico, specialmente per la nostra cinematografia, la quale, forse mi ripeto, con le nuove leve - non ci scordiamo che Rovere ha girato quel gran film di Veloce come il vento - ha davvero la possibilità di creare una nouvelle vague destinata a grandi, imperiture cose.
Commenti
Sarebbe bello affrontare con lo stesso viscerale vigore il mondo latino delle origini!
Mondo, tra l’altro così poco bazzicato al cinema (come molti altri dell’immensa storia di Roma, tra l’altro).
Ecco, direi che Matteo Rovere m’ha proprio accontentato.
Partendo certo dal gioiellino di Refn ma distaccandosene in maniera propositiva, lontano dalla mera riproposizione di uno schema.
Di Rovere avevo già visto Veloce come il vento e dopo Il primo re, proprio uscendo dal cinema, ho avuto un altro pensiero che spero di vedere realizzato come sopra: che questo film possa ardere come bragia d’una brulicante vampa cinematografica italiana.
I miei migliori saluti
Tristam Strauss
Parte delle nuove leve del nostrano cinema che possono farci ben sperare in un’ondata futura di tutto rispetto!