PIOVE. EP01



Ho conosciuto Piove. grazie a Claver Gold. 

Sono cresciuta a pane e rock e a pane e Mozart, il rap in teoria sarebbe quanto di più lontano da me: eppure, di fronte a qualità, ricchezza e arte, non si può negare l’ascolto. Claver Gold scrive da dio e comunica emozioni difficili da esprimere a parole. Lo ascolti e pensi, lo ascolti e rivivi ricordi, lo ascolti e ti commuovi. 

Insomma, quando Claver Gold annuncia un feat con tale Piove. per la canzone Fagli vedere chi sei, sono corsa ad ascoltarla. 


Sono rimasta totalmente spiazzata dalla coerente follia del testo: parole solo apparentemente messe lì a caso, ma in grado di costruire immagini e sensazioni concrete. Sembrava di guardare un film, a volte di vivere un sogno, spesso serpeggiava l’inquietudine di un déjà-vu - frasi e versi di una profondità inusuale.

 

Verso la fine del pezzo, arriva Claver Gold con il suo intervento - 


vengo sul vostro profilo di Insta, 

con l’attenzione di un dadaista.


Mi si accendono le antenne: dopo dadaista arriva sofista, merda d’artista e persino Man Ray, che fa rima con l’ansia, perché parlo solo con lei. Ho pensato subito di inserire questi versi nel programma del prossimo anno delle mie classi quinte. Ma, al di là del semplice e mai scontato riconoscersi, quei versi di Claver Gold sono risultati il trampolino di lancio verso Piove. E ho approfondito la conoscenza con la bellissima e misteriosissima voce femminile che si cela dietro un cappuccio rosa e un breve, lancinante primo EP. 

Tra rap, elettronica, classiche melodie, teatro e cinema si dipana un mondo di un fascino indefinibile e, forse proprio per questo, indiscutibilmente bello. 


Piove. (non sono impazzita, si scrive proprio con il punto) si presenta con un nome grigio, confortevole e fastidioso. Tutti amiamo starcene in casa mentre fuori piove e sentirci al sicuro dal pericolo. Nessuno ama troppo farsi sorprendere da una pioggia fina o da un acquazzone mentre è in giro e senza ombrello: perché non ci possiamo riparare da ciò che non abbiamo previsto.


Piove. si mostra attraverso una serie di foto difficili da leggere: c’è questa figura di plastica con la felpa rosa e il cappuccio infilato; dentro il cappuccio, apparentemente, niente. Piove. non mostra il volto, ci fa sentire solo la sua voce - calda e bellissima, un timbro magico, accogliente e allo stesso tempo straniante. Piove., in una società abituata a mostrarsi e a mostrarci di tutto, nell’era dei filtri e delle costruzioni prospettiche che nemmeno Brunelleschi, non si mostra. Se volete sapere qualcosa su di lei (o lui? o loro?) ascoltatel*.



Sono partita dall’inizio. Dal primo singolo uscito - credo - attorno a novembre, Quello che non saremo mai. 

È un pezzo complesso, difficile da digerire al primo ascolto. Non capisci, lì per lì, quale sia la melodia da seguire, se una melodia ci sia, se un ritmo ci sia. Ve lo dico io: c’è. C’è tutto, perché il pezzo l’ho consumato e più lo ascolto più scopro cose. Non userò troppi giri di parole: è la canzone più bella dell’intero EP, già di per sé di alta qualità. Non so: è di quei testi che sembrano parlare proprio a te, che sembrano riconoscerti e fotografarti. 

Mentre ascolti il pezzo e cerchi di capire dove tu ti stia trovando, se sia uno scherzo o cosa, arriva una lama precisa e dolorosa, che si infila nel petto con una semplicità disarmante:




E noi a rincorrere il tempo per ore, ma non è il tempo a passare, passiamo noi, amore.


A quel passiamo noi, amore, letteralmente, piangi. Quando qualcuno trova le parole per dirti ciò che non riesci a esprimere, piangi. I versi ti entrano dentro, recitati con una ironia e una sofferenza che difficilmente ti si staccano di dosso. 


Arrivi al ritornello e dici: stai parlando a me?

 

Se mi guardi sto tutto storto, 

con la mente e con il corpo.

Piove polvere tutto intorno.

Sono storta io o il mondo?


Chiediamocelo, davvero, per una volta: possibile che sia sempre io ad essere sbagliat*? Non è che forse sono io l’unic* a essere giust* in un mondo nato e cresciuto male?


Piove. apre il sipario su una storia, universale e particolare, che parte da questi versi e si snoda attraverso i cinque pezzi dell’EP come fosse un film. È un album estremamente cinematografico, che attinge ad atmosfere stranianti che vanno dai “normali” horror movie, passando per i capolavori di David Lynch. Al primo ascolto mi ha ricordato, inoltre, un videogioco, Mosaic, nel quale tutta la realtà grigia del protagonista si sgretola a poco a poco di fronte alle inevitabili crepe del virtuale. 


