L’acqua del lago non è mai dolce




È un po’ il romanzo della generazione nata negli anni Ottanta. I sentimenti - di pancia - che scaturiscono dalle parole del romanzo sono esattamente quelli provati da me nel corso della mia infanzia, adolescenza, vita da giovane adulta. La situazione estrema che fa da sottofondo alla vita della protagonista - la mancanza di una casa, una famiglia numerosa e problematica - è di sicuro un elemento che aiuta a rendere la storia più avvincente, ma il racconto dei sentimenti, delle sensazioni, degli umori, di quel sentirsi continuamente fuori posto sono palpabili, provate, vere. 

Giulia Caminiti scrive in modo avvolgente: non usa mai subordinate, ogni frase è separata da una virgola, ogni concetto viene sviscerato da un elenco di immagini che cresce in un climax spiazzante. È una scrittura densa, che va in profondità, che ti si incolla addosso e ti turba: e, di conseguenza, anche la storia ti entra dentro, si infila sotto la pelle, lasciando un disagio sin troppo reale. 

È il disagio di sentirsi sempre definiti dagli altri: e la lotta strenua per trovare una propria autodefinizione e una propria autonomia. Ognuno di noi vive tale processo e più si è inclini alla meditazione e allo sviscerare i pensieri e gli stati d’animo, più la definizione altrui diventa ingombrante. Essere figlia, sorella, povera, sfigata, con le orecchie grandi, matta, violenta, secchiona, con un pensiero, senza un pensiero - tutto, se letto in relazione agli altri, è sofferenza. 

La protagonista del libro vive una vita complessa, ma la complessità si annida soprattutto nel suo animo, nel modo con cui guarda le cose e le giudica. Allontana le persone, vuole solo essere amata in maniera disinteressata, per ciò che è, senza filtri. Costruisce il suo percorso confrontandosi con e riflettendosi sempre nel lago di Bracciano, un luogo molto vicino alla città in cui ho abitato per tanti anni, prima di sganciarmi e trovare la mia autonomia. Il lago non è il mare dove sono sono nata e cresciuta, ma è un luogo naturale altrettanto problematico: denso, profondo, oscuro, dolce ma dal sapore di petrolio. Vecchio vulcano non più in attività, ma in grado di inglobare, assorbire, occultare tutto, rendendosi sempre più oscuro e melmoso. Il lago diventa il contraltare e l’alter ego della protagonista - ed è quello specchio opaco in cui noi tutti, in un momento di lanciante verità, potremmo specchiarci. Non riflette la nostra immagine, ma il torbido che abbiamo dentro e che, nel bene e nel male, ci definisce e muove le nostre azioni.  

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