Kuroko no Basket
Anno: 2012 - Nazionalità: Giappone - Genere: Sportivo/Scolastico - Episodi: 25 (prima stagione)/1-in corso (seconda stagione) - Tratto dal manga di: Tadatoshi Fujimaki - Sceneggiatura: Noburo Takagi - Regia: Shunsuke Tada
C'erano una volta gli
anime sportivi. Intendiamoci: ci sono ancora. Ma hanno subito un
radicale mutamento. Le basi sono sempre quelle: gli anime sportivi
sono monotematici fino alla mania, si pensa solo a vincere, i
protagonisti non mangiano, non dormono, hanno relazioni sociali
limitate al terreno di gioco e non fanno che giocare – anche di
notte, anche in pausa pranzo. Per vincere, vincere e ancora
vincere. A volte, ovvio, perdono. Ma quando perdono vincono lo
stesso, dato che riescono a intavolare per ore discussioni
filosofiche sullo sport e sul significato della vittoria. Gli
avversari sono "nemici" di una battaglia all'ultimo sangue,
ma non nemici da disprezzare o sbeffeggiare: semmai sono nemici degni
di rispetto e onore. E sono sempre avversari incredibilmente forti - in confronto il protagonista è uno sfigato qualsiasi, nonostante
abbia a disposizione armi apocalittiche. Gli anime sportivi sono,
quindi, sempre romanzi di formazione - certo, estremamente
inflessibili, alle volte - ma che comunque usano lo sport per
raccontare la crescita fisica, emotiva e psicologica
dell'adolescente.
Come detto, queste sono
le basi: possono essere più o meno marcate, ma ci sono sempre, o non
sarebbe una produzione giapponese sullo sport. Poi, ci sono le cose
che, negli ultimi venti o venticinque anni, sono cambiate. Chi è
stato bimbo tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta
ricorderà bene che gli anime sportivi hanno temprato la pazienza e
la sopportazione di lunghi, lunghissimi pomeriggi passati a veder
terminare un campo da calcio o a veder finire la traiettoria di una
palla che da tonda era diventata ovale e poi simile ad uno straccio
bagnato, prima di andarsi a schiantare e bucare una rete o scalfire
il pavimento. E ci chiedevamo se la rete da calcio sarebbe mai
tornata giù dopo essere stata colpita dal pallone e se Yu Hazuki (al secolo Mila) sarebbe mai atterrata, dopo aver battuto a centinaia di metri di
altezza. Aspettavamo giorni per vedere un goal e mesi per vedere
terminare una partita, consapevoli del fatto che la successiva sarebbe stata
identica.
Certe lungaggini erano e
sono proprie anche di altri generi, ma sullo sport si avvertono
indubbiamente di più. Non passa inosservata una partita di calcio in
grado di durare svariate ore, ecco.
Oggi, le cose non
appaiono così estreme come una volta. O, meglio: l'estremizzazione
si è spostata da un ambito all'altro. Gli ultimi anime sportivi
visti confermano proprio questo: pochi episodi per una sola stagione,
gare e partite visibilmente accorciate, personaggi sempre più fuori
dagli schemi, sempre più simili a supereroi.
Il primo che porto ad
esempio è Kuroko no Basket (Il basket di Kuroko). Ennesima
produzione sul basket - probabilmente lo Slam Dunk di Takehiko Inoue
rimane il punto fisso nella storia delle immagini a fumetti - si sa
difendere molto bene e conferma proprio quanto detto sinora:
personaggi sopra le righe e una sintesi non indifferente anche nei
punti nevralgici della storia.
Tetsuya Kuroko arriva al
liceo Seirin dopo un passato brillante alla scuola media Teikou. Era
il sesto uomo di quella che era stata definita la Generazione dei
Miracoli: cinque ragazzi dalle capacità di gioco estreme e
oltreumane. Finite le medie, il quintetto base si sparpaglia tra
le scuole con le squadre di basket più prestigiose. Kuroko, invece,
decide di iscrivesi in una scuola con una squadra appena formata e
che ancora non ha mostrato le sue vere possibilità. Il punto è:
Kuroko non sa fare nulla. Non sa tirare a canestro e non palleggia, è
alto centosessantotto centimetri e ha il peso di una ragazzina, non è
muscoloso, né riesce trasportare pesi. L'unica cosa in cui è
specializzato sono i passaggi. È così bravo e veloce a passare che
nessuno lo vede: in campo, nessuno si accorge di lui tanto da essere
soprannominato l'uomo invisibile. In realtà, Kuroko usa la tecnica del misdirection. Distoglie l'attenzione da sé per
potersi muovere in campo come preferisce. Eppure, questa è una
tecnica piena di falle: più Kuroko è in campo, più gli avversari
si accorgono di lui, meno effetto hanno i suoi passaggi. La trovata geniale dell'autore è questa: Kuroko non è invisibile solo in campo, ma anche nella vita oltre il parquet di gioco. Nessuno lo conosce o riconosce, nessuno lo vede quando cammina, nessuno si accorge di lui nei corridoi, in classe, in fila alla mensa. Kuroko è invisibile sempre: solo quei pochi - pochissimi - che lo conoscono da vicino sanno apprezzarlo davvero. In altre parole, (quasi) per la prima volta, una storia sportiva non si concentra sull'atleta forte e spaccone di turno, sul campione in grado di fare piroette e pirotecnie inimmaginabili, ma su un ragazzino normale, che forse mai vedrà le luci della ribalta, ma cui la vita così, da "fantasma", lo accontenta. Perché l'importante è divertirsi con i compagni di squadra, non vivere per una vittoria che forse mai arriverà. Ma, se arriverà, avrà un sapore più dolce e sincero.
