Baby Boss
Non parlerò di Baby Boss per il solito gusto di ammorbarvi con la storia della maternità e bla bla bla, né perché lo ho visto solo un centinaio di volte a settimana da un mese a questa parte.
Vi parlerò di Baby Boss perché è un film d’animazione ben costruito, solido, quasi ferreo nei meccanismi e, soprattutto, pieno di citazioni di film, soprattutto di quelli usciti negli anni Novanta.
Nonostante la fattura del film sia contemporaneissima e ipertecnologica, ad un’attenta visione (del resto, dopo diecimila proiezioni casalinghe, altro che attenta!) ci si rende perfettamente conto che la storia è ambientata proprio agli inizi degli anni Novanta. Biciclette, giochi, carrellate su complementi tecnologici composti da televisoroni con manopole, mangianastri, giradischi, musicassette ci parlano di un’epoca ormai lontana. Evidentemente è l’epoca dell’infanzia del protagonista, che con un lungo flashback racconta la sua storia di bimbo alle prese con l’arrivo del fratellino. L’arrivo del fratellino, una vera e propria minaccia, è uno shock per Tim. Il quale mescola l’universo dei film della sua infanzia alla fervida immaginazione che lo pervade. Il film, in fondo, è tutta una metafora: il bebè non parla veramente, non è un boss in incognito venuto per sconfiggere la Puppy Co. che ha intenzione di sostituire i bambini con i cuccioli di cane. Tutto il film è solo il modo traumatico con cui il primogenito ha vissuto il colpo di stato del nuovo arrivato; il modo con cui questa metafora viene dispiegata è a dir poco geniale. Come già detto, Tim mescola la sua immaginazione a varie suggestioni culturali evidentemente tratte da film: ed ecco allora che il fratellino parla come il bebè fumatore incallito di Roger Rabbit; l’abito del piccolo Boss è un richiamo ai Blues Brothers (ma anche a Men in Black); il Signor Signora Uomo che fa da tata assassina ai due bambini ricorda un po’ un’inquietante Mary Poppins, un po’ Mrs Doubtfire e moltissimo la sequenza dei ladri in casa di Mamma ho perso l’aereo, film del quale si sono presi in prestito diversi momenti (uno fra tutti, quello in cui Tim mette il dopobarba del papà e urla per il bruciore). A ogni visione mi diverto a riconoscere qualche film di quel mitico periodo che ci ha regalato una cinematografia forse per molti commerciale ma che ha contribuito a formare l’immaginario di noi ultra trentenni di oggi. Forse il film è più diretto agli adulti che ai bambini: perché un film d’animazione non è mai solo un film per bambini, è semplicemente un film che ha usato forme e linguaggi di altra natura rispetto alla realtà filmata registrata.
E, in più, un consiglio: guardate e riguardate più che potete lo stesso film, se vi è piaciuto. Nel rivedere si prova il sottilissimo e conturbante piacere della ripetizione di tutti gli step, del climax e, oltre ad allenare all’attenzione, allena alla visione, allo sguardo, alle emozioni.
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