Battleship
Anno: 2012 - Genere: Azione - Nazionalità: USA - Regia: Peter Berg
I film come Battleship
sono i più divertenti da analizzare. Apparentemente solo piacere fine a se stesso, in realtà portatori di discorsi
sociologici più o meno inconsapevoli – come da tradizione del
cinema americano.
Ci sono vari livelli di
fruizione per Battleship.
Primo livello di fruizione: i film per famiglie,
quelli da domenica pomeriggio, quando si decide di radunare figli e
nipoti, munirli di barile di popcorn e fargli guardare un
film che è ispirato alla Battaglia Navale del gioco Hasbro. È il
livello del puro divertimento: divertimento assicurato, non c'è che dire.
Passano due ore tra
sobbalzi e risate, di sicuro non ci si annoia. Tra l'altro, bisogna
fare a tal proposito una piccola annotazione tecnica: rispetto ai
precedenti film – tipo Transformers – questo Battleship sembra
aver migliorato il livello di chiarezza negli effetti speciali. Fino
ad ora le inquadrature erano saturate da effetti digitali confusionari e oggetti e azioni risultavano indistinti, fastidiosi alla vista. Battleship dimostra un miglioramento tecnico e questo fa
ben sperare per i futuri film: la tecnica finisce per diventare
estetica, ben vengano i film in cui si sperimenta la tecnica in
vista del futuro.
Il secondo livello di
fruizione è quello di chi si ferma alla storia, senza l'analisi - atteggiamento giustissimo. La storia è classica, piena di quei
cliché americani che – almeno agli occhi di chi ha visto miliardi
di film – appaiono ostentati. Tuttavia, in un
film del genere sono necessari: o non sarebbe un film per tutti.
C'è il classico ragazzo intelligente ma sbandato (Taylor Kitsch) che viene obbligato dal fratello ad entrare in marina. Il
ragazzo intelligente ma sbandato ha ovviamente un amore da proteggere: ama la figlia dell'Ammiraglio (Liam
Neeson). Ma, come da più classica della tradizioni, ecco la
catastrofe: gli alieni invadono il pianeta, poggiano le loro basi in
mezzo all'Oceano Pacifico e scatenano l'inferno. Inizia la guerra, ci
sono perdite, ci sono i momenti tristi, quelli trionfali, lieto fine,
bacio, scena finale dopo i titoli di coda.
Terzo livello: non si
possono non notare alcuni e non troppo frammentari momenti in cui si
fa riferimento – consciamente o meno – alla situazione politica
statunitense.
Svaniscono i russi quali
acerrimi nemici degli USA: ogni due sequenze vengono nominati i
cinesi. I cinesi analizzano, i cinesi bombardano, è sempre colpa dei cinesi... ma forse sono i
Nord Coreani? È chiaro che il terrore statuinitense si è spostato
molto più a oriente: non più i russi, non più gli afghani
(l'Afghanistan è nominato di sfuggita solo da un veterano menomato),
ma i cinesi e i nordcoreani. Ma c'è di più. Questo timore per
l'estremo oriente viene chiaramente esplicato in una scena che
colpisce: un grattacielo di Hong Kong viene distrutto da un oggetto
volante. È il modo in cui viene distrutto a far pensare: il regista
usa le stesse inquadrature che hanno fatto il giro del mondo quando
sono state distrutte le Twin Towers. Inquadratura dal basso verso
l'alto, oggetto volante che trancia un grattacielo, nubi, fuoco e
urla. C'è un'operazione da psicologia di massa: stavolta la torre
che viene distrutta non è statunitense, è quella di Hong Kong. Il
regista trasferisce il terrore del suo popolo su un altro Paese,
allontanando, solo fittiziamente, la paura. Allontanare il simbolo
americano degli ultimi dieci anni e collocarlo in un altro continente
e in un'altra cultura ha lo scopo di colpire duramente tutti i popoli al di fuori degli Stati Uniti. È la stessa
logica con cui, nelle catastrofi, i film USA si accaniscono con
morbosità sulla distruzione del Colosseo, di San Pietro, della Tour
Eiffel o del Big Ben di Londra: è una distruzione anche culturale,
una sorta di affermata superiorità, ma anche di inconscio ripetersi
delle distruzioni civili che sono alla base di un Paese come gli
Stati Uniti d'America.
Il film si svolge alle
Hawaii. Pearl Harbor ritorna continuamente. Con la differenza che i
giapponesi non sono più nemici: lo sono solo su un campo di calcio.
