Las brujas de Zugarramurdi - Festival Internazionale del Film di Roma
Gesù Cristo, un Soldatino verde, Spongebob, Minnie, un vestito appeso ad una gruccia e un bimbo di dieci anni rapinano un compro-oro: il bottino è una sacca piena di fedi nuziali che, oltre il materiale prezioso, portano promesse infrante, menzogne e tradimenti.
La fuga è rocambolesca, Spongebob muore sotto colpi di mitraglia, Minnie e il vestito vengono arrestati. Gesù, il Soldato e il bambino prendono in ostaggio un tassista e fuggono verso la Francia. In macchina, vengono giù le maschere: Gesù ha deciso di rapinare il compro-oro per pagare gli alimenti alla moglie e poter tenere con sé il figlio. Il soldato ha paura di dire alla sua donna avvocato che è disoccupato. Il tassista, tre figli con donne diverse, si associa ai lamenti maschilisti e decide di diventare complice della rapina e della fuga: solo per fuggire da quelle streghe delle donne.
Ma i tre uomini e il bambino non sanno che le vere streghe sono già sul loro cammino. Per entrare in Francia, infatti, i fuggitivi devono passare attraverso Zugarramurdi, un paesino che ha assistito, in passato, a diversi sabba e che ha visto ardere molte streghe.
Ed ecco che la rapina tarantiniana - ma molto più surreale - diventa una commedia-horror infarcita di maschilismo e femminismo estremi, se non malati. Perché per de la Iglesia, narrare una storia tanto folle significa analizzare in maniera cinica il rapporto maschio-femmina dalle origini del mondo ai nostri giorni.
Già dai titoli di testa si comprende l'idea del regista - ironica verso il mondo femminile, ma anche verso quello maschile - secondo cui il mondo, da sempre, è dominato dalle donne e basato su una società matriarcale. Dalle Veneri Paleolitiche fino ad Angela Merkel, l'umanità ha potuto vantare donne fatali, streghe, ammaliatrici ma anche grandi artiste e filosofe. L'uomo non si è di certo lasciato sacrificare sull'altare del femmineo: e, per secoli, ha inventato assurdità di ogni tipo pur di relegare la donna a livelli inferiori. Per de la Iglesia, tale atteggiamento, è solo dettato dalla paura: l'uomo teme la donna, teme le reazioni della propria compagna per come si comporta coi figli o con gli amici, per come lava i piatti o lascia i calzini in giro per casa. Le donne non vengono da Adamo, ma da Madre Natura, sono nate prima, sono il fondamento dell'intera esistenza. Gli uomini di de la Iglesia sono sciocchi, estremizzazione di un certo modo istintivo di fare e pensare maschili; le sue donne sono esageratamente puntigliose, emotive, non lasciano nulla al caso, tessono la loro tela e dirigono in maniera ferma tutto ciò che hanno intorno - e possono farlo con la razionalità più audace o la pazzia più distruttiva. Le donne sono demoni e angeli, gli uomini cadono facilmente nel loro tranello. Ma anche le donne diventano facili vittime: basta una frase smielata detta in un momento di lotta, basta un bacio e anche le donne si addolciscono. Insomma: psicologia a volte spicciola, ma resa paradossale per riflettere su se stessi e strappare la risata. L'idea finale di de la Iglesia è che l'amore riequilibra le parti: quando sono innamorati, l'uomo e la donna, rispettivamente, reprimono il maschile e il femminile che è in loro. Questo porta alla felicità: ma, a volte, la felicità stanca e l'istinto primordiale, quello che conduce uomo e donna alla lotta, riemerge.
Il difetto tematico del film sta nell'aver reso tutto troppo bianco e troppo nero, ma, in fondo, è proprio sullo stereotipo - anche un po' cattivo - che si ride. Tuttavia, il regista ci lascia con un'immagine amara e forse non subito visibile: quella del bimbo che, in un numero di magia, taglia a metà la compagnetta e poi la ricompone, di fronte ad una platea divertita. Il bimbo sorride cinico, la bambina, sanguinante e ricomposta, se ne va barcollando - che sia metafora di quanto in realtà avviene, di una donna presa, tagliata, ferita, ricucita a immagine e somiglianza dell'uomo, per il puro piacere maschile, di fronte ad una comunità che non si accorge di tanta efferata violenza?
Tecnicamente il film procede a ritmi incalzanti davvero travolgenti, anche se, giunto alla scena del sabba, de la Iglesia allunga di troppo i tempi, esagerando oltremodo e rendendo a tratti stucchevole quella sua tipica cifra stilistica del paradosso che, laddove ben controllata, è divertente e vincente.
Commenti