La tonta
Me lo ha detto un giorno mio marito, candidamente: per essere una notoriamente tonta, hai una vita normale!
E gli sono grata per queste parole.
Non intendeva offendermi, intendeva dire che ce l’ho fatta.
Tonta in questo caso significa un sacco di cose. Una persona un po’ ingenua, a tratti esageratamente pura, sicuramente impacciata per un eccesso di riflessività e per questo tonta agli occhi degli altri.
Insomma.
Alle medie ero la ragazzina con l’apparecchio ai denti e sin troppo studiosa.
Alle superiori ero quella sin troppo studiosa e che Accidenti non mi rompete le scatole voglio stare a guardare film e sentire musica tutto il pomeriggio. Ero quella Ma ‘sta ragazzina a tredici anni legge Jacopo Ortis? Ma non le viene la depressione?
[E non vi ho detto che a sedici ho letto Delitto e Castigo, facendone la mia personalissima Bibbia e, soprattutto, realizzando nella mia testa l’adattamento cinematografico, con tanto di inquadrature, montaggio, fisionomia precisissima degli attori - che non esistevano - e colonna sonora incalzante].
Credo che molti temessero che potessi far la fine di Leopardi, gobba e chiusa in uno studio a decifrare codici miniati e a riuscire a tradurre l’etrusco.
Nessuno forse sa e pochissimi capiranno che la mia mania per le letture sette/ottocentesche all’epoca della mia adolescenza era dominata da una certezza lampante che si tramutava in fascino: anche due, tre, mille secoli fa le persone vivevano le nostre stesse emozioni, si facevano bevute, soffrivano e gioivano per amore, avevano passioni, vivevano la preoccupazione per l’acqua che mancava in casa. E tutt’oggi, immaginare Raffaello che amava molte donne o Caravaggio che barava alle carte o Leopardi che trangugiava dolci, be’ non fa che avvicinarmi ancora di più le loro opere altissime. Agli occhi dei più, la gente finita nei libri di storia o letteratura era sfigata e da sfigati era occuparsene: e invece loro erano i miei personali miti perché non solo si occupavano di trovare il senso della vita conducendone una normale, ma mi dimostravano che la vita era molto più di quello che intendeva la gente che mi dava della sfigata, e cioè molto più che bivaccare in un angolo della mia cittadella di provincia con una sigaretta in mano e senza casco su un motorino. E ancora: sono innumerevoli anche i personaggi storici che hanno vissuto vite esageratissime e sopra le righe, ma si sono comunque impegnati per lasciare qualcosa di eterno e imprescindibile, studiando e applicandosi.
Andando avanti nella mia storia, agli occhi degli altri devo essere stata quella che faceva le cose che fanno più o meno tutti, ma che le faceva molto male: probabilmente ero solo quella inspiegabilmente impacciata ogni volta che doveva parlare con qualcuno, che aveva un blocco ad entrare in un bar e ordinare un caffè, che ci metteva ore e ore a ripassare il discorso che avrebbe dovuto tenere durante una telefonata, anche solo per augurare buon compleanno a qualcuno. Magari, se per alcuni ero solo impacciata, per altri ero una che stava sulle sue, poco emotiva e empatica.
Ero quella che entrava in stato catatonico-apatico ogni volta che c’era da affrontare una serata un po’ più movimentata. O che entrava in (patologica) ansia da prestazione a ogni esame universitario.
Una di quelle ragazzine e ragazze estremamente timide - e quante ce ne sono in giro per il mondo!
Non ero niente di speciale.
E non sono niente di speciale.
Appunto: sono una di quelle che viste dagli occhi di coloro a cui non va di approfondire troppo la conoscenza sembrano delle tontolone. Delle allocche. Delle amebe. E quante me ne sono sentite dire, in trentacinque anni.
Per esempio, l’università. Mi sono iscritta - senza sapere bene cosa volessi fare nella vita - alle Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo. Sì, il cosiddetto DAMS. Quello per cui diventi, agli occhi del mondo, un nullafacente (senza sapere che ho studiato di tutto, dalla Storia all’Economia).
Ma è anche quel corso di Laurea per cui tutti ti guardano di sbieco se non sei iscritto a Bologna. E perché non a Bologna - mi disse qualcuno - perché non te ne vai e non esci da casa? - mi disse sempre quel qualcuno che nella vita non è uscito nemmeno dal proprio quartiere.
E quindi, ecco che si rafforzava agli occhi altrui il mio essere un po’ apatica. Magari una che si impegnava poco a uscire e conquistare il mondo.
