Gli scemi di guerra. La follia nelle trincee [e il potere dell'immagine e della scrittura]
Anno: 2008 - Nazionalità: Italia - Genere: Documentario - Regia: Enrico Verra
I contemporanei la
definirono Grande, perché prima di quella non c'era mai stata una
guerra così. Solo noi, a posteriori, ci siamo presi la briga di
definirla Prima, sapendo che già ce ne era stata una Seconda.
Ma per i contemporanei fu
solo la Grande Guerra: terribile così, mai nessuna. I giovani
mandati al macello sui vari fronti europei avevano ascoltato le storie
di nonni e padri, che avevano combattuto battaglie fatte di corpo a
corpo e di scontri all'arma bianca. Ma i giovani degli anni Dieci del
Novecento hanno maneggiato bombe a mano e gas e hanno
sperimentato i primi aeroplani - la morte arrivava anche dal cielo. Hanno vissuto stretti nelle trincee e
aspettato settimane tra un attacco e l'altro, costretti a gettarsi in
un luogo che aveva un nome inafferrabile e inquietante: la terra di nessuno.
Nessuno era la
loro paura. Nessuno fu quanto si trovarono a fronteggiare. E quanto è
difficile combattere contro Nessuno? Dove Nessuno non è un
asburgico, un italiano, un francese o un russo, ma la Paura, l'Attesa, la Morte, l'Ignoto e il Tempo. La Grande
Guerra è stata anche la prima guerra psicologica - di posizione e
quindi di sfiancamento. Quando arrivava il momento di gettarsi nella
mischia, i soldati correvano lungo la terra di nessuno, cadevano
subito, rimanevano impigliati nel filo spinato e il Nemico non portava
vessilli e non faceva squillare trombe: si mostrava solo attraverso
un proiettile anonimo e impazzito o attraverso un gas - come si fa a
combattere contro un gas?
La spersonalizzazione è
stata la prima conseguenza della Grande Guerra.
E la spersonalizzazione,
la paura dell'ignoto, le armi anonime e l'attesa hanno prodotto
qualcosa che, fino ad allora, nessuno conosceva. Qualcosa che, per decenni, si è preferito nascondere. Quel qualcosa ha un nome poco scientifico: gli scemi di guerra.
Così furono chiamati i soldati internati nei manicomi e poi tornati ad una vita normale che normale più non era. Gli scemi
di guerra - La follia nelle trincee propone alcuni filmati inediti - ridotti a pochi spezzoni - girati dagli psichiatri militari che si trovarono a fronteggiare una
malattia inafferrabile come la paura dei soldati: lo shock da
combattimento.
I filmati sono un vero e
proprio colpo allo stomaco: uomini nudi, ridotti pelle e ossa, privati delle loro capacità motorie e linguistiche. Un continuo
tremore li attraversa, sono spaventati dai colori delle uniformi, non
parlano, sono passivi, immobili o pieni di tic, carichi di una libido repressa, non rispondono ai normali stimoli ma solo a quelli legati alla guerra. Gli ospedali psichiatrici, in
cui sono state girate le immagini di repertorio, non erano luoghi sicuri. Gli psichiatri erano militari e avevano il
compito di riportare al fronte i soldati prima possibile. Non poteva
essere ammesso che un uomo, un soldato, perdesse la virilità senza alcun motivo tangibile o apparente.
I soldati reclutati per
combattere erano per lo più contadini. E se anche fossero stati
insegnanti o impiegati erano pur sempre uomini abituati ad un mondo senza
macchine, senza squilli di cellulare, senza decibel a livelli
improponibili. Il repentino avanzamento tecnologico, i rumori e le azioni meccaniche hanno condotto i soldati a
diventare... scemi - come venivano definiti in senso canzonatorio e
denigratorio. A ciò si aggiunga la perdita di quella che oggi, nell'era della condivisione e dei social network, difendiamo a spada tratta: la privacy. Una volta al fronte, i soldati non avevano più intimità: costretti a stare ammassati gli uni sugli altri, condividevano la fame, i pensieri, i bisogni più reconditi. La documentazione filmica e fotografica annullò del tutto l'individualità. Il film ci mostra un militare fotografato in mezzo ad un campo con le braghe calate mentre espleta i suoi bisogni.
