John Carter
Anno: 2012 - Nazionalità: USA - Genere: Sci-fi, fantasy - Regia: Andrew Stanton
John Carter è un film prodotto dalla Disney e tratto dalla serie di romanzi di Edgar Rice Burroughs, raccolti nel Ciclo di Marte e pubblicati per la prima volta cento anni fa, nel 1912.
Il film non funziona
molto bene e i motivi sono tutti legati al trattamento del soggetto. Inoltre, quelli
che potevano essere gli elementi di forza su cui puntare sono stati
sin troppo edulcorati, probabilmente per mano della Dinsey, che
ha fatto di John Carter un film per famiglie, mettendone in ombra e frenandone le reali
problematiche.
Il problema, come si
diceva, è legato al soggetto. Si tratta di un racconto fortemente
radicato in una precisa realtà storica che imbriglia il film - o almeno questa è l'impressione di chi scrive. Burroughs fa chiaramente una similitudine, una similitudine peraltro molto interessante: la storia
del pianeta Marte richiama quella che vede coinvolti sulla Terra indiani d'America, coloni, nordisti e
sudisti. John Carter è un veterano della guerra di
Secessione. Fuggito dal suo reggimento, non ha alcuna intenzione di
tornare a combattere, perché "la guerra è un'ignominia" -
e fin qui siamo d'accordo. John porta due fedi all'anulare sinistro, segno del suo triste fardello. Pieno di malinconia, preferisce fare il ricercatore d'oro. Ma un giorno, scovata una misteriosa caverna piena
d'oro incisa di strani simboli, viene catapultato su Marte, dove
infuria una guerra tra due popoli. I popoli, essendo marziani, sono (casualmente?) di pelle rossa. Oltre i due popoli, ce ne è un terzo di indigeni verdi e dalla forma molto più... "aliena".
È chiara la similitudine che Burroughs fa: l'autore parla delle origini degli Stati Uniti
d'America, trasponendo la questione su un piano letteralmente universale; l'intento è dire che facciamo tutti parte dello stesso cielo, che siamo
tutti uguali, che la Storia si ripete. La cosa ha di sicuro funzionato negli anni Dieci del
Novecento, a pochi decenni di distanza dalla guerra di Secessione. Ma
il film sembra aver tralasciato il significato universale cui sarebbe potuto arrivare. Il limite sta probabilmente nell'adattamento e nella sceneggiatura, condita dei più classici, a tratti aridi, stilemi - la principessa da salvare, il cattivo da sconfiggere, gli
aiutanti, i donatori, la crescita del personaggio. Un film come
questo aveva tutte le carte in regola per essere opera di genere con
un discorso più profondo e approfondito, ma si è preferita
un'azione frenante di superficie. Non che si sia contrari alle azioni di
superficie: il fatto è che dopo decenni di film fantasy e/o storico-mitologici - basta citare
per ultimi Avatar e 300 - la superficie non basta più e tutto si
riduce al "già visto". Un film come 300, pur parlando di
una precisa realtà storica, è decisamente universale: Snyder è
riuscito ad astrarre, ad andare dal
particolare all'universale, ad uscire fuori dai quattro lati
dell'inquadratura e a creare un discorso a tutto tondo sulla libertà
umana.
Inoltre, anche quando si parla di fantasy e sci-fi, bisogna
saper creare un universo narrativo verosimile o comunque reale, cosa che non sempre riesce in John Carter. Ad
esempio: perché gli eroi Marvel funzionano? Perché gli ideatori
del fumetto e poi gli sceneggiatori del film hanno saputo creare un mondo
facilmente credibile, nonostante l'evidente irrealtà di certi elementi. Capitan America sa essere credibile perché è legato al
mito del Supersoldato, il che apre a discorsi anche complessi sulla guerra e l'uomo. Hulk è credibile perché
legato all'idea di rabbia ("sono verde di rabbia!"),
di pulsione inconscia e di istinto irrefrenabile presenti in ogni uomo. Iron Man rappresenta il
mito dell'uomo-macchina (forse) indistruttibile. Si tratta di personaggi fortemente fantasiosi, ma capaci di creare un saldo legame con la realtà umana e sociale.
John Carter funziona solo
in certi momenti. Alcune scelte di montaggio a tratti appaiono
interessanti: ad esempio si sceglie di narrare il passato del
protagonista solo per brevissime immagini silenziose di colore
grigio-azzuro, che interrompono molto bene i flussi rossi delle
inquadrature su Marte. È interressante il montaggio sincopato -
quasi delle attrazioni - del disvelamento del passato di
Carter.
Taylor Kitsch è John
Carter. Il giovane attore è famoso per essere il protagonista di
quella splendida serie tv sportiva, Friday Night Lights, in cui
interpretava il bello e dannato Tim Riggins. Ha avuto una parte
minore, al cinema, in Wolverine. In John Carter, la sua
interpretazione e il suo fisico, paradossalmente - ma neppure troppo
- rendono di più nella parte del veterano di guerra e del cowboy barbuto e silenzioso. Il suo fisico statuario e la sua
bellezza olimpica hanno bisogno di parti molto più realistiche che
da supereroe. Non è una critica negativa: a Kitsch si addicono altri ruoli. Ha gli occhioni timidi e velati di un pizzico
di ritrosia e riservatezza, ed è facile credere, specialmente dopo averlo visto in
Friday Night Lights, che in parti più intime e più profonde riesca
a dare il meglio di sé.
Probabilmente ci sarà un sequel. E sarebbe interessante vedere se sceneggiatori e regista riusciranno ad andare in profondità e a sfruttare ciò che davvero di buono c'è in questo (primo) film.
Probabilmente ci sarà un sequel. E sarebbe interessante vedere se sceneggiatori e regista riusciranno ad andare in profondità e a sfruttare ciò che davvero di buono c'è in questo (primo) film.
Commenti
Questo film mi incuriosisce, ma ho letto diverse recensioni non propriamente positive e sono un po' indecisa...
@Vele: se il film ti incuriosisce, vai a vederlo, così sciogli ogni dubbio... Magari a te piace!
Grazie mille ad entrambe per essere passate a trovarmi!
Ma mi piace molto il tuo modo di scriverne.
Ho lasciato un commento al tuo post dell'otto marzo:)
Grazie e a presto!
Lara
Corro a leggere il tuo commento all'8 marzo.
A presto.