Piove. si chiede cosa siamo. Dove siamo. Qual è il nostro scopo. 


Il mondo è una finzione. Che novità: già Platone ce lo diceva. Ma ora, forse, è molto più finzione di un tempo: il continuo scambio tra reale e virtuale si fa più subdolo e più metafisico. Abbiamo tutti (più o meno) la capacità di distinguere tra il reale e il non reale; ma, a volte, il falso viene presentato come reale e noi siamo lì ad abboccare come allocchi. Rincorriamo il tempo, magari cerchiamo di fermarlo in una foto perfetta, ma continuiamo a scorrere. L’unico modo per fermarci e pensare è essere noi, anche se essere noi significa essere inafferrabili. Non possiamo essere definiti, almeno non finché e mentre viviamo, e a volte anche dopo è difficile assegnarci una definizione. De-finire è morire. Dovremmo capire che la vera vita è un caos bellissimo.

 

La storia prosegue nel pezzo successivo, quello che ci invita a far vedere cosa siamo. Frase rovesciata, in realtà: di primo acchito potremmo pensare che si voglia intendere di mostrare agli altri quanto siamo capaci e forti. Invece, semplicemente, qui si vuole invitare a mostrare la nostra vera essenza. A toglierci la maschera. Anche se dietro la maschera - di plastica - appare un vuoto nero e profondissimo. Stratificato. Complesso. Che è ciò che siamo tutti, ma che nessuno vuole mostrare, perché è molto meglio livellare e essere uguali altri altri - e intorno solo zombie


Scardinate tutte le sicurezze con i primi due pezzi - ostici ma stupendi - Piove. ne sforna un terzo solo apparentemente molto musicale e abbordabile, Come gli alberi. In preda al ritmo trascinante, ci si ritrova in realtà a cantare una lucida e atroce dichiarazione di solitudine e morte. Sei un albero, in fila, che fa ombra d’estate, che protegge dalla neve, che abbellisce giardini e si fa rifugio per i gufi: eppure è un albero che viene acceso (si sente il rumore dell’accendino)… 


ma il fumo sottile scende sul cuore, 

nero si espande, senza rumore, 

non sento niente, neanche dolore, 

forse mi arre-, forse mi arrendo, 

forse mi arrendo, dottore.


Si rischia, in altre parole, di vivere in un mondo così finto da non riuscire a sentire nemmeno i dolori più profondi. Arrendersi all'anaffettività e non provare empatia è forse il più grande male della nostra epoca.


Gli ultimi due pezzi, SPDP e Piove diventano più “aperti”: si apre la musica, si apre la voce, si aprono i pensieri, come se, dopo tre canzoni in cui ci si analizza e ci si confessa dolorosamente, si debba prendere il coraggio per dire la verità sempre e comunque. Mi lamento del mondo e lo faccio col silenzio, sempre piena di pensieri e neanche una parola. 


Piove, non farmi stare fuori. 


La pioggia diventa, allora, l’emblema della verità. Dell’aprire gli occhi e guardare la realtà, bella o brutta che sia. Si vorrebbe vivere in un mondo senza temporali e senza scossoni, ma non è così. La pioggia cade, ci bagna, ci colpisce - e non è per forza qualcosa di brutto, tutt’altro. È  emplicemente il momento in cui capiamo di capire, capiamo di essere. E, non appena capiamo e sappiamo, vogliamo anche prenderci il lusso di riposarci, di prenderci una pausa da tutta questa dolorosa e necessaria presa di coscienza: e tentiamo di illuderci. Sul finale dell’ultimo brano (e dell’EP), Piove. ripete come una nenia il mantra Dimentico. E Dimentico è la parola che mette fine all’album. 

Scegliere di dimenticare, per un attimo, il dolore e le verità, per costruire qualcosa di buono, di nuovo, per crescere; o scegliere di dimenticare tutto e costruire solo una realtà fittizia. 

Cosa siamo, noi, se non una sequela di parole e fotografie, di finzioni e costruzioni? Dove siamo noi, davvero? Quale risposta possiamo dare alle nostre domande, come possiamo mostrarci davvero, come possiamo incendiarci senza morire, come possiamo esporci senza soffrire? 

In un mondo in cui tutti sembrano morti, l’importante è vivere con un barlume di poesia. E Piove., di poesia, ne ha, eccome se ne ha, per sfamarci. 

Commenti

Cannibal Kid ha detto…
Niente male Fagli vedere chi sei!
Adesso mi vado a recuperare anche il resto...

Ottima segnalazione, thanks! ;)
Maria D'Asaro ha detto…
Grazie della segnalazione. Davvero intrigante. E tu scrivi da signora.