Wicked
C’è un momento in cui l’opulenza tipica dei musical fantasy fa un passo indietro. Il film toglie, toglie, toglie e si arriva a una sorta di sequenza zero, centrale a livello di tempo (più o meno metà film) e centrale a livello narrativo. È uno spartiacque. La musica cessa, i personaggi smettono di dimenarsi e di ballare forsennatamente su ogni oggetto di scena. Lo spettatore è costretto a stringere gli occhi, a aguzzare la vita e a farsi attento. Non più trascinato dalla corrente caotica del musical, ma fermo, fluttuante, in una sorta di bolla d’aria.
Galinda e Elphaba, la strega bella e la strega verde e “cattiva”, si trovano una di fronte all’altra. Imitano una i movimenti dell’altra, in quello che a poco a poco sembra diventare un leggero passo a due, una danza ingenua e tenera, senza regole, se non quelle di specchiarsi l’una nell’altra. La musica riprende, ma piano. Il pianoforte fa una nota, poi lentamente ne emette un’altra. I movimenti sono sempre più strani e ravvicinati. Finché le due streghe non si abbracciano e Galinda non asciuga una lacrima a una Elphaba che sospira emozionata e non più sola.
Poi il film riprende il suo roboante e barocco volteggiare in cieli e scenografie coloratissime. Ma quella scena. Quella scena: lì l’una diventa l’altra; le due ragazze si specchiano e il bello vede il brutto e il brutto vede di sé il bello; il buono ha il malvagio nel suo rovescio e il malvagio è un buono che non ha avuto le giuste possibilità. Tutti diventiamo responsabili delle azioni altrui. Tutti diventiamo artefici e padroni delle emozioni altrui. Nell’abbraccio di Galinda, ogni Elphaba che è in noi, donna speciale dal talento immenso e ai più incomprensibile, piange e sente l’abbraccio che avrebbe sempre voluto sentire. Ogni persona “diversa” è diversa perché lo decidono gli altri. Ma ha la stessa immensa voglia di ricevere amore e comprensione, come tutti.
In attesa spasmodica di Wicked parte due.
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