#daicheègiovedì: esercizi per amare tutti i giorni della settimana
#daicheègiovedì.
Odio gli hashtag e li trovo francamente inutili.
Ma, per rendere leggermente più ironico il concetto, ho deciso
di usare il famigerato cancelletto - che è sempre esistito, anche nei telefoni
a gettone e con la ruota, ma non si è mai capito a cosa servisse. Evidentemente
stava lì in attesa dei futuristici tempi dei social, in cui avrebbe fatto da
catalogatore per evitare di perdere e disperdere troppi elementi nel mare magnum del web.
Il #daiche è un concetto che mi porto dietro da secoli, forse da
che ho memoria.
È il placebo più grande che un essere umano possa utilizzare.
Un enorme inganno. Il più grande autoinganno. Ma serve come il pane.
Dai che mi mancano solo dieci esami e poi do la tesi.
Dai che mi riposo dieci minuti e mangio - il tempo del tg - e
poi ritorno a studiare.
Dai che mancano solo tre chilometri - a piedi - e sono arrivata.
Dai che è venerdì e il weekend è dietro l’angolo.
Tuttavia, nel mio post precedente ho espressamente affermato che
non è possibile vivere solo in attesa del weekend e che non si può ridurre la
vita vera a due soli giorni alla settimana (e, tra l’altro, di domenica mattina
già ci si deprime al pensiero che il giorno dopo è lunedì; talvolta, anzi, ci
si deprime già di sabato sera, al
pensiero che si sta vivendo l’ultima serata libera prima dell’ultimo giorno
libero, nel quale è insito il pensiero della finitudine di ogni progettualità
da tempo libero).
Tuttavia, anziché anticipare la tristezza per il tempo libero
che sta per finire, dovremmo anticipare la felicità per il tempo che sta
arrivando, seminandola nei campi sterminati delle giornate assolutamente normali.
E quindi: dai che è giovedì.
Dai che è venerdì è un pensiero sin troppo semplice: tutti sono
contenti di vivere l’ultimo giorno di lavoro prima del weekend e, anzi, il
venerdì diventa forse più importante del sabato.
Lo stesso spirito del venerdì dovremmo anticiparlo già al
giovedì (e poi al mercoledi e al martedì e addirittura al lunedì, nella pazza
utopia di goderci tutta la settimana).
Il primo pensiero è proprio quello di pensare che il giovedì è
il giorno che anticipa il venerdì, ossia quel giorno che si configura come la
fine dei giorni lavorativi: giovedì come il vero ultimo giorno prima
dell’ultimo giorno di lavoro.
Sembro pazza, ma bisognerebbe cambiare proprio il punto di vista
sui giorni della settimana - che sono solo una scansione tutta umana del
tempo. Nel momento in cui ci rivolgiamo
a una tale ottica, bisognerebbe aggiungere un altro tassello e cioè quello di
programmare proprio per il giovedì qualcosa che ci piace particolarmente. Può
essere un film al cinema, una sessione di shopping, una lettura particolare,
una cena tra parenti (sì, anche in mezzo alla settimana). Può essere, ad
esempio, un particolare tipo di cibo da cucinare, magari da abbinare alla
propria trasmissione televisiva preferita.
Suonerò sì pazza, ma ancora più ripetitiva: questo pensiero ha
preso strada dentro di me dopo la maternità, che ha azzerato sia
psicologicamente che socialmente ogni suddivisione condivisa e accettata del
tempo; e ancora di più dopo il rientro al lavoro con il bagaglio della
maternità e dell’allattamento prolungato.
Innanzitutto, con mia somma sorpresa, mi sono ritrovata al
lavoro con uno spirito piuttosto propositivo: ero convinta di rientrare tanto
perché era obbligatorio, di non avere alcun interesse (perché tutti i miei
interessi sono rivolti alla mia famiglia) e invece mi sono sentita motivata e in parte anche eccitata. I sensi di colpa per aver lasciato a casa la peste ci
sono e suppongo ci saranno sempre, sono istintivi e dubito potranno sparire.
Ma il tempo in famiglia, il tempo per me, per noi, ora, diventa
più prezioso e non può essere ridotto al solo countdown verso il weekend.
Perché, appena torno a casa, il senso stretto della parola casa
mi si staglia davanti vivo e vivido. Quel tempo che ho per me diventa il tempo
in cui acuire i sensi per vivere appieno i pranzi e le cene in famiglia, i
cambi pannolino, i giochi con la peste. Quando mio marito rincasa mi sembra che
stia arrivando qualcuno per una festa che ho organizzato nel corso del
pomeriggio; la cena da preparare diventa un menu da immaginare con dovizia di
particolari succulenti; la doccia e il bagnetto sono un gioco che vorrei non
finisse mai. E il dai che è giovedì si trasforma in un evviva anche questo
giorno - e vorrei poter manipolare il tempo per fermare le lancette.
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