La flotta nipponica combatte fianco a fianco con quella statunitense: nel porto di Pearl Harbor,
di fronte ad una nuova catastrofe mondiale, la bomba atomica su
Hiroshima e Nagasaki sembra dimenticata del tutto. I problemi
rimangono Cina, Hong Kong e Nord Corea, forse i tre luoghi
dell'estremo oriente non del tutto espugnati dagli Stati Uniti.
Chi sono questi nemici?
Questi alieni? Se li si guarda a livello di mera storia, non si
capisce: vengono sulla terra per distruggere, ma dal plot non sono
chiare le loro intenzioni. Tuttavia c'è un elemento che, letto ad un
livello più profondo, fa capire meglio le intenzioni. Gli alieni
percepiscono come nemico solo l'acciaio e le armi. Laddove vedono
battere un cuore, si tirano indietro. In altre
parole: non eliminano l'uomo, ma solo le macchine con intenzioni violente. Il problema è che, se un grattacielo è
catalogato come nemico e viene distrutto, di conseguenza muoiono anche le persone che lo abitano. Gli alieni hanno un duplice scopo: attaccano i simboli del
mondo economico e bellico della Terra e lottano contro le armi di distruzione di
massa. Due elementi contrastanti che si riuniscono in una sola
figura, l'alieno. Un caso? Chi è che nel mondo fa guerra a tutti
coloro che possiedono armi di distruzione di massa? Chi nel mondo ha
distrutto il simbolo del potere economico americano?
Gli alieni, così –
come sempre – finiscono per rappresentare molte cose: sono l'altro
sconosciuto, la minaccia del
tutto incomprensibile, il terrore che anche gli americani hanno di essere sottomessi, dopo aver sottomesso
prima gli indiani e poi il resto del mondo (frase epica del
film: “Faremo la fine degli indiani d'America!”); gli alieni sono
l'altro geografico e cioè
quell'Oriente che gli Stati Uniti non riescono a penetrare e
controllare del tutto; infine, sono l'altro psichico,
vale a dire il lato oscuro di noi stessi. In questo caso, il lato
oscuro e inspiegabile degli Stati Uniti. Soldati impeccabili e pronti
al sacrificio, gli Statunitensi sono anche coloro che si comportano
in modo molto similare al proprio nemico: combattono le armi altrui
con le stesse armi. Gli americani, poi, non sono veri americani: sono un mix di popoli africani, europei e asiatici. Ogni americano è anche altro da sé.
Con quale mezzo vengono sconfitti gli alieni? Con una
corazzata cimelio della Seconda Guerra Mondiale, comandata dai suoi
veterani: vecchi mezzi sempre efficaci. Vecchi mezzi non solo bellici
ma anche comunicativi: dalla Prima e Seconda Guerra Mondiale
tutte le generazioni statunitensi hanno fatto una guerra, lo zio Sam
ha sempre puntato il dito verso i suoi compatrioti e il cinema ha
sfruttato non poche volte episodi di guerra per le sue produzioni.
Insomma: nulla è cambiato. Il mito degli USA sempre forti permane,
l'eroicità americana è a tutti i livelli. Il più interessante e toccante livello di eroicità del film è forse rappresentato dalla personale
azione di guerra di un veterano senza gambe. Intelligenza e strategia (non prestanza fisica) gli permettono di
riconsiderarsi un soldato e un uomo intero: anche qui, nel dare onore ai menomati di
guerra, c'è forse la volontà di dare, finalmente, visibilità a tutti i nati il 4 luglio per troppo tempo dimenticati.
Il cinema americano, da sempre, si fa veicolo della società americana, svelandone i meccanismi meno evidenti, contestandoli, affermandoli, mostrandoli nelle loro ambiguità. E l'alieno, da sempre, rappresenta l'ambiguità perfetta per il cinema.
Tolte
le elucubrazioni mentali di chi ha visto troppo cinema con il pallino
per l'analisi, il film risulta godibile e due ore di divertimento
sfrenato, quello della coscienza stimolata dal mare del
già-visto e del non-visto tecnologico, non fanno male a nessuno.
Tutti
i film meritano di essere visti: spesso riescono a dirti tra le
righe quello che non t'aspetti.
Commenti
Io non sono una grande esperta di cinema, ma ho letto con piacere la tua analisi: davvero interessante.
La sottoporrò a mio figlio!
Lui è un cultore della materia.
Un abbraccio
Debby
@Maria: i film americani, anche quelli apparentemente più banali, fanno sempre piccoli riferimenti alla cultura di provenienza. Non so per quale motivo, ma ho notato che è (quasi) sempre così. Del resto i film sono oggetti del mondo e del mondo ci parlano. Grazie per le tue parole sempre gentilissime!
Dopo la lettura dei tuoi testi, per motivi diversi, mi sento sempre arricchita!
Sei dolcissima, un abbraccio sincero, Giulia!