Poiché i soldati non potevano confidare neppure
nell'aiuto dei medici - che anzi torturavano i pazienti con esemplari
sedute di elettroshock - si rifugiavano nella sola e unica terapia
che l'uomo abbia mai conosciuto: la scrittura.
Circa quattro miliardi di
pagine tra lettere mai spedite e diari di guerra è quanto il primo conflitto
mondiale ci ha lasciato. Molti cercavano di sfogare l'angoscia sulla
carta, mentre attendevano l'attacco; ma molti altri scrivevano nei
loro diari ricordi di vita passata, storie fantastiche e volontà
future, lettere d'amore e desideri nascosti. In alcuni diari, della
guerra non c'è traccia. Segno di come la scrittura fosse percepita per la sua proprietà terapeutica - evasione da una realtà
impensabile e intima riflessione.
Il documentario ha un
forte impatto e induce a riflettere sullo statuto dell'immagine: non
importa che sia in bianco e nero o color seppia, né che i filmati siano più veloci del normale. Né conta che il tutto sia stato condito dalla musica e da un montaggio veloce per rendere il film più fruibile. Quelle pellicole - mute - hanno lo statuto di
documento: gli occhi letteralmente sorpresi e annullati di uomini
trovatisi di fronte all'inconcepibile non potranno mai competere con
la recitazione del più grande attore. Un attore che interpreta un
soldato nella prima guerra mondiale non sarà mai allibito e
incredulo come lo sono quei ragazzi che il nuovo lo hanno visto
davvero e sotto la peggiore delle forme. È proposta l'immagine non del tutto
costruita, quella che spiazza per la sua (quasi) immediatezza - quella, almeno, senza particolari costruzioni aprioristiche. Ai filmati si
aggiungono le parole e le annotazioni dei soldati, perfettamente
consapevoli del loro stato mentale sia al fronte che in ospedale. Immagini e parole che, ad un tempo, sono ricostruzione, narrazione ma anche senso della traccia storica, segno di una memoria collettiva che non può e non deve essere lasciata morire sotto il deterioramento della carta e della pellicola, cui il tempo conduce.
Gli scemi di guerra è un
documentario che, senza dubbio, deve essere visto: specialmente in
Italia, dove a lungo la cosa è stata taciuta e dove, a differenza
degli altri Paesi europei, ancora non sono certi i numeri ufficiali
dei soldati affetti dal disturbo. Un documentario che va visto perché
tutti noi abbiamo avuto un antenato che, silenziosamente, ha
combattuto in quella guerra e, altrettanto silenziosamente, ha
vissuto il resto della sua vita senza mostrare ai propri cari il peso
di un'esperienza simile - soldati che a vent'anni non lasciarono a
casa un computer o il cellulare, ma una zappa in un campo nel più
remoto angolo dell'Italia.
Stephen Kern scrive: "La
terra di nessuno diventò un sinonimo del vuoto - un luogo in cui
nessun uomo doveva essere - piena di buche di granate, puzzolente di
corpi in putrefazione, impastata di fango e gas, una funesta terra
desolata, una distesa del nulla minacciosa e senza vita e tuttavia
uno spazio che acquistava un valore straordinario, calcolato dai
cumuli di morti caduti combattendo per esso."
Il
tempo e lo spazio (Il
Mulino, 2001)
Commenti
tema ampio, complesso e troppe volte molto sottovalutato quello che hai affrontato nel tuo interessantissimo post cara Veronica.
Decenni fa, quando mi avvicinai alla lettura di Freud, in parallelo, cominciai a dedicarmi anche ai significativi scritti di Mario Tobino; scritti in cui l'autore e psichiatra raccontava la vita vera, che si svolgeva dentro alle mura dei 'manicomi ' di allora. Quanta gente sana, reclusa in quegli stanzoni diventò folle?
E così l'orrore della guerra, che spoglia l'uomo della sua identità, della sua dignità, di ogni suo sacrosanto diritto...
'La follia nasce dall'oppressione' si commenta giustamente nel video che hai pubblicato.
Complimenti ancora Veronica e l'augurio di un sereno w.e.
Debby