Kuroko, a
scuola, conosce Kagami, un armadio dall'elevazione spaventosa; Kagami è in
grado solo di schiacciare e alla lunga risulta prevedibile.
Kuroko decide di essere l'ombra e Kagami la luce: più la luce è
splendente, più l'ombra è oscura.
In venticinque episodi
appena, ci vengono mostrati ingresso in squadra delle due matricole,
partite di allenamento e ben due fasi del campionato. In mezzo,
siparietti divertenti - quasi sempre legati al cibo - campus
scolastici d'allenamento, flashback sintetici ed efficaci. Ad
esempio, una delle partite più importanti ci viene mostrata per
esteso solo a metà: per il resto è stata sviluppata con una serie
di fotogrammi fissi della durata di pochi secondi. Le due partite
successive sono state narrate da una voice over e da poche altre
immagini.
Come dicevamo,
l'esagerazione sta altrove. Esagerazione comunque non nuova nello
sport, dato che, ad esempio, già Eyeshield 21 aveva lavorato sul
paradosso in maniera non indifferente. E il paradosso sta appunto
nella caratterizzazione dei personaggi. Kuroko è un ragazzino
invisibile e inespressivo, invisibile e inespressivo anche quando per
giocare si trasforma in belva risoluta: non sa fare nulla, solo
passaggi, è l'Uomo Invisibile. Kise, un suo ex compagno di squadra,
è l'Imitatore: è bravo solo a imitare giocate altrui. Un altro ex
collega, nonché ex migliore amico di Kuroko, Aomine, è il genio del
basket solo e annoiato, tanto che salta gli allenamenti e inizia le
partite a metà: non trova un avversario in grado di farlo divertire.
Midorima, un ansioso ossessivo-compulsivo, pieno di amuleti e
dipendente dall'oroscopo, sa fare tiri da tre da canestro a canestro. Anche i giocatori del Seirin, pur non paragonabili alla Generazione dei Miracoli, hanno specialità da eroi: Kagami salta e schiaccia; Hyuga sa fare solo tiri da tre nei momenti di maggior pressione;
Mitobe è muto ed esperto nei ganci; Izuki, invece, ha una vista d'aquila e sa veder anche nei coni d'ombra, anticipando le mosse degli
avversari. Nonostante questo, la squadra di Kuroko è ancora debole:
e lo è perché non si affida all'uno ma al tutti. Il tema principale
di Kuroko no Basket, infatti, è sconfessare l'eroismo del campione
che trascina da solo l'intera squadra. Per Kuroko vale l'idea,
appunto, del passaggio, del contare sugli altri e non solo su se
stessi. Nella squadra di Kuroko giocano tutti, non solo il campione.
Anche la protagonista femminile ha la specializzazione di un supereroe. È Riko Aida,
non la manager, non la ragazza da conquistare, ma la coach della
squadra. Con un solo sguardo riesce a vedere tutti i parametri vitali
dei giocatori e a regolarsi di conseguenza su allenamenti,
potenziamenti e riposo. Ovviamente, non arriva a portare una seconda
di reggiseno (topos immancabile!) e in cucina è un
disastro - più volte ha quasi avvelenato la sua squadra. Sua diretta
antitesi è Satsuki Momoi, manager della squadra rivale, si dichiara, non
corrisposta, fidanzata di Kuroko, ha almeno una quarta di reggiseno,
è bellissima, ma in cucina è sempre un disastro: è abile nel
raccogliere e incrociare dati come fosse un'agente della Cia e sa
prevedere alla perfezione mosse e contromosse.
Nulla di umano in questa
storia, quindi: ma, nonostante ciò, la sintesi a cui si va
incontro a vantaggio di una maggiore caratterizzazione dei personaggi rende la
storia estremamente piacevole e avvincente. Molto più realistica e,
non è una contraddizione, molto più umana. Di sicuro, il maggior
supporto è dato dalle nuove tecniche di animazione che rendono gli
anime sportivi - quindi produzioni in cui il movimento è necessario
- realistici. Un tempo, si sopperiva a questa mancanza deformando, ad esempio, i palloni da gioco: capitan Tsubasa se ne stava per
chilometri con una gamba a terra e l'altra alzata a portare una palla
e a chiacchierare come nulla fosse. Le partite della squadra di
Kuroko sono partire reali, in cui i movimenti devono essere
rallentati per essere compresi: non si è certo persa la prassi di
chiacchierare in campo o di mostrare aure invisibili o sfondi
elettrici, ma il tempo non è più dilatato e, anche se dura tre
episodi, si ha l'impressione di assistere ad una vera partita di
quaranta minuti.
Commenti
Dannati anime sportivi che creavano dipendenza... sia la citata Mila che Holly e Benji, o meglio Capitan Tsubasa! Però che bei pomeriggi a guardare quelle azioni che duravano ore *___*
I disegni di questo anime sono fantastici e la storia mi incuriosisce molto! Ma sei un pozzo di scienza, Vero!