Per molti aspetti sono tuttora così. Ossia: continuo a ripassarmi a memoria i discorsi da fare al telefono. Ad avere inspiegabili blocchi ad entrare in un bar e ordinare un caffè. Serate sin troppo movimentate mi gettano in uno stato catatonico-apatico e spesso devo essere letteralmente trascinata nelle situazioni. E probabilmente il compagnetto o la compagnetta delle medie, ricordandomi con l’apparecchio ai denti e questa assurda voglia di leggere libri e, pur con ansia da prestazione, portare a casa voti importanti, penserà che oggi mi sto crogiolando in una vita da ameba, (non) facendo chissà cosa. Magari gobba come Leopardi.
E invece ho una vita normale.
Ho una vita normale perché sono, in fondo, disperatamente testarda.
Il punto è che sono testarda per le cose che mi interessano e che per me hanno valore.
La gente forse non sa che la tonta che sono ha una casetta, un marito e una peste. Ha organizzato un matrimonio senza l’aiuto di nessuno, se non quello preziosissimo della sua metà, ed è entrata in sala parto - udite udite - non con il terrore del travaglio, ma con la curiosità di sapere cosa sarebbe accaduto. E, donne, sicuramente è meglio affrontare il parto con un’insana naïveté che con la paura. Ha partecipato a uno dei corsi abilitanti piu faticosi e atroci che lo Stato italiano abbia mai ideato, roba in stile Full Metal Jacket, con una naïveté talmente naïveté da risultare fuori luogo. Si è laureata e prima ancora diplomata, decidendo di partecipare, appena dieci giorni prima della prova scritta di maturità e con tutta quella roba che c’era da studiare, a un concerto fiume di quel che rimaneva dei Pink Floyd.
La tonta fa stranamente il lavoro che voleva fare, anche se è un lavoro che le produce una mole enorme di ansia e spesso le porta via la salute. La tonta, in alcune mattine di aria fredda e cristallina, iniziate con il buongiorno giusto, potrebbe addirittura sentire di aver trovato un posto nel mondo. Molto più spesso sente che un posto nel mondo, per lei, fatta così, non esiste e tuttavia è contenta di questo, perché sa che così può guardare le cose da tutti i punti di vista possibili e con libertà estrema.
E oggi la tonta non ha solo la fissazione per i libri. Le fissazioni sono aumentate a dismisura: conosce a memoria le battute di troppi film. Non perde una gara delle Olimpiadi e Paraolimpiadi. Ha il pallino per la preparazione dei lievitati e ogni tanto decide di prepararne uno, dicendosi Perché non ce la posso fare a realizzare un lievitato in una cucina di quattro metri? E a volte la naïveté paga - altre volte, invece, porta solo a sfornare grandi schifezze. Ma l’importante è averci provato, no? Ha la fissazione per gli outfit da spulciare negli store online di grandi e piccole marche e pensa che un giorno avrà una cabina armadio talmente grande da contenerli tutti: o forse rimarrà con le tre maglie a cui è affezionatissima, perché la comodità è la prima cosa che ci fa stare bene e che apre le porte a ogni altra azione.
Non voglio incensarmi, perché le cose che ho fatto sono assolutamente normali. Voglio solo dire che nella normalità (nella mia normalità) si nascondono le vere sfide. Da fuori, la ragazzina con l’apparecchio non stimolava l’apprezzamento di nessuno, perché la gente si basa su parametri del tutto inadeguati per giudicare chi non conosce: non ti trucchi, sei spettinata, sei impacciata quando parli, non ti vedo mai in giro nei posti in cui vanno tutti, ergo: non sei una persona interessante. E a chi non ti considera se non fai cose arditissime ed esagerate, a chi ti dice ma come? sei ancora qui, non sei partita e bla bla bla, rispondo che i viaggi più belli sono quelli che mi faccio nella mia testa o sfornando un croissant realizzato da me per la mia famiglia.
Scrivo queste cose un po’ per farmi un regalo, sì, proprio oggi. E un po’ per dare fiducia a qualcuno che si sente dare del tontolone e che sta passando da queste parti.
Anzi.
Sapete che vi dico? Che, in fondo, essere tonta mi piace. Io sono così! Quello che faccio è perché sono così! E lo rivendico, io, questo meraviglioso diritto di essere fieramente tonta.
Adoro non avere le risposte pronte e non credo di perdermi qualcosa della vita se odio fare aperativi in luminosissimi lounge bar in centro con tanto di piastrella hipster e qualche sconosciuta musica d’atmosfera in sottofondo. Sono strafelice di non sapere usare in maniera socialmente accettabile il telefono. Mi piace non sapere dare risposte a tutto, non sapere prendere subito decisioni e dovermi ricaricare mezza giornata, dopo una chiacchierata di cinque minuti con un conoscente.
Perché sono così: e questa mia corazza forse a volte tradisce il mio piccolo, prezioso, segreto universo.
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Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818
Commenti
Saluti cordiali da una tonta più stagionata!